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Edicole, cambiare o morire
Sommario:
- In Italia, dal 2001 ad oggi ben 13mila edicole – quasi un terzo del totale – hanno chiuso i battenti. Un vero e proprio tsunami che non ha risparmiato nessuna parte del paese: a Milano come a Napoli, gli edicolanti sono alle prese con una crisi devastante.
- I guai degli edicolanti nascono da un mix di problemi vecchi e nuovi. Ma a pesare, soprattutto, è l’affermarsi del digitale. Negli ultimi 15 anni, siti internet e copie digitali hanno conosciuto un vero e proprio boom; mentre le vendite delle copie cartacee dei giornali sono crollate: per i quotidiani siamo quasi a un -50%.
- Associazioni di categoria e sindacati attendono con ansia la riforma dell’editoria allo studio del governo. E qualcuno prova a disegnare l’edicola del futuro: oltre ai giornali anche altri servizi, compresi quelli postali. Ma le edicole avranno davvero un futuro nell’era di smartphone e tablet?
Il cahier de dolèance dei giornalai
Milano, via Vittor Pisani, poche centinaia di metri dalla stazione centrale. Paolo parla da dietro il bancone dell’edicola di cui è proprietario. E la sua crisi la riassume così: “Reggiamo. Ma prima avevamo quattro o cinque dipendenti, adesso siamo rimasti solo io e mio papà”. L’edicola di Paolo era una delle poche, a Milano, aperta 24 ore. Adesso, oltre ai dipendenti, si è ridotto anche l’orario: alle 9 di sera si abbassa la serranda, e tutti a casa.
Colpa dei giornali che si vendono meno, spiega Paolo. Ma colpa anche delle videocassette e dei DVD (anche a luci rosse) che un tempo andavano come il pane, e ora non più. “E’ che adesso – si lamenta Paolo – si trova tutto su Internet. E gratis”. Non solo i siti dei giornali, anche i film. E anche “quei” film.
Già, internet. E’ questo l’unico problema? “Nooo, ma che scherza?”, dice Laura, anche lei proprietaria di un’altra edicola poco lontano. “Intanto – elenca Laura – con la crisi la gente risparmia su tutto. E poi ci si mettono pure gli editori che ci fanno concorrenza con gli abbonamenti a casa a prezzi stracciati; e i distributori che ci fanno pagare anticipato; e…”. E un lungo elenco di altri problemi vecchi e nuovi.
Lungo come la crisi che da anni morde il settore e che sta, pian piano, cambiando il sistema di distribuzione dei giornali e il panorama delle strade italiane: tante edicole stanno sparendo.
I numeri della crisi
Solo nel 2014 e solo a Milano – secondo i dati raccolti dal Sindacato Nazionale Autonomo Giornalai (SNAG) – hanno chiuso 36 edicole (erano 577; sono diventate 541).
E non è andata meglio neanche nelle altre grandi città italiane: a Roma le edicole chiuse solo negli ultimi dodici mesi sono state 45 (da 920 a 875); a Napoli, 19 (da 409 a 390).
Questi dati, però, rappresentano solo l’ultimo capitolo di una crisi cominciata addirittura quindici anni fa, cioè all’inizio di questo secolo. Sempre secondo lo SNAG, infatti, dal 2001 ad oggi hanno chiuso circa 13mila edicole. E adesso ne sono rimaste solo 28mila aperte. Un terzo (o quasi) è stato spazzato via.
Il difficile rapporto con gli editori
Insomma, la situazione è drammatica. E i giornalai si lamentano innanzitutto dell’atteggiamento di chi, secondo loro, dovrebbe essere più interessato alla buona salute delle edicole: gli editori.
Dice agli Stati Generali Armando Abbiati, presidente di SNAG: “In qualsiasi settore la rete di vendita rappresenta un modo di mantenere un contatto diretto col cliente. Spesso l’edicolante instaura un rapporto umano con il consumatore: è un interlocutore, un confidente, forse anche un amico che si incontra in piazza ogni mattina. L’editore, però, non lo considera degno della stessa considerazione, anzi a volte sembra che lavori per annientarlo”.
Come? Questo avviene – secondo lo SNAG – attraverso i prezzi tagliati; gli abbonamenti a prezzi bassissimi che bypassano le edicole; le vendite di quotidiani “prendi due paghi uno”. Tutti modi per vendere di più, ma che penalizzano i guadagni dei giornalai. E alla lunga, spiega sempre Abbiati, forse non solo dei giornalai: “Il prodotto lo sviliscono, in alcuni casi lo uccidono”, dice. E fa l’esempio della free press: “Si dà l’idea che le notizie si possano ottenere a costo zero. E perché io dovrei pagare per qualcosa che posso trovare gratis?”.
Carta vs Digitale
Al di là dei rapporti difficili con chi produce i giornali, le cause dello tsunami che ha investito le edicole sono tante. Ma l’elemento che più balza all’occhio sono altri numeri: quelli della carta stampata. Numeri messi nero su bianco proprio dagli editori. Numeri rosso sangue.
Spulciando gli studi elaborati dalla Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), si scopre infatti che gli italiani amano sempre meno la versione di carta dei quotidiani: nel 2000 se ne vendevano poco più di 6 milioni di copie; nel gennaio del 2014, 3 milioni 300mila. Poco più della metà.
