Media

È ora di legalizzare le marchette nei giornali (per il bene dei lettori)

25 Ottobre 2016

Quante marchette passano quotidianamente da un giornale? Quante – soprattutto – sono percepite come tali dai lettori, perché questo è il problema. Qualche giorno fa, come un Pokemon che si aggirava tra le pagine, ne ho beccata una, plastica, fresca come acqua di fonte e risalendo il corso ancora un’altra e sempre dello stesso autorevole giornalista. Che poi è uno famoso, letto, sentito. Quando gli ho scritto via twitter, come fossi un suo lettore qualunque (e poi io sono davvero un lettore qualunque) mi ha detto trattarsi di “spiacevole equivoco”. Gli avevano messo la firma sotto un pezzo pubblicitario, i cattivoni, e quella firma non doveva comparire, ma il pezzo comunque era suo. Spiacevolissimo equivoco, come no. Ma non è sempre così evidente la faccenda. O meglio, spesso è evidente la marchetta, ma non il contesto quando è fraudolentemente giornalistico. L’interessato si protegge con la confezione del prodotto, con la sua qualità complessiva e all’interno di un contesto “credibile” ci piazza l’erba cattiva. Il che, ovviamente, gli vale sempre qualcosa in cambio. Per non essere ingannato, il lettore dovrebbe trasformarsi in un investigatore che passa lunghe ore della sua giornata a verificare, decrittare, mettere a confronto. Un lavoro. E poi perchè. Sono gli editori che dovrebbero garantire il pubblico decoro. E che spesso, invece, sono conniventi. Quanto ai nostri ordini professionali, sulla carta è tutto chiaro. Chi fa marchette è fuori. Nella pratica non succede nulla, a meno di fatti più che eclatanti.

Qui lancerei una modesta proposta. La via professional-moralistica è fallita. Nessuno è in grado di fare le pulci a nessuno, nessuno lava più bianco, il mondo dei giornali vive nella diffidenza reciproca da lustri e lustri. Chi si permette di muovere un appunto, cadrà sotto i suoi stessi rilievi prima o poi. La questione deontologica, fa tristezza doverlo ammettere, è completamente neutralizzata dalla disinvoltura. Gli ordini professionali, che si rifanno appunto alla deontologia, non hanno più alcun senso nè alcuna funzione. Tra l’altro in questo modo, con una deontologia puramente di facciata, il giornalista ha sempre buon gioco a proteggersi con le regole del gioco, con le connivenze interne, quando non sono proprio i suoi superiori a indirizzare (o imporre) le sue marchette.

È il momento di legalizzare la nostra disonestà professionale. Di depenalizzarla, o meglio di de-moralizzarla. Di consentire a tutti noi di rivelarsi, di mettere in “chiaro” debolezze, connivenze, interessi, di fare emergere il sommerso dei non detti, dei non rivelati. E disvelarli, finalmente. Senza ipocrisie, ma con una formula chiara che nel cinema è diventata prassi corrente quando in una scena si piazza una marchetta, una bottiglia d’acqua minerale, un pacchetto di sigaretta, una certa marca di automobili e via così. Nei titoli che scorrono sullo schermo troverete questa espressione: «Product placement», praticamente pubblicità occulta che si ha il buon gusto, sancito per legge, di dichiarare preventivamente. È il momento che anche i giornali si dotino di questa formulazione, che naturalmente andrà espressa in prima pagina: «Questo giornale può contenere marchette» o se volete, un più elegante «articoli pubblicitari». Il lettore, così avvertito, potrà naturalmente scegliere la strada più vicina ai suoi sentimenti: pagare più serenamente il suo euro e cinquanta perchè finalmente coinvolto nella depravazione regolamentata, oppure abbandonare la lettura come anima bella in cerca idealmente di una vita migliore (ma inesistente).

In questo modo, forse, metteremo anche un filo di imbarazzo in più nei nostri cari amici di marchetta. I quali si troveranno nella infelice condizione di sentirsi finalmente più liberi di agire ai danni dei lettori, ma con la responsabilità di non potersi più riparare sotto l’ombrello editoriale di un prodotto deontologicamente protetto, di un’organizzazione sociale la cui “mission” è il miglioramento culturale dei suoi lettori. No. Si dirà sin dalla testata che le marchette sono contemplate e che gli ombrelli son finiti. Così pioverà merda, finalmente.

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