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Google risponde alle etichette: nessuno paga gli artisti quanto YouTube
YouTube continua ad essere per gli artisti il sistema di pubblicazione e diffusione dei contenuti più remunerativo in circolazione. Parola di Christophe Muller, Capo delle YouTube International Music Partnerships, che dedica all’argomento un lungo post su uno dei blog ufficiali della piattaforma.
L’intervento è una risposta alle polemiche delle scorse settimane, che hanno visto diverse etichette discografiche internazionali accusare la piattaforma di “non pagare abbastanza” i musicisti per i brani caricati direttamente dagli utenti (i fan-video).
L’accusa è partita dalla RIAA, il gruppo che racchiude le etichette discografiche americane. All’appello si è subito accodata anche la IFPI, l’organizzazione mondiale dei produttori musicali.
Lo streaming rappresenta attualmente il 34,3% delle entrate dell’industria musicale, un numero enorme se si considera che ha superato oramai anche quello relativo alle entrate per le vendite fisiche e digitali (34% e 28,8%). L’anno scorso, infatti, i servizi di streaming – Spotify, Pandora o YouTube – hanno contribuito a generare ben 2.4 miliardi di dollari per l’industria discografica.
Questi numeri spiegano allora l’interessamento di Google verso il mondo della musica, che come lo stesso Muller ricorda nel post, “ha a cuore i musicisti e il loro business”.
Ad esempio, spiega Muller, YouTube mette a disposizione degli artisti una delle tecnologie più avanzate in circolazione per la protezione del copyright. ContentID riconosce infatti un brano originale se ricaricato da un altro utente, per poi avvisare immediatamente il proprietario. Questo può quindi decidere se rimuovere, ignorare o reclamare i diritti per i contenuti in questione.
Moltissime etichette discografiche hanno infatti stipulato accordi di licenza con YouTube per lasciare online i video creati e caricati fan, guadagnando dunque sui diritti riconosciuti per questi. Basti pensare che il 50% degli introiti delle case discografiche su YouTube provengono proprio da contenuti uploadati spontaneamente dagli utenti.
A questi si aggiungono le entrate derivanti dall’advertising, che a differenza delle altre piattaforme non subiscono i costi, speso importanti, per il mantenimento delle infrastrutture.
Senza contare il fatto che a differenza di altre piattaforme, come le radio, YouTube paga le royalties agli artisti (in alcuni paesi come UK e Francia, non viene pagato nulla per la trasmissione) e il target raggiungibile per ogni singolo video valica i confini nazionali e si estende al mondo intero.
Capitolo chiuso? Staremo a vedere. Sta di fatto che per il momento gli artisti continuano a scegliere YouTube per la promozione dei loro lavori (qui un approfondimento sull’impatto economico generato dalla piattaforma) proprio per la facilità di gestione dei diritti e l’assenza di barriere economiche e tecniche all’ingresso.
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