Media
Bianca, pensavi di fare il direttore in eterno?
Lettera aperta a Bianca Berlinguer
Cara collega, davvero pensavi di rimanere a dirigere il Tg3 fino alla pensione? I ricambi alla guida di telegiornali e giornali, pubblici o privati che siano, fanno parte delle regole del gioco. Il tempo passa inesorabile per tutti e qualsiasi editore, con il periodico rinnovamento dei vertici, prova a rinvigorire le redazioni, a introdurre nuove idee, a modificare i processi di produzione e gestione delle notizie nella speranza di adeguare l’offerta di informazione ai nuovi linguaggi e alle mutate esigenze del pubblico. Non sempre ci riesce, certo, ma perché la Rai dovrebbe comportarsi diversamente da qualsiasi altro editore? Di tempo dalle ultime nomine ai vertici delle testate Rai ne è passato molto. Dopo sette anni sotto la medesima guida, tanto sono durate le attuali direzioni, il rischio di sclerotizzare il prodotto è altissimo per chiunque, figuriamoci in un’azienda strutturata e complessa quale la Rai. Quindi, non trovo nulla di scandaloso nell’avvicendamento dei direttori deciso qualche giorno fa.
Tuttavia, sono rimasto perplesso dalla tua reazione pubblica. Sei andata alla trasmissione di un canale concorrente, In Onda, hai utilizzato l’ultimo editoriale a tua disposizione per riferire di “attacchi sguaiati contro il Tg3 corsaro”, hai scritto della tua vicenda professionale su Facebook. Azioni che sembrano fatte ad arte per costruirti un’immagine di vittima del potere, invero poco credibile.
Vuoi forse lasciarci intendere di essere stata epurata? Non sembra così: non sei stata licenziata, né allontanata. Da settembre, per tua stessa ammissione, condurrai un nuovo programma, sempre su Rai 3 in tandem con Michele Santoro. Sei vittima del sistema politico? Dubito. Se oggi ci sono state, come tu fai intendere, pressioni politiche per rimuoverti dalla guida del Tg3, risulta incredibile che sette anni fa non ci siano state pressioni simili per fartene assumere la direzione. Non ricordo cadute di stile da parte dell’allora direttore uscente Antonio Di Bella, né rammento stucchevoli piagnistei suoi o di suoi accoliti.
Invece, su Facebook hai scritto un post dai toni emozionali per ringraziare della “solidarietà” espressa da tanti in un momento difficile della tua vita e della tua carriera professionale. Due domande, in proposito: 1) non ti sembra di esagerare? In fin dei conti cambi ruolo, dopo sette lunghi anni in cui hai avuto la direzione di una delle testate giornalistiche più importanti e prestigiose d’Italia. Ci sono stati direttori la cui esperienza alla guida di Tg Rai è durata molto meno: a memoria Lerner, Minzolini e Riotta, solo per citarne qualcuno. Non hai subito violenze di alcun genere, né soprusi. Farai altro, ma sempre all’interno dell’azienda in cui sei entrata qualche decennio orsono e probabilmente manterrai il medesimo compenso attuale, 280 mila euro lordi l’anno. Anche per questi motivi 2) non credi che la drammatizzazione dei fatti manchi di rispetto alle migliaia di colleghi che, non avendo cognomi importanti, né la minima possibilità di entrare in contatto con l’elitaria biosfera della nomenclatura italiana, si confrontano con la libera concorrenza di mercato e vivono di conseguenza la professione giornalistica in condizioni di crescente precarietà? Per loro, ogni cambio di linea editoriale o di scelte strategiche comporta spesso la perdita dell’unica fonte di sostentamento e di conseguenza non possono, tanto per fare qualche esempio concreto, mandare il figlio in gita scolastica, dovranno rinunciare alle vacanze o, peggio, saranno in ritardo con l’affitto o con la rata del mutuo. Poco importa che abbiano 25, 35 o 55 anni, così è. Dal giorno dopo devono cercarsi un nuovo cliente, senza l’aiuto di nessuno. Sanno che non esistono incarichi eterni ma, a differenza tua, non hanno alcun paracadute.
Con tutto il dovuto rispetto
lettera aggiornata il 9 agosto alle 22.15
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