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Gli uomini hanno dimenticato che si può guardare il cielo

31 Agosto 2017

Un recente articolo pubblicato sul giornale on line “Il Post” insinua un inquietante dubbio: gli strumenti digitali davvero favoriscono l’apprendimento? A dire il vero, lo psichiatra Manfred Spitzer, in un dettagliato saggio intitolato Demenza digitale, dà la sua risposta: le capacità di lettura e di calcolo dei soggetti che stanno al computer più volte a settimana sono decisamente peggiori. Lo stesso vale per l’uso di Internet a scuola”. E, con rammarico, Spitzer, aggiunge: “l’aspetto più triste, e dal mio punto di vista ben più pericoloso, è che anche il ministero dell’Istruzione pubblica e altre istituzioni si uniscano acriticamente all’elogio dei media digitali. In modo diretto, il saggista conclude: come psichiatra non do alcuna importanza alle teorie cospiratorie che attribuirebbero a un potere occulto l’intenzione di diffondere tra la popolazione una subdola forma di demenza attraverso i media digitali, con lo scopo di manipolarla facilmente. No: secondo me la situazione è molto più semplice. Molte persone ottengono enormi profitti con i prodotti digitali e non danno alcuna importanza al destino degli utenti, in particolare dei bambini.

Sgombriamo il campo dagli equivoci: chi scrive sa usare la LIM, si serve delle piattaforme digitali, ha seguito corsi di formazione sui presunti principi didattico-pedagogici su cui si fondano le “flipped classroom”, sperimenta le possibilità che offre l’e-learning e nelle ore di didattica laboratoriale segue (suo malgrado) gli allievi nella costruzione di “prezi” e “padlet”. Che tutto questo sia possibile, è interessante. Ma, come diceva Paul Valery, ce qui m’intéresse n’est pas toujours ce qui m’importe.

Non si tratta di tornare indietro, di tessere l’elogio della pure insostituibile lezione frontale (che è durata sette secoli e con successo!), ma semplicemente di non scambiare i mezzi (gli strumenti tecnologici) con i fini (la formazione di persone e cittadini a scuola).

Il Miur, a corollario della legge 107/2015, ha predisposto addirittura un Piano Nazionale Scuola Digitale e tra i criteri per l’attribuzione dei bonus premiali ai docenti, i Dirigenti scolastici hanno in alta considerazione la produzione di materiale in formato digitale (e-book, per esempio), l’uso di laboratori multimediali e, in generale, la tracciabilità di forme didattiche digitali. Insomma, secondo l’ottica dirigenziale, non si può fare affidamento solo sulle parole di una lezione frontale, perché, si sa, verba volant, né su quanto viene autocertificato dagli insegnanti sui registri (rigorosamente, elettronici!), perché può essere frutto delle solite manie autocelebrative dei docenti, sempre pronti a esaltare oltre misura ogni minima cosina che fanno. C’è, in effetti, chi invece di registrare sinteticamente nell’ora di latino:“analisi del IV libro delle Georgiche”, preferisce annotare la stessa cosa in modo molto più altisonante: “il IV libro delle Georgiche: l’epillio di Orfeo e Euridice, rapporti di Virgilio con la poesia alessandrina, confronti con il mito ovidiano, rilettura del modello classico nei Dialoghi con Leucò  di Pavese”: mai si saprà se poi tutto questo è stato fatto davvero, in un’ora!

Un Dirigente, però, dovrebbe informarsi su quello che avviene nelle classi della sua scuola, dovrebbe sapere come si spiega, se si spiega. Insomma, dovrebbe conoscere i suoi docenti. E, invece, in nome della semplificazione, per dispensare discutibili bonus, si è preferito puntare sulla facile tracciabilità dei prodotti multimediali. E, quindi, come si insegna e se gli alunni capiscono sono diventate questioni secondarie!

Eppure, a ben guardare, la legge 107/2015, parla solo di premiare i “risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche. “Innovazione didattica e metodologica”, “buone pratiche didattiche” sono tutte espressioni vaghe e generiche che non fanno alcun riferimento a prassi specifiche né tantomeno all’obbligo di usare strumenti digitali a scuola. E, allora, qual è la necessità di istituire un Piano Nazionale Scuola Digitale? Perché creare le figure degli animatori digitali con il compito di incentivare l’uso delle nuove tecnologie? Perché come mamme dobbiamo togliere smartphone e tablet ai nostri ragazzi e come insegnanti glieli dobbiamo imporre? Forse Spitzer ha ragione.

Clifford Stoll, nel suo saggio Confessioni di un eretico high-tech, dichiara senza mezzi termini: vogliamo una nazione di stupidi? Basta centrare sulla tecnologia il curriculum di studi – insegnamento attraverso videocassette, computer, sistemi multimediali. Si punti al massimo risultato possibile nei test di verifica standardizzati e si tolgano quelle materie non di massa come la musica, l’arte, la storia. Avremo una nazione di stupidi.

In effetti, digitalizzare tutto, la scuola e lo studio, toglie l’anima a quanto si apprende e a ciò che si insegna, lo impoverisce, lo riduce a dati, lo atomizza.

L’essere umano non può accontentarsi di un sapere ridotto in frantumi, fatto di test, di qualche “prezi” o di un video ben confezionato.

Lucio Dalla cantava: ma dimmi tu dove sarà, dov’è la strada per le stelle… (in Anna e Marco) e questo verso somiglia molto al triste lamento di Eugène Ionesco: gli uomini…hanno dimenticato che si può guardare il cielo (in Il mondo è invivibile).

E curvare la scuola su un pc non li aiuterà!

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