Media
Giornalismo e pubblicità. L’era del ‘branded content’
Ai tempi delle scuole superiori – in pieni Anni Ottanta – uno dei miei amici si era messo in testa di registrare le pubblicità che passavano in Tivvù. “Saranno le cose più sensate che ricorderemo di questo tempo – si accalorava mentre metteva in fila le cassette Vhs in uno scaffale di casa -: è un linguaggio nuovo, è cultura”. Quell’intreccio tra musica, immagini, slogan, battute più o meno fulminanti, tormentoni lo affascinava. E nemmeno poco. Così, sul nastro, aveva impresso minuti e minuti di reclame, alcune divenute celebri. Al punto da segnare il linguaggio comune. Il frasario di tutti i giorni.
Era partito da una pubblicità della Barilla diretta da Federico Fellini. Quella in cui una distinta signora, seduta in un ristorante a parecchie stelle, rispondeva ammiccante al cameriere che le snocciolava un menù infarcito di raffinati piatti francesi con un corposo ‘rigatoni’.
Da lì in poi, le videocassette si erano riempite di immagini e parole che sarebbero rimaste impresse nella memoria e nel lessico di consumatori e telespettatori: da Nino Manfredi e il suo caffè, che ‘Più lo mandi giù e più ti tira su’, alla giovane che a chi le indica il maglione e le chiede ‘Nuovo?’ replica con ‘No, lavato con Perlana’. E poi, La telefonata che ti ‘allunga la vita’ di Massimo Lopez, il ‘Piladelpia’ di Kaori e il ‘Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano’ a rimbalzare da una rete all’altra fino alla saga della ‘Famiglia del Mulino Bianco’. Divenuta un’icona della pubblicità italiana ma pure il paradigma del perfetto focolare domestico da contrapporre, nella quotidianità, agli alti e bassi della famiglia comune.
Immagini che colavano pure sulla carta stampata a rinnovare, anche sul media più paludato, quello che ora chiameremmo lo storytelling. In maniera diretta. Più che scoperta. Come si conveniva alla comunicazione pubblicitaria di quei tempi. Lontana anni luce dai dettami odierni.
Già, perché se allora il mantra della reclame doveva essere, non solo ripetitivo, ma ben riconoscibile anche sulla carta, oggi il mantra è l’inconoscibilità, il nascondimento che orienta. Indirizza, senza che uno se ne accorga. Più o meno. E che crea non pochi problemi anche al giornalismo. Quegli articoli, relativi a prodotti più disparati, inseriti in riquadri con la scritta publi-redazionale – pur palesandosi ancora – iniziano ad essere quasi un retaggio del passato: ora la nuova frontiera è il ‘branded content’, il ‘pezzo’ realizzato per uno sponsor. Ben scritto, affatto pubblicitario. In cui il prodotto non si vede ma si ‘percepisce’. E in cui il nome dell’azienda non compare. Ma aleggia.
Chessò, se si parla di ‘biologico’, nell’articolo si concionerà di come è cambiato il mondo dell’alimentazione, quali cibi facciano bene e quali meno bene. Quanto l’atteggiamento dei singoli sia sempre più orientato a stili di vita sani: a quel punto il nome del prodotto o l’azienda che lo commercia diventa ininfluente. Lo slancio verso un atteggiamento salutista spingerà il lettore-consumatore verso quella nicchia in cui si muovono le aziende del settore. Senza dover per forza legare le parole a una immagine. A un marchio. Una rivoluzione. E un crinale, per il giornalismo e per i cronisti, più che scivoloso (qui una bella riflessione sul tema) : il lettore non dovrebbe essere ben consapevole del fatto che in quello che viene scritto si possa celare, in maniera quasi subliminale, un altro messaggio? Non dovrebbe essere avvertito?
Interrogativi – retorici – che aprono il dibattito sulla nuova comunicazione. Quella in cui le aziende si sono messe a giocare ad ampio raggio. Anche ribattendo, colpo su colpo, a inchieste e indagini giornalistiche, spalancando di fatto, una breccia nel confronto coi media e il loro ruolo, così si vorrebbe, di ‘cani da guardia della democrazia’.
Nuova comunicazione. Che fa quasi rimpiangere la vecchia pubblicità Anni Ottanta. Quella che nei film – adesso si dice ‘product placement’ e nelle trasmissioni televisive è solitamente esplicitato – metteva in mano all’attore o all’attrice di turno un prodotto definito, spesso esibito in maniera così smaccato da strappare un sorriso per la ‘quasi ingenuità’. Oggi svanita.
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