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Attenti al sondaggio!
Non passa giorno che, sui quotidiani, in Rete o in Tv, non venga pubblicato un sondaggio sulle intenzioni di voto. Campioni variabili tra 600 e 1000 italiani intervistati al telefono o via Internet sulle loro preferenze elettorali, nel caso ipotetico (molto ipotetico, peraltro) che entro breve tempo fossimo chiamati a nuove consultazioni per il rinnovo del Parlamento. La formula di rito è: “se domani ci fossero nuove elezioni politiche Lei andrebbe a votare? e cosa voterebbe?”. È ovvio, lo sappiamo, che domani non ci sarà nessuna elezione politica, e che probabilmente non ce ne saranno per almeno un paio d’anni, ma è altrettanto ovvio che queste periodiche indagini ci servono per avere un’idea generale di quale sia il clima elettorale nel nostro paese. E di quale siano le fortune o sfortune di ognuno dei partiti che dovrebbero essere presenti nelle future consultazioni.
Fin qui tutto bene, tutto corretto. Però, se andiamo a leggere attentamente i risultati di questi sondaggi, vediamo due o tre cose che ci lasciano un pochino perplessi. Innanzitutto, sebbene a volte sia omesso, uno dei dati più interessanti è la quota di coloro che si dichiarano indecisi o propensi all’astensione, la cosiddetta “area grigia”. Una quota che si aggira ultimamente intorno al 40-45% degli intervistati. Tanti, certo, un 20% in più di quanto sarà probabilmente l’affluenza alle urne, e che potrebbero ribaltare completamente i risultati che ci vengono proposti. Ma non è questo il punto. Il problema è che se in un sondaggio supponiamo di 800 casi, il 40% non indica nessun partito, le stime che noi leggiamo si riferiscono soltanto a 480 individui, che ci dicono rappresentativi della popolazione elettorale italiana, eccetera eccetera. Ma saranno davvero rappresentativi?
Con l’eccezione dei 4-5 partiti maggiori, quelli che stanno sopra il 10%, le stime per tutti gli altri non sono particolarmente credibili. Una forza politica che viene stimata ad esempio al 3%, verrebbe dichiarata di fatto da circa 13-14 persone. Ipotizzare che quella decina di elettori siano effettivamente rappresentativi dell’elettorato di quel partito non ha francamente molto senso, considerato che il margine di errore di ogni sondaggio è dell’ordine del 2-3%. La cosa ideale sarebbe quella di fornire le stime dei quattro partiti maggiori (cioè Lega, Pd, Fratelli d’Italia e Movimento 5 stelle) più forse Forza Italia, e fermarsi lì. Degli altri non è dato sapere, se non che stanno tra l’uno e il cinque per cento. Ma così non fa nessuno. E, a meno di non usare campioni molto più ampi, superiori ai 5mila casi, null’altro si potrebbe dire.
Ma c’è un’altra particolarità stupefacente nei sondaggi presentati, vale a dire il confronto con la stima della settimana (o del mese) precedente. Qui a volta si rasenta il bizzarro, quando si afferma ad esempio che quel tale partito ha avuto un incremento, o un decremento, dello 0,2-0,3% rispetto alla stima passata. Se l’errore di campionamento è quello che sappiamo (2-3%) quell’incremento o decremento sta tutto all’interno di questa fascia di indeterminatezza (che si chiama “intervallo di confidenza delle stime”) e quindi potrebbe anche essere completamente ribaltato. A meno che non ci siano balzi in avanti, o indietro, superiori al 2%, sarebbe più opportuno astenersi da confronti con il dato precedente. Basterebbe dire: non cambia in maniera significativa.
Ma c’è di più. Prendiamo di nuovo il partito che viene stimato al 3%, dichiarato cioè da 13 persone. Un decremento di quel partito da una settimana all’altra dello 0,2% significherebbe che invece che da 13 persone, il partito viene scelto da 12 persone e un pezzo di un’altra persona (scegliete voi: il busto o le gambe, oppure le braccia). Piuttosto insensato.
Lo so, i sistemi comunicativi si nutrono anche di questi mezzi per fare audience. Ma, forse, occorrerebbe mettere un freno a queste pseudo-indagini, concentrandosi magari sui trend di medio periodo, per i partiti maggiori. Questi sì sarebbe particolarmente utile venissero analizzati, per comprendere l’aria che tira. Ma pochi ne fanno cenno.
Università degli Studi di Milano
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