E anche i cosiddetti periodici non se la passano certo bene. I settimanali – sempre secondo gli ultimi dati analizzati dalla FIEG – sono passati dalle poco più di 15 milioni di copie cartacee vendute del 2001 a 9 milioni di copie cartacee vendute nel 2013. E i mensili hanno fatto ancora peggio: copie cartacee vendute più che dimezzate: da 15 milioni di copie (nel 2001) a 6,9 milioni (nel 2013).
Insomma: di carta – si badi bene: carta – se ne vende sempre meno. E per tre ragioni.
La prima è – per la FIEG – la crisi economica: gli italiani tengono sempre più chiuso il loro borsellino e risparmiano anche sul giornale preferito.
La seconda, invece, è tecnologica: l’avvento del digitale. Mentre crolla la carta stampata, aumentano esponenzialmente i lettori dei siti web dei giornali, così come la circolazione delle copie digitali (i pdf) che – solo nel biennio 2011-2013, l’ultimo analizzato da FIEG – sono raddoppiate (da 176mila a 359mila).
La terza, infine, è tutta da capire. I numeri raccolti e analizzati certosinamente ogni anno da FIEG ci dicono infatti che oggi le persone apprezzano meno i giornali, soprattutto settimanali e mensili: i lettori dei periodici, infatti, nel 2001 erano ben 33 milioni e 700mila; nel 2013, solo poco più di 28 milioni. E ancora: anche i lettori dei quotidiani, nello stesso periodo, sono calati di mezzo milione (da circa 19,5 milioni a 19milioni).
Ergo: non è solo che gli italiani i giornali li comprano meno (per poi guardarseli gratis al bar o dal parrucchiere). E’ che proprio li leggono meno.
Solo un disamoramento passeggero o la “forma giornale”, nell’era di internet, non convince più?
Come uscire dal pantano
In attesa di capire cosa porterà il futuro nel mondo del giornalismo, gli edicolanti stanno lottando per risolvere i tanti problemi del presente. Per il presidente del Sindacato Nazionale Giornalai, bisognerebbe innanzitutto ridistribuire meglio spese e guadagni: “Bisognerebbe limitare lo strapotere della distribuzione – dice Abbiati a Gli Stati Generali – che vessa gli edicolanti con contratti capestro. Poi, rivedere il compenso sulle vendite, perché non si può pensare che percependo il 19% lordo sulla vendita della pubblicazione, l’esercente possa sostenere tutti i costi”. E chissà, si augura Abbiati, che la riforma dell’editoria allo studio del governo Renzi non porti buone notizie anche per i giornalai, magari proprio in questo senso.
Chissà, appunto. Nel frattempo, però, ci sono meno giornali da vendere e più conti da far quadrare. A Roma, le edicole hanno così ottenuto – già da un anno – il permesso di vendere anche generi alimentari e bibite. E’ questa la soluzione? Allargare la gamma dei prodotti al cibo? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Marchica, segretario nazionale di un altro sindacato degli edicolanti, il SINAGI (che poi è la CGIL).
Marchica è scettico: “E’ solo un palliativo – spiega – anche perché di baracchini che vendono roba da mangiare ce ne sono a non finire. Quello che può dare risultati, invece, è offrire un sistema integrato di servizi pubblici”. Il segretario del SINAGI pensa alla possibilità – che da alcuni giornalai esiste già – di pagare multe, tasse e bollette. Ma non solo.
Il sogno è quello di mettere la mano su parte dei servizi postali: “Le poste – dice il segretario del SINAGI – stanno cercando di ridurre il numero dei passaggi dei postini, facendoli passare una volta ogni due giorni, e di chiudere gli uffici postali più piccoli. Bene, la nostra proposta è quella di fare diventare i punti edicola anche punti postali. I cittadini potrebbero consegnare lì lettere e raccomandate da spedire. L’edicolante, poi, potrebbe consegnarle al furgone che distribuisce i giornali, che a sua volta le dovrebbe portare nell’ufficio postale più vicino”. Insomma, vorreste utilizzare la rete di distribuzione dei giornali per distribuire anche la posta? “Esatto”, risponde Marchica che spiega che trattative anche con concorrenti di Poste Italiane sarebbero già in corso.
Il futuro e le edicole
Funzionerà? E le lettere di carta non sono forse un altro business in via di estinzione? Perché lì sembra essere sempre il nodo: la carta arretra e cede il posto al digitale. E se un domani la carta stampata dovesse proprio sparire, che faranno le edicole?
Lo abbiamo chiesto ancora una volta al presidente di SNAG, Armando Abbiati: “Mi chiedo – risponde – piuttosto cosa faranno gli editori. In futuro ci sarà davvero spazio per le testate online o ci saranno solo degli aggregatori di notizie? Oggi gli editori devono fronteggiare già grandi colossi come Google che non pagano i diritti d’autore. Con la diffusione dei social network come Twitter, chiunque può diventare un corrispondente in tempo reale. Pensi ad esempio alla diffusione di Periscope: basta avere uno smartphone per mandare qualsiasi cosa in diretta in tutto il mondo. A che serve l’editore allora?”.
Il male, per editori e edicole, insomma potrebbe essere comune. Ma di gaudio, forse, non ce ne sarà per nessuno.
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