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Facebook: come il social network sta diventando una puntata di Black Mirror
L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il caso Cambridge Analytica. Ma che qualcosa nel mondo digitale non andasse lo avevamo già iniziato a percepire; i segnali c’erano già tutti. Il caso della diffusione dei dati utente trasmessi a terzi, con lo scopo di influenzare votazioni o semplicemente contribuire a veicolare un pensiero, è stato il caso più eclatante per far materializzare un problema, portato alla comprensione di una vasta platea.
Una navigazione web, un like su una pagina, operazioni all’apparenza innocue e alla portata di tutti -grandi e piccoli- rappresentano la base di una tendenza, che gradualmente si sta trasformando in un problema. Essere tracciati, studiati, classificati, dipende da noi e dalle nostre operazioni quando siamo connessi (da desktop e da mobile). L’io digitale (inteso come presenza on line) non è il soggetto utile agli sceneggiatori di Black Mirror, ma una verosimile trasformazione verso una società distopica, di cui facciamo parte e di cui dovremmo iniziare ad aver timore. Potrebbe rappresentare una provocazione, a tratti un paradosso, ma Cambridge Analitica è il frutto del nostro utilizzo dei social. Nessuno ne sa nulla ma tutti contribuiscono ad alimentarla. L’incapacità di percepire il valore dei dati non giustifica il nostro comportamento, ma ci rende colpevoli.
Nei mesi scorsi un ex di Facebook, Chamath Palihapitiya ex vice-presidente della crescita degli utenti della piattaforma, in occasione di un evento tenutosi nel novembre scorso presso la Stanford Business School ha usato parole forti per circoscrivere il fenomeno:
I social network erroneamente indicati come il problema, dovrebbero in realtà essere identificati come l’innesco di una rivoluzione, che in quanto tale hanno cambiato radicalmente la nostra cultura. Rispetto solo ad un decennio fa: i modi di vivere e comportamenti quotidiani hanno subito una drastica virata. E’ innegabile come certe abitudini abbiano influenzato il cambiamento della società in cui viviamo. Uno studio condotto da Mediakix, agenzia di marketing influencer ha evidenziato che un utente medio spenderebbe sui principali social network 5 anni, 3 mesi e 18 giorni della propria vita.
Cosa più grave è riflettere sul legame tra social e generazioni future. Sean Parker, pezzo grosso della Silicon Valley e primo presidente del social ai tempi degli albori, in tempi recenti ha dichiarato con affermazioni molto forti: “Solo Dio sa cosa sta succedendo al cervello dei nostri piccoli”, ponendo inoltre l’accento su quanto il social di Zuckerberg stesse sfruttando le debolezze della psicologia umana.
Su un tema diversi studi sono d’accordo: i social network sono responsabili di disturbi sociali. Ansia, solitudine, appagamento personale rappresentano la punta di un iceberg in un oceano di connessioni fittizie. Nekeshia Hammond, psicologa, speaker, autrice e presidente eletto della Florida Psychological Association, ha approfondito l’argomento ed ha evidenziato come l’uso dei social network abbia forti impatti sulla condizione di salute. Dallo stato di dipendenza, fino alla stanchezza per i costanti stimoli che riceviamo, sono soltanto alcuni delle problematiche scaturite dall’utilizzo delle piattaforme digitali. Ben più grave l’impatto sulla soddisfazione personale:
il nocciolo della questione è che i social media mettono in evidenza i “momenti salienti” della vita delle persone. Quando tutto ciò che vedi sono immagini meravigliose di vacanze, coppie follemente innamorate e le migliori cene casalinghe mai viste, potresti iniziare a sentirti come se ti stessi perdendo qualcosa. La realtà è che tutti hanno giorni infelici, ma la maggior parte delle persone non li pubblica
Una ricerca del dipartimento di psicologia dell’Università dello Utah, negli Stati Uniti ha evidenziato come l’eccesso di solitudine produca un rischio di mortalità precoce simile a quello dell’obesità. Avere una rete sociale ampia e attiva (social) non è sintomo di buone relazioni. Le reti sociali create dai social network potrebbero essere fraintese. I Millennials (nati più o meno dall’inizio degli anni Ottanta alla fine dei Novanta) stanno vivendo a pieno la rivoluzione dei social network e secondo un’indagine pubblicata su Psychologycal Bullettin sarebbero proprio loro più propensi a puntare al perfezionismo; in una forma deleteria. Le piattaforme come Facebook, basate su sistemi di metriche (like, numero di amici e follower) alimenterebbe una costante competizione. La necessità di una continua approvazione crea stress, in assenza dell’appagamento delle metriche le conseguenze potrebbero portare a stati di depressione.
Da uno studio condotto dalla University of Queensland, in Australia eliminare il proprio account da Facebook porterebbe dei benefici. Stress e senso di solitudine sono palesemente diminuiti nei partecipanti al test a cui è stato sottoposto l’obbligo di allontanarsi dal social. I social network come Facebook instillano malesseri su una sfera emotiva. Un rimedio c’è. Vittorino Andreoli in una intervista, interrogato sul tema si è così espresso sul figlio digitale di Mark Zuckerberg:
Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l’individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. L’individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate […] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l’apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita.
E se non bastassero numeri, dati e ricerche a circoscrivere le piattaforme digitali come dei non luoghi della felicità, ci sono le parole di Tavis McGinn, ex dirigente della società, a sottolineare con una percentuale la potenza globale di quello studente di Harvard dallo sguardo vitreo: “Zuckerberg ha il 60% dei diritti di voto della società, un individuo con il pieno controllo sull’esperienza di due miliardi di persone, neanche il presidente degli Stati Uniti ha questo tipo di controllo”.
E adesso aprite gli occhi…
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