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Il mio nome è Nawart Press
Mi presento. Il mio nome è Nawart Press e sono nata l’8 marzo del 2015. La mia venuta al mondo non è stata casuale ma voluta e cercata fortemente dalle mie tre madri biologiche, alle quali se ne è aggiunta in seguito una quarta, e risale a una sera di qualche mese fa al Cairo.
Erano gli ultimi giorni di Eleonora nella caotica capitale egiziana e, dopo due bellissimi ma stancanti anni passati a raccontare e vivere la complessità di quel mondo, era arrivato per lei il momento di tirare le somme e andare avanti. Era da un po’ che Giulia e Costanza – reduci dall’esperienza del collettivo di ZeerNews – rimuginavano sul da farsi, ed erano pronte a dare avvio a un nuovo corso nella loro carriera di giornaliste indipendenti.
Eleonora era arrivata in Egitto dalla Palestina, e prima aveva vissuto per lungo tempo nel Golfo, in Iran e in India. A Giulia la vita l’aveva portata in Nord Europa, ma la testa le diceva che prima o poi si sarebbe ricongiunta con quel Medio Oriente tanto trasognato e così, quando le si palesò l’opportunità di lavorare al Cairo, non ebbe alcun indugio. Ad aspettarla al di là del Mediterraneo c’era Costanza, sua amica di lunga data, che del Medio Oriente conosceva bene solo l’Egitto, ma tra Pakistan e Afghanistan ne aveva viste di cose.
Non ricordo chi chiamò chi quella sera, ma fatto sta che quell’ennesima birra condivisa sul terrazzo di casa fu rivelatrice. “Ormai è qualche anno che ci dedichiamo con passione alla gente comune e alle sue storie, e che ci spingiamo lì dove tanti media tradizionali non fanno, rifiutando stereotipi e luoghi comuni,” si dicevano le tre. “Perché, allora, non uniamo le forze e l’esperienza acquisita sul campo per creare qualcosa di nostro, che ci rispecchi fino in fondo?”
Bella domanda: perché no? Abbiamo provato a scrivere su carta i pro e i contro di questo progetto, ma tutto sembrava indicare che questa era la scelta giusta e quello il momento opportuno per attuarla. Tra i giornalisti freelance, ma la stessa cosa vale per tanti settori, ci si lamenta di continuo di tutto, e non si perde occasione per ribadire che – volendo – sarebbe facile far meglio dei rivali. Poi però, per comodità o poco coraggio, non ci si mette mai in gioco.
Noi no. Questa volta non volevamo tirarci indietro. Se le congiunture storiche attuali non sono favorevoli – vuoi un po’ per la crisi dell’editoria e del giornalismo che limita la possibilità di investire sull’indagine diretta e approfondita, e lascia nelle mani di pochi un lavoro per molti, o per le turbolenze politiche riassunte malamente nell’equazione “immigrazione è terrorismo” – grazie alle nuove frontiere tecnologiche si sono raggiunti livelli mai visti di libertà di pensiero e parola, e anche uno squattrinato giornalista freelance può farsi direttore e perfino editore.
Io Nawart sono stata educata fin da bambina a credere e battermi per certi valori. Mi è stato insegnato che la storia del mondo è fatta delle tante e sfaccettate vite della gente comune e che non porta a nulla, se non danni, generalizzarla o riassumerla; che l’informazione deve porsi al servizio dei deboli e contro i potenti, dando spazio e voce a realtà relegate ai margini; che è vero il motto “chi fa da sé fa per tre” ma se, e non è facile, tra tre persone diverse ma complementari si crea una sinergia, non va sprecata.
Io Nawart racchiudo dentro di me un collettivo di giornaliste indipendenti che hanno sempre sentito il mondo, più che l’Italia, come la loro casa, ed è per questo che hanno deciso di parlare di esteri. Il mio nome in arabo egiziano è un’espressione molto bella, poetica e quasi lirica, che significa “tu illumini” e nei giorni nostri è usata a sfinimento per restituire un complimento alla persona che l’ha porto, facendola sentire grata, e amata.
Per le mie mamme “Nawart” significa mettere il proprio lavoro di giornaliste al servizio di persone e storie cui raramente è dato un volto o una voce, “illuminandole”, per farle sentire considerate, apprezzate e, perché no, anche amate.
A qualche giorno dalla mia nascita le mie tre amorevoli madri mi hanno preso in disparte e, con tono dimesso, come se avessero paura di ferirmi, mi hanno bisbigliato l’arrivo imminente di un fratellino. Il nome prescelto è “The Railway Diaries – A women’s epic journey along the Silk Road” e, sebbene il nascituro sarà educato ai miei stessi valori, avrà un occhio di riguardo per le donne, e per l’incredibile mescolanza di razze e credo ancora distribuiti lungo la leggendaria Via della Seta.
Ma quella è un’altra storia e ve la racconterà lui stesso.
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