Media
Comme un ouragan
“Vi chiedo, sia come ministro sia come padre, di riservare del tempo all’interno delle lezioni per realizzare sessioni di discussione e riflessione sui cambiamenti climatici insieme ai ragazzi“. Non solo. Il nuovo ministro della pubblica istruzione scrive una circolare accorata indirizzata a tutti, presidi, docenti, alunni in cui auspica che le assenze per i venerdì di sciopero per il clima, inaugurati dalla superstella svedese l’anno scorso, siano giustificate perché è “la lezione più importante che i ragazzi possano frequentare“.
Mi sembra di essere tornato agli anni 70 quando si era scoperta la discussione dentro e fuori la classe, quando però si manifestava per le varie guerre sparpagliate pel mondo, si facevano scioperi a oltranza per le basi militari americane in Italia, in particolare quella di Comiso che avrebbe ospitato i missili.
Un ministro giovane Lorenzo Fioramonti, di fresca nomina, che esordisce con una minchiata colossale come questa non fa sperare bene per un futuro migliore per l’istruzione delle prossime generazioni. E pure come padre, ci tiene a sottolineare, imitando l’ex-ministro dell’interno che aveva lo stesso vezzo, ossia di evidenziare che le cose che lui diceva, faceva, realizzava erano fatte perché “padre”.
Insopportabile.
Ora, se ritieni che l’ecologia sia una materia degna di essere approfondita, e lo è sicuramente, la metti al posto dell’ora di religione e la rendi obbligatoria, fin dalla scuola elementare. Se ritieni che sia così fondamentale puoi programmare due ore alla settimana oppure cinque ore il venerdì, di sicuro meglio spese piuttosto che far caciara in piazza senza costrutto. Ma a insegnarla ci metti persone competenti, non docenti d’italiano, d’inglese, di matematica o di applicazioni tecniche: non se ne possono occupare insegnanti generici, che magari se ne intendono pure un po’, ma la materia richiede una preparazione specifica e, soprattutto, una persona aggiornata. L’ecologismo da ricreazione, che è la caratteristica più evidente di questi venerdì scioperanti per il clima, che manco gli studenti stessi capiscono di che si tratta, come non ne capisce alcunché nemmeno l’iniziatrice della trovata, la signorina Greta Thunberg, è il nemico più terribile dell’ecologismo vero, di quello cioè basato sullo studio della realtà e delle leggi fisiche del pianeta. Quello di Greta e dei suoi seguaci è il Romanticismo e la riscoperta poetica della Natura, ha una dimensione letteraria, se proprio volessimo nobilitare tutta quest’ignobile mistificazione della lotta al cambiamento climatico. Anche perché contro il cambiamento climatico non si può lottare, l’ho detto e scritto più volte altrove, ma non perché la signorina Greta mi stia fondamentalmente antipatica. Semplicemente perché – e non lo sostengo solo io che non sono uno scienziato blasonato ma che comunque ho fatto qualche studio scientifico oltre agli umanistici – l’ossessione per un mondo immaginario di Greta, che persegue con una tenacia fomentata dalla famiglia e da manager calcolatori che l’hanno resa un’influencer di grido, è, appunto, basata su una percezione, su un’irrealtà. Anzi, vogliamo proprio dirla tutta? Si tratta di isteria d’angoscia, abbastanza tipica dell’infanzia, chi vuole delucidazioni se la vada a cercare e constati di che si tratti. La fobia di Greta per un futuro apocalittico, per gli adulti, per i potenti, oltre, forse, alla sindrome di Asperger – che pure comporta disturbi ossessivo-compulsivi e ansie – avrà certamente ragioni più profonde che nessuno si vuole soffermare ad analizzare perché sarebbe considerato infierire contro una Cassandra, una profetessa, una maga, seppur giovanissima. Anziché considerarla semplicemente una bambina affetta da una patologia, poveretta lei, si preferisce considerare la parte magica della questione, esattamente come se stessimo in un villaggio sperduto e lei fosse una sciamana in contatto cogli spiriti del tempo e dello spazio che le hanno comunicato che tra dieci anni il mondo diverrà inabitabile, cosa che la scienza non ha mai detto. Piuttosto che riportare la faccenda ad un ambulatorio si fa parlare la piccola nei parlamenti e all’ONU, addirittura si ventila un premio Nobel. Genitori criminali e funzionari ancora più criminali.
