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Giornalismo e comunicazione aziendale: il “Cortocircuito” arriva in libreria

25 Luglio 2016

“Tavolo rovesciato. Verticalità bidirezionale. Ecosistema d’informazione livellato. Spreaded storytelling. Buzz plurality. Confine mobile. Sono solo alcune delle definizioni coniate nel corso degli ultimi due anni per provare a inquadrare quella che secondo molti addetti ai lavori è la next big thing del mondo dei media, carica di rischi ma anche di opportunità: la contaminazione fra comunicazione aziendale e informazione”.

Comincia così Cortocircuito: Comunicatori e giornalisti nell’era dell’informazione digitale,  ebook gratuito, nelle scorse settimane in testa alla classifica dei libri più scaricati da Amazon, realizzato da Eniday e IFTStudio che prende spunto dagli incontri dell’edizione 2016 del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia per definire lo stato dell’arte nella comunicazione moderna.

Attraverso lo studio di casi attualissimi come le strategie adottate da varie aziende per rispondere ai discussi servizi di Report, le pagine di colossi come Coca Cola e General Electric, ormai più simili a vere e proprie testate che a siti corporate, le politiche di “ascolto” degli utenti attraverso i social network e gli interventi di esperti (Giovanni Boccia Artieri, Mafe De Baggis, Anna Masera e molti altri), Eni e IFT Studio in questo e book provano a rispondere a domande sempre più in atto oggi: il brand journalism salverà il giornalismo in crisi o rappresenta un’invasione delle aziende nel campo dei media? La disintermediazione tra testate giornalistiche e grandi compagnie costituisce un rischio o garantisce maggiore trasparenza? E come lavora il comunicatore dell’era digitale?

Se è vero che le aziende non possono fare giornalismo puro, ma sono riuscite a diventare una fonte primaria e producono ormai informazione c’è bisogno allora di ridefinire professionalità e competenze, business plan delle testate tradizionali e forse l’idea stessa di giornalismo come la conoscevamo. L’azienda oggi ha e deve avere la capacità di sovrapporre un proprio storytelling di tipo giornalistico a quello che fanno di lei i giornali e i media tradizionali tutti.
L’urgenza di comunicare impone quindi tempi e modi diversi rispetto al modo di comunicare di una volta. Il comunicato stampa, la tv e il giornale arrivavano nello stesso modo a tutti e il messaggio veniva interpretato senza commenti e riscontri diretti. In questo momento storico invece c’è la necessità di personalizzare il messaggio da consegnare ai diversi target di utenti, e attraverso i social network e il digitale bisogna interagire con la propria community e dare risposte, approfondimenti, anche con la mediazione dei giornalisti, ma senza perdere di vista l’obiettivo di rafforzare il brand anche come promotore di informazione (aziendale) di qualità.

Colossi dell’informazione come Guardian, New York Times e Le Monde all’interno delle loro redazioni hanno già le loro unità specializzate in branded journalism da tempo, e questo dovrebbe suscitare interesse da parte delle testate nostrane. Se l’azienda, infatti, ha la responsabilità di offrire informazioni quanto più possibile veritiere, i giornali continuano ad avere il compito di verificarle, di indagare. E se un giornale si offre come veicolo dell’informazione aziendale, proprio come i colossi di cui scriviamo sopra, non può e non deve soccombere al “ricatto” di esserne schiavo. Il cambiamento al quale stiamo assistendo coinvolge tanto chi produce contenuti quanto chi ne fruisce. Le grandi aziende trovano un loro spazio e acquisiscono sempre di più un ruolo all’interno del mondo della comunicazione e dell’informazione digitale. Forse il futuro si misurerà sulla gestione del rapporto tra giornalismo vero e proprio e branded journalism, sull’equilibrio tra due mondi che hanno sempre di più bisogno l’uno dell’altro.

“Il cortocircuito non è positivo o negativo di per sé – si legge nelle conclusioni dell’ebook Eni – ; è un processo storico, e tutto dipende da come saremo capaci di gestirlo: il futuro orwelliano in cui un giornalismo completamente prono alle aziende diventate media companies si occupa di indirizzare e occultare la realtà è uno scenario altrettanto irrealistico, e non tanto perché non piacerebbe a certe aziende, a certi comunicatori (o a certi giornalisti), quanto perché diventa impraticabile per fini prettamente utilitaristici: abbiamo già visto che mentire, occultare, ignorare i cittadini o provare a blandirli si risolve quasi sempre in un pesantissimo boomerang. Il cortocircuito può produrre un nuovo tipo di giornalismo, costretto a dichiarare i suoi conflitti d’interesse con maggiore trasparenza che in passato. Può spingere le aziende a mettersi in ascolto e confrontarsi con il pubblico con un’attenzione mai sperimentata finora. E può generare un cambiamento nel quale chi si forma come giornalista e come comunicatore troverebbe un panorama professionale meno asfittico, meno schiacciato in logiche di emergenza, paradossalmente più libero. Il cortocircuito sta generando enormi opportunità. Sta a noi riuscire a coglierle.”

Una sfida aperta al futuro, e che vale per tutti: perché interroga la capacità delle aziende di parlare lingue interessanti per il pubblico, e quella dei giornalisti che, più che mai, sono chiamati a costruire e rinnovare i propri strumenti. Per dialogare con un contesto cambiato, certamente, ma anche e soprattutto per tenere viva (o ritrovare) la capacità di fare informazione e di trovare e verificare notizie. Agli editori il fondamentale compito di tenere insieme le due facce della luna: che senza investitori si muore, e senza lettori anche.

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