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Ernesto risponde a Galli Della Loggia
Oggi Galli della Loggia risponde a se stesso sulla questione dell’inclusione dei diversamente abili nelle scuole italiane. Nell’editoriale del 20 gennaio sul Corriere della Sera, “Il dibattito sulla scuola e la sfida dell’inclusione“, mette i puntini sulle i: un dislessico non è uguale a un disabile grave, questo Ernesto lo ammette, e quindi sarebbe sbagliato fare di tutta l’erba un fascio (come aveva fatto peraltro nell’articolo precedente).
Ernesto adesso si focalizza di più sui disabili gravi (anche se le definizioni sono lo stesso un po’ ballerine), ai quali le scuole pubbliche italiane non sarebbero in grado di fornire un’assistenza di qualità. Più in particolare, i cosiddetti insegnanti di sostegno dei disabili gravi non sarebbero formati a sufficienza per occuparsi di loro, ma soprattutto i predetti docenti sembrerebbero più interessati a entrare nella scuola utilizzando il sistema secondo il quale tre anni di precariato, appunto come insegnante di sostegno, consentono di entrare a far parte delle liste di precari che vantano il diritto di vedersi assegnata una quota garantita dei posti attribuiti ufficialmente nei concorsi, che in Italia si rivelano da sempre delle sanatorie mascherate per i precari, e non invece dei seri processi selettivi dei docenti più preparati per svolgere il loro lavoro.
Come dar torto a Galli Della Loggia su un simile punto, rispetto al quale Gian Antonio Stella ha versato litri di inchiostro, come nel libro “La deriva”, in cui un intero capitolo è dedicato al sistema perverso dei finti concorsi che mascherano le sanatorie dei precari.
Su questo tema sarebbe però interessante invitare il ministro Valditara a esprimersi, visto che sta cercando di ingraziarsi l’attuale corpo insegnante con le promesse di future prebende. Non sembra infatti che Valditara abbia la benché minima intenzione di opporsi all’ennesima sanatoria mascherata da concorso (o viceversa, ma il concetto è sempre lo stesso), ovvero il secondo bando di concorso PNRR, che inizialmente era previsto per febbraio 2024, ma sarà spostato a settembre/ottobre 2024, a cui possono per l’appunto partecipare i triennalisti, ovvero i precari, ovvero i docenti con almeno tre anni di servizio scolastici anche non continuativo negli otto anni precedenti: a loro è riservato il 30% dei posti disponibili (per “concorso”).
C’è invece un tema sul quale non te la senti proprio di dar ragione a Ernesto che risponde all’articolo di Galli della Loggia: i bambini bengalesi, chiamati proprio così, “bambini bengalesi”, che non dovrebbero stare in classe con gli italofoni, almeno fino a quando non hanno imparato la lingua del paese dei limoni. Sorvolo sul fatto che nell’azienda dove lavoro vengono fatti dei corsi su quella che oggi viene chiamata “Diversity and Inclusion”, in cui ci spiegano che è vietato utilizzare espressioni come: “la collega con i ricci”, perché significherebbe identificare una persona con un dettaglio che non può definirla nella sua interezza. Magari la collega con i ricci è un ingegnere informatico, e potrebbe risentirsi a essere semplicemente definita come una riccioluta.
Ma Galli della Loggia non si fa tutte queste menate: i “bambini bengalesi” forse starebbero meglio in classe riservate ad altri bambini bengalesi, aggiungo anche cingalesi, indiani, cinesi, e stranieri in generale, in cui imparano per almeno tre mesi l’italiano, prima di essere inseriti nelle classi con gli italofoni (definiti proprio così: italofoni), che potrebbero (carità sua) anche essere bambini bengalesi che parlano l’italiano (magari perchè sono nati a Milano).
Certo, nessuno vuole dare lezioni di political correctness, sapendo quanto il campo è minato, ma il buon gusto lo si può ancora richiedere a chi firma gli editoriali sul Corriere della Sera. Perché se no, anche noi, pallidi epigoni dell’editorialismo di punta del maggior giornale nazionale, potremmo riferirci a Galli Della Loggia come a un ottantenne con la barba, forse col rischio di offenderlo, e giustamente, perché nessuno ha il diritto di definire gli altri sulla base di una loro semplice caratteristica, estrapolata da tutte le altre, come per esempio il paese di origine dei genitori di un bambino.
Aggiungo che se fossimo in America il bambino bengalese in questione, se nato in America, sarebbe americano, visto visto che negli Stati Uniti vige lo Ius Solis. Ma non voglio neanche negare la gravità delle dimensioni degli attuali fenomeni migratori: persino New York, che si considera da sempre una città aperta, è sommersa da una crisi migratoria che non ha precedenti. Le strade di New York ospitano le tende per i clandestini arrivati non solo dal Messico ma anche da altri paesi dell’America Latina come l’Ecuador, dove abbiamo di recente assistito a un tentativo di golpe “spontaneo”, per mano della criminalità organizzata che ha cominciato a spare nelle strade anche a semplici cittadini.
Nessuno però negli Sati Uniti mette in discussione il fatto che i figli dei clandestini abbiamo il diritto di andare a scuola, e oggi le scuole di New York sono piene di bambini che parlano spagnolo, a cui gli insegnanti più volonterosi traducono dall’inglese allo spagnolo quello che spiegano, in attesa che i bambini imparino l’inglese.
Siamo quindi di fronte a un fenomeno di migrazioni internazionali al quale nessuno sa se sia possibile rispondere con la chiusura delle frontiere, quando queste sono per lo più marittime come quelle italiane, o porose come quella americana col Messico. L’unica cosa di cui possiamo dirci sicure è che i bambini, senza altri aggettivi qualificativi, hanno diritto ad avere un’istruzione. Punto. Insieme ai loro coetanei, definiti anche loro senza altri aggettivi qualificativi.
Le nuove generazioni, a partire dai millennials, non sono più razziste, fatto appurato da decine di ricerche sull’orientamento politico dei ragazzi. As a consequence, chiederemmo a Ernesto che risponde a Galli della Loggia di non utilizzare utilizzare delle categorie politiche per giustificare il suo pensiero, perché il razzismo è solo una categoria politica, che peraltro meriterebbe di andare in soffitta.
P.S. Un esperto di geopolitica internazionale saprebbe indicare quale quota delle migrazioni internazionali non siano scatenate da paesi come per esempio la Russia (dodici milioni di ucraini hanno lasciato il loro paese) con l’obiettivo di destabilizzare l’Occidente, in cui duemila anni di cristianesimo hanno formato individui sinceramente inclusivi, e che adesso corrono il rischio di diventare sinceramente esclusivi, sotto il peso dei numeri dei rifugiati politici e degli immigrati economici (che devono spesso pagare il dazio alle mafie mondiali per potersi spostare).
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