Media

Carlo Freccero, professionista del Masscult

6 Agosto 2015

Ho sempre cercato di capire ogniqualvolta è apparso in un  talk show,  in che cosa Carlo Freccero avesse acquisito competenze in materia televisiva, visto che veniva presentato come qualificatissimo “esperto”. Certo, a me profano di cose televisive, il suo eloquio non è sembrato mai di primaria eleganza, da fine semiologo intendo dire, quanto  piuttosto basso-mimetico, diciamo anzi  a livello di bar sport, con spunti Dada (ossia distintissimi ragionamenti “a pera”) che lui mistifica, con qualche unzione di retorica, come una specie di situazionismo dei semplici e dei poveri (di spirito). Eppure il suo curriculum parla chiaro: oltre quarant’anni di televisione ad altissimi livelli – responsabile di palinsesti, capostruttura, direttore di rete-, e adesso consigliere di Amministrazione Rai in quota Movimento 5s. Ossia un lottizzato non-lottizzato, allo stesso modo in cui esiste il tessuto-non-tessuto. Non proprio uno designato dalla Rete però  – pare che non ce ne sia stato il tempo-  ma proprio espressione dei vertici del Movimento. Poco male: evidentemente i Pentastellati  si saranno piegati alle ragioni sacrosante delle élite e avranno capito che alla farsa demagogica dell’uno-vale-uno occorre anteporre una volta tanto  la logica rigorosa dei professionisti, e tra questi anche i rimestatori della polta televisiva. Freccero è poi ligure come Grillo: avrà prevalso il metodo comparativo, ossia quello del “compare”? Già Prezzolini nel “Codice della vita italiana” ci aveva avvisati della forza dirompente che hanno i rapporti tra compari di regione nel nostro Paese.

Ma al di là della poco appassionante scelta dei  vertici Rai – che però tra i Peninsulari trascina gli stessi entusiasmi della selezione dei giocatori della Nazionale di calcio e premesso che per me avrebbero potuto anche nominarlo Direttore Generale della Rai–, mi chiedo ancora una volta quali possano essere i meriti di quest’uomo che a tutta prima, da quel che io ho visto,  sembra un colorito, sventato, pirotecnico ragionatore cinobalanico (uno che conduce riflessioni a pene di segugio).  Certo non occorre essere fini semiologi, come i primi giovani programmisti Rai tra i quali si contava anche Umberto Eco. E neanche degli chic e choc Lebenskünstler ossia quegli “artisti della vita” che come Furio Colombo, anche lui della genia di giovani assunti dalla Rai pioneristica, manipolavano le intelligenze con gusto ed estetiche d’antan.  Colombo si rivelò  il più grande e aereo Lebenskünstler della scena italiana.  Ebbe tutte le occasioni terrene, a partire dalla primissima esperienza televisiva appunto, il “Gruppo 63”, l’appartenenza in posizioni di preminenza all’establishment industriale come Presidente  di  Fiat USA (invidiatissimo ufficio di Park Avenue compreso) ma anche  Direttore dell ‘Unità-quotidiano-fondato-da-Antonio-Gramsci e plurideputato: una vita scintillante e intellettualmente elegante dopotutto,  alla Arnheim de “L’uomo senza qualità”: un misto di anima e di prezzo delle scocche o delle resine coloranti.

No, Freccero è venuto molto dopo, quando quelle grandi intelligenze o quegli “artisti della vita” avevano lasciato il posto agli strateghi del palinsesto televisivo-commerciale delle “quattro C”: calcio, cosce, canzoni e cazzate. O meglio a quei fini orditori del  Masscult. Il Masscult o cultura di massa (insieme a Midcult, o cultura media) è una categoria critico-estetica enucleata da un fine intellettuale trotzkista, Dwight Macdonald, uomo della Left americana, collaboratore prestigioso della “Partisan Review” che però in fatto di gusti estetici, come il nostro Asor Rosa, fu estremista in politica e conservatore in letteratura, tanto da meritarsi una biografia dal titolo “Un ribelle in difesa della tradizione”.

«Il Masscult,  scrive Macdonald,  scende dall’alto. È fabbricato da tecnici al servizio degli uomini d’affari», non soddisfa solamente, ma sfrutta il gusto popolare. E si giustifica dicendo che «dà al pubblico ciò che il pubblico vuole». Occorre seguire alcuni  passi di Macdonald tratti da “Masscult e Midcult”  che alla fine ci condurranno diritti nel cervello di Freccero meglio nel cuore del suo sistema estetico.

Aggiunge Macdonald:

Eppure questa mostruosità collettiva, le “masse”, il “pubblico”, vien presa come norma umana dai tecnici del Masscult. Costoro degradano il pubblico trattandolo alla stregua di un oggetto da maneggiare con la stessa mancanza di riguardo con cui gli studenti di medicina sezionano un cadavere, e in pari tempo lo adulano  e ne assecondano i gusti  e idee prendendoli come metro della realtà.

Ma anche:

Qualora un Signore e Padrone del Masscult venga biasimato per la bassa qualità della sua produzione, automaticamente risponde: “Ma è ciò che il pubblico vuole, che ci posso fare, io?”. Si tratta, a prima vista di una difesa semplice e conclusiva. Ma a ben guardare essa rivela che : 1) nella misura in cui il pubblico “lo vuole”, il pubblico stesso è stato, entro certi limiti almeno, condizionato dalla produzione suddetta, e 2) gli sforzi del Signore e Padrone del Masscult hanno preso tale direzione perché a) anch’egli “lo vuole” (mai sottovalutare l’ignoranza e la volgarità di editori, produttori cinematografici, dirigenti radio-televisivi e altri architetti del Masscult e b) la tecnologia della produzione di “divertimenti” di massa (e anche in questo caso le citazioni sono prudenti) impone uno schema semplicistico, ripetitivo in modo che sia facile dire che è il pubblico a volerlo.

E infine ecco la stoccata finale, quella che colpisce al cuore il Nostro:

 La […] condizione per ottenere successo nel Masscult è che lo scrittore, artista, direttore di giornale, regista o attore deve racchiudere in sé una buona porzione di uomo di massa […] come può prendere sul serio il proprio lavoro se non possiede quel tocco istintivo, quella banalità interiore?

Ecco spiegato il “mistero” Freccero. Egli è il vice-segretario Generale Aggiunto dell’uomo-massa: e chi se non lui può diventare l’Amministratore Delegato del Masscult televisivo? Una  giusta e sacrosanta carriera la sua: qui sì che uno-vale-uno!

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