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E se fosse il cinema a raccontarci la Storia?

30 Giugno 2017

Si può raccontare la Storia attraverso il cinema?
E’ la domanda che si è fatta il critico cinematografico Alberto Crespi, autore del libro “Storia d’Italia in 15 film” edito da Laterza.
Ogni film, riflette l’autore, è in fondo una duplice testimonianza : quella del periodo storico in cui è ambientata la sua trama e quella del periodo in cui è stato girato.
Mettere a fuoco queste “testimonianze” è il progetto che ha animato la stesura del libro, ricco di informazioni utili e di riflessioni stimolanti.
Crespi parte dall’anno dell’unità d’Italia e arriva ai giorni nostri, individuando quindici eventi importanti che nel bene o nel male, hanno segnato il paese, diventando veri e propri spartiacque: la spedizione dei Mille, la guerra di Libia, la prima guerra mondiale, il consolidarsi del fascismo, l’8 settembre, la Resistenza, il 48, il boom degli anni ’60, la contestazione del ’68, Piazza Fontana, la morte di Pasolini, l’ascesa di Berlusconi, le violenze alla Diaz, l’affermarsi delle cosche criminali.
La scelta dei film individuati per raccontarci il contesto storico di riferimento a volte è quasi ovvia.
Difficile, se ci si riferisce al fascismo, non farsi venire in mente “Amarcord” di Fellini (1973), addirittura automatico il collegamento tra l’8 settembre del 1943 e il bellissimo “Tutti a casa” di Comencini.

In altri casi il collegamento tra l’evento scelto e il film che lo racconta o lo richiama è meno intuitivo.
A chi verrebbe in mente, per esempio, un collegamento tra il ’68 e la serie televisiva “Sandokan” di Sergio Sollima, tra l’altro girata 8 anni dopo, nel 1976?
Che collegamento esiste tra la Tigre della Malesia e i protagonisti di quel periodo pieno di tensioni, di slanci, di illusioni dure a morire?
Diciamo subito – ci spiega Crespi –  che il romanzo di Salgari, al quale si ispira la serie, non è altro che un pretesto per affrontare un tema che lo scrittore, interessato  soprattutto alla costruzione di trame avvincenti e movimentate, non si sarebbe mai sognato di evocare e amplificare: quello della rivolta contro la repressione del capitalismo.
Il tema dell’eroe romantico che combatte per il suo popolo c’è anche in Salgari – scrive Crespi -ma nel romanzo Sandokan è soprattutto una specie di supereroe.

Il Sandokan di Sollima, invece, è un leader che fa pensare al Vietnam, al Che,  a Cuba e alla Resistenza.

Chi accusa il regista di avere “travisato” Salgari, come hanno scritto diversi critici televisivi dell’epoca, non capisce due cose elementari , cioè che, pur raccontando una storia di pirati,  il film “parla in realtà  dell’imperialismo capitalista” e che “Salgari, con la sua scrittura fiammeggiante e naïf, è un inesauribile serbatoio di storie che devono essere travisate per renderle moderne”.

Lo sceneggiato si chiude con la sconfitta, ma – ci ricorda Crespi – nelle sequenze finali il mare malese si riempie di vele : nuovi combattenti arrivano a sostenere la causa.
“La frase finale della sesta puntata è politica, non romantica: Trema, Inghilterra, la tigre è ancora viva”.

Il libro è pieno anche di aneddoti interessanti che riguardano i preparativi dei film, il rapporto tra autori e interpreti, e le vicende di lavorazione.
Interessante, ad esempio, è quanto ci viene raccontato su Don Camillo, film che Crespi collega al periodo dell’immediato dopoguerra.
Il film doveva essere diretto da Vittorio De Sica, al quale il produttore era arrivato ad offrire la somma,  per l’epoca notevolissima, di 100 milioni. Il regista però faceva resistenza. Era l’epoca in cui stava progettando di realizzare Umberto D. e considerava quell’impegno prioritario.
Alla fine la scelta cadde su Julien Duvivier, un regista francese che negli anni Trenta aveva firmato capolavori come Il bandito della casbah e Carnet di ballo.
E’ al regista francese che si deve la scelta dell’attore che interpreterà Don Camillo, Fernandel.
Scelta azzeccatissima, come dimostreranno poi i 5 film della serie.
Per la parte di Peppone, come è noto, venne invece scelto Gino Cervi.
Non tutti però sanno che questa soluzione aveva rischiato di non andare in porto.
Crespi ci racconta perché.
Cervi aveva fatto dei provini con l’abito talare, era cioè stato individuato come possibile interprete di don Camillo.
e quando gli proposero di interpretare il sindaco Peppone, disse di no, considerava quella soluzione un ripiego inaccettabile.
A quel punto vennero girate alcune scene con Giovannino Guareschi, autore del romanzo, nella parte di Peppone.
Fu Guareschi stesso a rinunciare. “Niente da fare, non riesco proprio simpatico”, disse al regista dopo avere visionato alcune delle sequenze girate.
A quel punto riprese l’assedio a Gino Cervi, che finì  per capitolare.

 

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