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Come in una gigantesca bolla di fake news e ruffianeschi like
L’esigenza di una comunicazione che risulti, tanto nel linguaggio quanto nei contenuti, diversa da quella imperante è sotto gli occhi di tutti, degli addetti ai lavori e consumatori di notizie, degli editori e gli operatori del settore. L’urgenza di un nuovo modo di comunicare ed esercitare la critica potrebbe addirittura precedere di gran lunga ogni altro tipo di necessità sociale. Eppure, è dalle parole che sgorgano dalla conoscenza, scritte e dette nella maniera diretta e leale, che prendono inizio i cambiamenti funzionali, utili non solo alla verità ma alla stessa evoluzione culturale di un paese. Nessuna nazione può dirsi moderna se a finanziare l’informazione è il suo governo in carica. Un presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson – saranno contenti i filo-americani, spero – ebbe a dire che: “Tra un governo senza giornali e giornali senza un governo, non esiterei a preferire quest’ultima ipotesi”. Al di là della personalità del suo autore, il precetto la dice lunga sull’importanza che, da sempre, la cultura anglosassone attribuisce alla carta stampata, anche se in calo di vendite. Tanta considerazione per il mezzo d’informazione più antico ha certamente come fondamentale riferimento il rispetto di un codice etico ed estetico irreprensibile, da cui i critici dei paesi anglofoni, nella maggior parte, non prescindono con tanta allegria, come avviene in Italia.
Da noi, oltre a non poter dare per scontato che gli articolisti dei quotidiani siano titolari di una capacità di scrittura sobria e di facile assorbimento, resta da appurare se essa assecondi un qualsivoglia principio morale. Un giornale, dunque, che dia, oltremodo, la sensazione di perseguire un interesse di parte, dichiarando, invece, di divulgare un’opinione libera, diventa irrimediabilmente insopportabile e illeggibile. Parimenti, la televisione, considerata in tutte le sue varie testate, adagiata com’è sulle stesse posizioni della stampa, diventa inguardabile. Abbiamo giornalisti e critici illeggibili, inascoltabili, inguardabili? Non tutti. L’eccezione, anche qui, è da rispettare. Perché mai, allora, delle osservazioni che si presentano posticce sin dai titoli con cui vengono proposte all’attenzione dei lettori dovrebbero suscitare interesse? Capita, di sovente, che i protagonisti della politica diffondano dichiarazioni di una inutilità sconcertante, senza che i giornali più autorevoli e i critici che vi scrivono stigmatizzino, in virtù di un comune senso del pudore, l’evolversi e l’intreccio di una comunicazione tanto vacua e falsa, impegnata a ricamare conformità intorno agli slogan di regime, camuffati da notizia.
Basterebbe raccogliere un po’ di opinioni tra i pochi lettori e telespettatori rimasti per notare quanto, questi, siano profondamente delusi da una comunicazione che si consuma per inerzia, passivamente, per incontrollata abitudine. La scarsa pertinenza dei significati, prima ancora che uno stile aggressivo e prevaricante, allontana sempre più le nuove generazioni – le cui esigenze reclamano un linguaggio chiaro e inequivocabile – dalla lettura, l’ascolto dei notiziari e la visone dei talk, dove un vuoto ideologico snervante e una caratura deontologica disarmante hanno raggiunto livelli impensabili di schifezza. Sì, schifezza, porcheria, sozzeria, perché altro non è l’intorpidimento verbale dei simulatori di pensiero al servizio di un potere che predilige la chincaglieria intellettuale. Via, s’invoca da più parti un po’ di ritegno! La limitatezza di chi, oggi, è deputato a pensare per raccontare scriteriatamente un fatto, una notizia, o una posizione ideologica ha superato ogni grado di sopportazione. L’intera sfera della comunicazione e dell’informazione rischia di apparire come un gigantesco contenitore di fake news, dove il consenso assume la fattezza recondita di un clic facebookiano, diventando ruffianeria, complicità, piaggeria. E, chissà, se per risalire la china non bisogna partire col dare il giusto valore alla nostra bolla dei soliti “like”, dove ognuno rischia di essere irretito da una percezione sbagliata di sé, pur conoscendo la realtà tutt’intorno.
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