Media
“Il Crepuscolo dei Media” e l’alba difficile che ancora aspettiamo
“Il mondo della comunicazione e dell’informazione così come lo conosciamo si sta dissolvendo sotto i nostri occhi”. Comincia con questa riflessione, ora convinzione, il libro di Vittorio Meloni, direttore delle relazioni esterne di Intesa Sanpaolo, intitolato Il Crepuscolo dei media e uscito nelle scorse settimane nelle librerie e in e book per Laterza.
Una lettura, quella di questo saggio, che di ottimistico ha davvero ben poco, soprattutto perché, oltre a fotografare il mercato dei media e con dati la crisi della diffusione e dei ricavi pubblicitari del mondo dell’editoria, ci mette di fronte ad una gestione del problema – che ormai viene guardato con fatalismo, come scrive Meloni – da parte degli attori del sistema piuttosto sconfortante. E al destino – se ci si crede – bisognerebbe andarvi incontro almeno con una certa organizzazione.
La rivoluzione digitale è ad oggi un regime, solo che non è così facile da governare. In questo complessissimo mondo della comunicazione e dell’informazione, i ruoli cambiano continuamente e spesso si confondono. Le aziende fanno informazione, non solo mera comunicazione pubblicitaria. I lettori diventano dei potenziali blogger, comunicatori, giornalisti. I social network sono la fonte di informazione della maggior parte dei cittadini, Facebook su tutti. I quotidiani da anni non vendono più. Repubblica e Corriere resistono vendendo circa 200mila copia al giorno (nei primi 2000 ne vendevano 2,5 milioni in una giornata). Viviamo nell’era degli smartphone.
Negli Stati Uniti – paese guida nella trasformazione tecnologica dell’economia e della società di oggi – più del 50% delle persone dichiara di cercare news sui social media. In occasione delle presidenziali dell’anno scorso, la maggioranza degli elettori dichiara di essersi informata sui candidati proprio attraverso i social. Facebook, il più potente tra i social, è usato dal 68% della popolazione americana adulta, racconta l’auore.
Nel 2016 su una popolazione mondiale di circa 7,3 miliardi di persone, 3,4 sono utenti Internet e 2,3 miliardi sono attive sui social, 2 miliardi per mezzo di devices mobili.
E in Italia? Considerato il gap culturale e di efficienza digitale ancora da colmare (duramente criticato dall’autore), sono 28 milioni i navigatori attivi sui social, 24 attraverso smartphone e tablet.
Il presente e il futuro sono quindi, (come ripetono inesorabilmente addetti ai lavori da tempo), digitali, connessi e interconnessi. Questa è la direzione. Se prima della rivoluzione in questione, concezione, distribuzione e selezione del materiale editoriale erano controllate interamente dalla struttura industriale alla quale la catena faceva capo: l’editore, con la spinta della pubblicità che ha fatto da carburante a questo tipo di business, oggi è tutto cambiato per via di Facebook, Twitter e Google (che ha monopolizzato il mercato della pubblicità digitale) divenuti editori integranti.
Il “dio Facebook” – soprattutto – domina il mercato editoriale e il sistema dell’informazione. Assume star del giornalismo per lavorare a quella che si chiama News Partnership, che servirà ad aiutare i media che pubblicano news sul social, organizza corsi formativi per giornalisti, cerca di combattere le fake news, spinge su gli Instant Articles che permettono la condivisione con i giornali dei ricavi pubblicitari generati dalle news, salvo poi modificare l’algoritmo dimenticandosi di premiare i post/link news. E di un algoritmo, in particolar modo di quello di Facebook, non possiamo avere controllo.
Quindi, esiste una soluzione? Trovare modelli di business sostenibili che producano informazione di qualità non è affatto facile. Qualcuno punta su una parte di contenuti a pagamento, altri dialogano con Google e Facebook e provano la strada degli Instant Articles. Di sicuro il business va sempre più indirizzato verso quello che Meloni definisce il suo naturale sbocco rappresentato dalla proiezione sulle piattaforme digitali e soprattutto sui social media, con la speranza che si trovi un equilibrio tra i due mondi e che cambi il contesto legale per difendere il copyright dei contenuti e quindi l’atteggiamento dei players della Silicon Valley, citando Mathias Dopfner, ad di Axel Spronger.
Scrive l’autore nelle sue conclusioni: “Senza la scelta strategica di svilupparsi nell’universo della rete, non c’è futuro per l’editoria tradizionale. La missione dei media non sarà più quella di raccogliere lettori intorno ad un prodotto ma di cercarli ovunque possono essere raggiunti da notizie. L’informazione circolerà nelle reti digitali come un prodotto immateriale e i ricavi nasceranno da qui e non più degli spazi pubblicitari”.
Devi fare login per commentare
Accedi