È questa la cosa più grave, che ci sia una galassia di adulti, compreso il ministro dell’istruzione e moltissimi altri, soprattutto genitori, con un ciclopico senso di colpa per ragioni che non conosco e che forse è pure meglio non conoscere perché sennò dovremmo fondare non carceri o centri di detenzione per gli immigrati clandestini ma migliaia di nuovi ospedali psichiatrici, c’è un universo di adulti che ci crede veramente. Un universo di adulti che non sa assolutamente come il clima e il pianeta funzionino, né come abbiano funzionato dall’inizio della vita fino a oggi, adulti che, istruiti o no, inseguono infantilmente codesta visione romantica e magica gretesca, inevitabilmente infantile anch’essa. Oppure, come dimostrerebbe l’adesione del ministro al credo gretesco, si prepara una schiera di politici che, pensando a un immediato futuro in cui i giovani, raggiunta la maggiore età, voteranno, iniziano ad allestire una facciata di credibilità su certi temi a quei giovani cari. Ugualmente grave per la malafede.
Per di più il messaggio di clemenza giustificatoria nei confronti degli scioperanti cosa significa? Perché bisogna essere clementi verso chi non va a scuola per protestare contro il cambio climatico suppostamente antropogenico e non per chi magari vuol andare a sentire un concerto o vedere altre cose forse perfino più istruttive, come visitare un orto botanico o una mostra, sia pure una mostra dei pokemon? Ma lui che è un adulto si rende conto del messaggio che veicola, come ministro e come padre?
Torniamo alla condottiera svedese e al suo intervento di ieri a New York che era un capolavoro di arte scenica, e io di arte scenica me ne intendo avendo lavorato molti anni in palcoscenico. Non è un caso che i genitori di Greta siano uno attore e l’altra cantante lirico-pop, cioè due persone che sanno cos’è un pubblico e come ammiccare, come enfatizzare, come sedurre e soprattutto ciò che si vuole comunicare. Le lezioni impartite alla figliola si vedevano, eccome. L’esibizione in lacrime di Greta davanti ai potenti del mondo, con strepiti e invettive, che io ho trovato ridicola, sembrava fresca fresca di metodo Stanislavskij; probabilmente lei l’avrà vissuta come più sincera, vista la menomazione e la concentrazione monotematica della sua vita, e questa costruzione manovrata dall’alto è una delle cose che mi ha disturbato di più, perché ha ulteriormente evidenziato, se si fosse potuto, la slealtà e la falsità che si nascondono dietro la facciata d’incontinenza giovanile accentuata dalla sua disabilità. Mandiamo avanti lei a dire qualsiasi cosa e in qualsiasi modo perché a una tale bambina furibonda, per di più menomata, non si può dire niente se non acclamarla: sono sleali e perfidi coloro che fanno notare la sua sindrome, come si può infierire su una piccola malata? E lei ci metteva tutte le smorfie, gli accenti, le filippiche, le pause, le lacrime, tutti ingredienti da attrice consapevolmente o inconsapevolmente consumata, pensando che non si notasse e di sembrare autentica. Magari migliorerà col tempo e coll’applicazione; in un anno, colla pratica, ha già fatto molti progressi.
Doppia operazione mistificatrice perché non c’è solamente il messaggio fasullo di un ecologismo superficiale e pure erroneo – oltre a tutte le implicazioni grottesche dell’immagine della regata principesca con cui la troupe è giunta a New York da Plymouth, che da sola è degna di uno stravagante episodio del Giro del mondo in ottanta giorni di Verne – ma c’è anche l’inganno di far sentire la piccola gasata e motivata per una battaglia che lei riconosce come vera, senza sapere né cosa ci stia veramente dietro né quanto sia inattendibile. Le motivazioni dell’inattendibilità le ho già spiegate in altri articoli, chi voglia conoscerli vada a leggerseli o rileggerseli in questa rivista, non vorrei ripetermi.
