Innovazione
Research Triangle: un ecosistema dell’innovazione oltre il declino
In una America che si scopre ogni giorno maggiormente polarizzata e che si divide tra ‘la crisi da successo’ di San Francisco e gli scioperi della United Auto Workers (UAV) a Detroit, troviamo traccia di ‘periferie competitive’ in luoghi secondari degli Stati Uniti. Se in tempi recenti abbiamo imparato a conoscere la crescita di città come Austin in Texas e Phoenix in Arizona, oggi sostenute dallo spostamento di professionisti qualificati in uscita dalla sempre più proibitiva Bay Area, troviamo traccia della formazione di ecosistemi dell’innovazione in luoghi secondari già a partire dagli anni ’90. Sebbene sia questo un filone di letteratura ancora poco esplorato, e certamente oscurato nell’ultimo decennio dal focus sul ‘trionfo delle città’, per citare un famoso libro di Edward Glaser, è possibile oggi incrociare nell’America secondaria delle storie di successo economico di grande rilievo.
La deindustrializzazione delle regioni produttive americane
Il nostro viaggio attraverso gli Stati Uniti ci ha portato ad analizzare un territorio, il North Carolina, alle prese con un complicato processo di riqualificazione post-industriale. La de-industrializzazione delle regioni produttive americane inizia a cavallo tra fine anni ’80 e inizio anni ’90 e interessa, seppur con dinamiche e tempistiche diverse, i due cuori pulsanti dell’industria USA: il mid-west e la produzione regionale di auto e acciaio e il south-east con le sue produzioni prevalentemente low-tech come l’arredamento, il tessile e il tabacco. Il North Carolina, e in particolar modo il corridoio che lungo l’I-85 unisce Greensboro a Raleigh, è un’area che ha vissuto con particolare intensità questo fenomeno. Lo spostamento di attività produttive in Messico e in Asia ha dimezzato il numero di unità produttive locali in poco meno di vent’anni, specialmente nell’ambito dell’arredamento (High Point) e del tessile (Greensboro).
Il ruolo chiave della scolarizzazione
Eppure, viaggiando poche decine di miglia verso est si incontra uno degli ecosistemi dell’innovazione più dinamici degli Stati Uniti. È il Research Triangle Park (RTP), parco industriale e tecnologico ubicato a metà strada tra le città di Durham, Raleigh e Chapel Hill. Non siamo distanti dai luoghi del declino industriale del sud ma, soprattutto, siamo nel mezzo di un triangolo che presenta oggi uno dei tassi di scolarizzazione più elevati al mondo – il 20% della popolazione nel ‘Triangle’ è in possesso di un dottorato, la 4′ concentrazione più alta negli Stati Uniti. L’attuale successo dell’RTP ha radici lontane e anticipa il declino industriale regionale. È una storia che inizia negli anni ’60 attraverso la costituzione di un parco industriale che oggi è un vero e proprio ecosistema dell’innovazione, fatto di multinazionali, centri di ricerca, fondi di investimento e startup. È una storia che si sviluppa principalmente grazie alla co-location di tre importanti università, Duke University a Durham, la University of North Carolina a Chapel Hill e la North Carolina State University a Raleigh. Università che attirano localmente studenti da tutto il paese e che riescono, nel tempo, a catalizzare anche gli investimenti da parte di grandi imprese americane e internazionali come CISCO, IBM e Bayer.
Tre ingredienti di successo: multinazionali, università e imprenditoria
Gli elementi alla base del successo del RTP sono fattori che abbiamo esplorato in profondità in ‘Periferie Competitive’: (1) multinazionali e connettività globale; (2) università e talenti; (3) finanza e imprenditoria. Eppure, riuscire a mettere a sistema questi fattori in un luogo che oggi esula dal network delle grandi ‘superstar cities’ americane è un esercizio tutt’altro che banale. Vale la pena in questo senso ricordare che ancora oggi circa il 75% degli investimenti privati in startup negli Stati Uniti finisce in tre stati: California, New York e Massachusetts. È il paradigma del winner-take-all che abbiamo imparato a conoscere bene nell’ambito dell’economia della conoscenza.
Ma come riesce dunque il RTP a strutturarsi e a crescere a dispetto di una economia che si polarizza sempre più in pochi grandi luoghi del sapere? Lo fa creando densità di fattori critici allo sviluppo economico. Tre grandi università, per iniziare. Le quali formano migliaia di studenti qualificati, che a loro volta abilitano un mercato locale del lavoro particolarmente attraente per grandi imprese con modelli di business knowledge-intensive. Il legame università-talenti-imprese è cementato dalla partecipazione dei tre atenei nel consiglio di amministrazione del RTP; a loro volta, le imprese private partecipano alle attività di ricerca delle università attraverso investimenti, donazioni e partnership.
La diffusione della conoscenza porta lavoro e benessere
Si creano così in un paio di decenni le premesse per un importante processo di knowledge spillover. La conoscenza generata localmente viene riutilizzata e ricombinata da nuovi imprenditori privati che danno forma a nuovi modelli di business e inventano nuovi prodotti. Nascono le prime startup locali e si struttura, in parallelo, un circuito di finanziamento locale. Oggi operano all’interno dell’RTP circa 270 imprese (senza includere le startup di recente costituzione) e più 50.000 lavoratori altamente qualificati. Certo, siamo ancora lontani dai numeri della Bay Area e del corridoio di Boston-Cambridge, ma con 170 startup fondate e 1.7 miliardi di dollari investiti in startup solo negli ultimi 5 anni l’RTP sta offrendo un modello alternativo allo sviluppo economico che corre lungo le città Alpha americane.
Un modello innovativo ed efficace
La storia del RTP ci racconta dunque di un modello economico particolarmente efficace e innovativo. Un modello che riesce ad alimentare il proprio vantaggio competitivo nel tempo, pur dovendo fare i conti con una industria regionale in declino e con una geografia dell’innovazione che tende sempre più a concentrarsi in poche grandi aree metropolitane. L’RTP ci offre diversi spunti di riflessione per pensare ad una geografia dell’innovazione maggiormente distribuita ed equilibrata. Ma porta con sé anche un caveat importante: creare ecosistemi dell’innovazione in ‘periferia’ richiede una visione condivisa da vari stakeholder territoriali, ingenti risorse umane e finanziarie e un ‘capitale paziente’. Vedremo nelle prossime puntate perché l’RTP rimane un modello tanto efficace quando difficile da replicare in altre second-tier cities; per il momento ci limitiamo a decantarne le molteplici virtù, sperando che qualcuno nelle nostre città medie possa prendere nota.
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