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Giulio Regeni: la faccia pulita del nostro paese
Questo non è un articolo di analisi e con questo articolo non offro nessuno spunto di particolare rilevanza alla comprensione di una vicenda assurda, dolorosa, emozionante come la tragica fine di Giulio Regeni.
Questo è uno sfogo, un elenco di “perché” senza risposta. Da qualche giorno mi imbatto nella foto di Giulio che sorride, barbetta incolta, sguardo dolcissimo e furbo.
Puntualmente mi ritrovo a trattenere lacrime come se quel ragazzo minuto io lo conoscessi, come se qualcosa di suo fosse stato anche mio. Eppure, fino a qualche giorno fa, non conoscevo chi fosse e cosa stesse facendo, e nemmeno conoscevo i suoi splendidi genitori che hanno dato al dolore più atroce la forma perfetta di una laica preghiera, invocando un mondo di accoglienza e fratellanza, quello stesso mondo in cui il loro Giulio credeva e che una sera di gennaio gli ha voltato le spalle.
E mentre tutto sembra scorrere come sempre fra gli squallidi insulti di un Formigoni e le polemiche per i cinesi che votano a Milano, io mi sento invaso, attraversato da quel sorriso, il sorriso di un 28 enne morto e torturato. Il sorriso di un piccolo grande martire.
Perché succede ai nostri migliori figli di finire i loro giorni in tragedia, mentre le loro vite potevano rappresentare semi fertili di riscatto per un paese sempre più malinconicamente sterile?
Perché questi drammi (penso anche a Valeria Solesin) portano alla ribalta famiglie piene di civiltà, cultura, compostezza, genitori che paiono titani nel loro vivere il dolore accogliendolo come un ineluttabile dono, così lontani dall’idea che abbiamo del nostro concittadino medio?
Dove vivono, perché si nascondono queste anime belle, lasciando spazio alla volgarità che connota l’immagine della nostra società? Perché non escono allo scoperto ad educarci tutti, a insegnarci che il dolore non chiama vendetta ma evoca il perdono, che la perdita più atroce nasconde uno straordinario potere di conoscenza e di lettura del tempo e dei suoi eventi, e che non c’è bisogno davvero di correre dietro alla mummia in teca di un santo, per trovare risposte?
Perché Giulio te ne sei andato, lasciando una nazione vecchia e sboccata, ancora più sola? Ma soprattutto perché ti dimenticheremo presto, come abbiamo fatto con Valeria, e torneremo ai nostri stanchi rituali moderni, accettando parte degli stessi meccanismi sociali che ti hanno torto il collo in Egitto?
Tu studiavi il lavoro e le sue forme di aggregazione in un paese a democrazia limitata. Tu, nell’era della smaterializzazione dei processi produttivi, seguivi lavoratori con mani callose e stipendi da fame, che cercavano strumenti di organizzazione per rivendicare giustizia sociale.
Sei morto per questo, non per aver militato, ma per aver solo cercato di capire le ragioni che spingono i deboli a rischiare la vita pur di ottenere un futuro diverso, ossia le ragioni sociologiche della militanza, la sua radice generativa.
Che strane le tue passioni Giulio, passioni così fuori moda, invise alla narrazione politica del paese che avevi lasciato, eppure evidentemente ancora immanenti all’uomo e alla società. Passioni incongrue sulle spalle di un ragazzo di 28 anni o forse no, se a quel ragazzo sono costate la vita.
Ti dimenticheremo Giulio perché non siamo alla tua altezza, siamo istantanei e codardi, ignavi stanchi e disillusi, o forse perché l’oblio è in fondo il posto migliore dove le anime maggiori come la tua vogliono stare e la unica cura per quelle “minori” che della memoria hanno paura, perché la memoria non perdona l’ignoranza, scansa l’incivilta’, incita alla coerenza. Te la fa scontare ogni giorno, la tua pena. Mentre tu la tua, ingiusta, l’hai pagata in poche ore, e senza saperlo, senza volerlo, sei diventato un esempio per tanti bravi ragazzi fuori moda come te, con il tuo sorriso dolce, i tuoi occhi furbi e la tua anima libera più che mai adesso di osservare e capire.
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