Ciò che vorrei dire di nuovo riguarda proprio la preparazione dei giovani a un argomento così complesso come lo studio dei comportamenti climatici del pianeta e le ripercussioni umane e sociologiche di un’adesione così cieca alla battaglia, senza se e senza ma. Adesione oceanica che ricorda altri tipi di adunate giovanili che speravo potessero rivolgersi a una riflessione più profonda su temi autentici e non romantici. Quei giovani implicati nella protesta del venerdì, di ambiente, biologia, chimica, fisica e, soprattutto di storia climatica del pianeta non ne sanno nulla e l’hanno dimostrato nelle interviste. Come, peraltro, anche il summentovato ministro e buona parte del corpo docente, ne sapranno assai poco. Probabilmente i più informati saranno gli insegnanti di scienze naturali, ma non è nemmeno così scontato. Ciò per cui si manifesta, in un’epoca in cui le ideologie sono state oscurate, in un’epoca in cui le serie televisive magiche hanno un grande successo, in un’epoca dove l’angoscia è supportata e incanalata attraverso i media, è il desiderio di far parte di una battaglia globale per qualcosa che riguarda tutti e che ci coinvolgerebbe tutti e che, soprattutto, non può essere percepita che come una cosa buona per chiunque, al di là di ogni schieramento politico: né destra né sinistra sembra oggi la parola d’ordine. Provate a chiedere ai ragazzi dimostranti se manifesterebbero colla stessa caparbietà ed energia per combattere, anziché contro l’impersonalità del cambiamento climatico, ossia qualcosa che sfugge e che si trova da qualche parte lassù nel cielo, contro il narcotraffico in America Latina o le guerre in Medio Oriente, che stanno facendo una quantità di morti e di senzatetto più di tutti gli uragani degli ultimi duecento anni. Probabilmente non sanno nemmeno che quelle guerre esistono. Però sanno che c’è il cambio climatico e che questo determinerà il loro futuro ed egoisticamente il futuro è solamente loro, non è un bene di tutti. “Avete rubato la MIA infanzia, avete distrutto il MIO futuro, i MIEI sogni, come avete osato?” e giù lacrime. Saprà mai Gretuccia nostra quanti bambini meno fortunati di lei, bimba ricca e straviziata che pure si concede capricci vegani e non a km 0, hanno solamente un braccio o una gamba sulle spiagge di Gaza oltre a malattie da denutrizione? Le guerre accese e che bruciano nel mondo non sono viste come determinanti in nessun loro futuro, sono cose che riguardano popoli lontani, nel clima di disinformazione e di odio che si è venuto a creare nei riguardi di altri continenti sono cose assolutamente secondarie. La consapevolezza delle cause di quelle guerre non sfiora neanche tangenzialmente i loro adulti di riferimento. Manco i loro genitori, proprio quelli che si sentono in colpa per il loro stile di vita consumistico solo se glielo fanno notare i figlioli adolescenti (visto coi miei occhi in casa di amici più giovani con figli puerili e letto anche su alcuni articoli di genitori troppo accondiscendenti, non ultima la lettera-capolavoro accorata del ministro-padre) – non fare docce così lunghe, mamma! Dovremmo mangiare tutti vegano non l’amatriciana! Non comprare tutta quella plastica! Non comprare questa marca ma quell’altra perché è roba bio certificata, e così via – manifesterebbero per porre un’attenzione a un freno internazionale a quelle guerre. Ma nemmeno la domenica, giorno di riposo dal lavoro, ma neanche per un solo minuto. Eppure sono quelli che dicono: mio figlio mi sta insegnando a capire cos’è veramente importante. Doppia patologia, sia per gli adolescenti che per gli adulti che dovrebbero aiutare quegli adolescenti a capire la realtà e a crescere. Immaturità collettiva.
La narrazione catastrofista è proprio una bella invenzione per far breccia nei sensi di colpa unanimi e per dare una mano a riparare i loro guasti: gli uragani non sono mai stati così forti e distruttivi, per esempio, il cambiamento climatico sta facendo peggiorare tutto, li rende devastanti.
A parte il fatto che un uragano è devastante di per sé, soprattutto in luoghi dove le case sono costruite di legno e plastica, quasi tutte prefabbricate, semplicemente appoggiate sul terreno, come negli Stati Uniti, non è assolutamente vero che gli uragani più forti della Storia siano stati quelli degli ultimi anni.
Dorian, spacciato per l’uragano più devastante di sempre, quasi come Katrina, non è nulla rispetto al ciclone Bhola, che provocò mezzo milione di vittime nel Bangladesh il 12 e il 13 novembre del 1970. Mezzo milione di morti, il doppio dello tsunami di Sumatra. Sempre nella stessa zona, il delta del Gange, nel 1737 si verificò il cosiddetto Hooghly River Cyclone, che provocò la distruzione di Calcutta, dove molti quartieri erano fatti di mattoni di fango crudi e tetti di paglia, e 350.000 vittime. Il ciclone distrusse qualcosa come 20.000 imbarcazioni. Ancora nella stessa zona si verificarono altri tifoni, sempre con un corredo di vittime intorno alle 10.000 a volta negli anni 1787, 1789, 1822, 1833, 1839, 1864, 1876 e così via.
C’è un ottimo sito web colla storia degli uragani, almeno di quelli storici e, soprattutto, documentati, dove potrete constatare come gli uragani non siano aumentati nel mondo e non siano più potenti: http://www.hurricanescience.org/history/storms/pre1900s/.
Ciò che viene utilizzato nella narrazione per incutere paura nella gente disinformata, i giovani innanzi tutto, che hanno anche una potenziale risposta emotiva assai interessante per la manipolazione delle coscienze, è proprio la percezione del pericolo.
La paura che oggi gli uragani incutono è anche data dalla quantità di dati e immagini disponibili che non esisteva fino a pochi anni fa e che quindi può mostrare con efficacia la scia di devastazione lasciata da una catastrofe naturale. Adesso è possibile prevederli, seguirli col satellite, sapere quanti sono in realtà, cosa impossibile fino a pochi decenni fa. Non solo. Siccome gli uragani si abbattono su aree sempre più abitate e urbanizzate, è altrettanto chiaro, facendo il minimo sforzo di un ragionamento che si possa chiamare con questo nome, che i danni saranno più evidenti. Non esattamente maggiori vista la devastazione di alcuni mostri meteorologici di qualche secolo fa. Proprio questa evidenza è ciò che basta per dimostrare che gli uragani sono più forti ed esponenzialmente più frequenti, ma ciò è ingannevole. Le fluttuazioni negli anni della frequenza degli uragani di una certa grandezza sono imprevedibili, precisamente come il clima, che è un sistema caotico, complesso e soggetto a innumerevoli variabili. In fondo, quando le Americhe erano ancora disabitate, chi poteva conoscere la reale frequenza e distruttività degli uragani o delle tempeste tropicali? Com’erano le correnti oceaniche, l’attività solare, i ghiacci? Per non parlare di remote eruzioni vulcaniche, che, grazie agli studi paleoscientifici in corso, stanno rivelando scenari insospettabili fino a poco fa, chiarendo meglio alcuni passaggi climatici del pianeta in epoche non sospette.
Però basta mostrare la distruzione dopo il passaggio di un uragano per incutere paura e portare il pubblico dalla propria parte, senza argomentare e soprattutto senza mostrare statistiche storiche. La colpa è dell’uomo e della sua maledetta anidride carbonica.
È la semplificazione della narrazione climatica che sta impestando il metodo scientifico e sta indirizzando la distrazione e le paure delle masse per far loro dimenticare quali sono le reali manchevolezze e i loschi traffici dei propri governi – non solo in materia ambientale – dando la responsabilità del futuro a un’entità fatale e inafferrabile come il clima, qualcosa che sta al di sopra perfino degli dèi. E come il pifferaio di Hamelin il cambiamento climatico si porta via i bambini.
© Settembre 2019 Massimo Crispi
Devi fare login per commentare
Accedi