Internet
Smettiamola con la lagna sugli italiani ignoranti
Umberto Eco non ama internet e ci comunica allegramente che si tratta di un covo d’imbecilli impegnati a scrivere quel che gli passa per la testa. Secondo Eco, il proliferare incessante di opinioni e pareri di ogni sorta non aiuta a comprendere i problemi sempre più complessi ai quali dobbiamo far fronte per cercare d’intendere il nostro presente. Piuttosto, crea rumore e confusione. Se tutti possono dire la loro, parleranno certamente anche gli imbecilli tanto odiati da Eco.
Difficile dar torto al semiologo italiano. Anche se da un intellettuale come Eco ci aspetteremmo qualche riflessione in più sulla questione, prendiamo quel che viene e cerchiamo di aggiungere qualche tassello. Soprattutto sembra interessante chiedersi: perché questi “imbecilli” vengono tanto seguiti e ascoltati?
Prima però non riesco a tacere su un punto. Sulle pagine di questo sito è uscito un articolo che ci dice, dall’alto di una sapienza infallibile, che Eco sbaglia: il problema non è internet ma, anzi, gli italiani. Questi poveri italiani sarebbero ignoranti e stupidi, culturalmente inetti. Se tutti fossimo come l’autore dell’articolo non avremmo nessun problema. Intelligenti, colti e soprattutto interessati alle tanto fondamentali attività culturali. Poiché sono queste, ci spiega l’autore, che misurano la cultura di un popolo. Se non leggi libri e non vai a teatro sei stupido e non decidi in vista dell’interesse comune. Soprattutto, ti fai manipolare dai potenti. Risolto l’enigma di Eco: siamo ignoranti e quindi scriviamo solo scemenze su internet e, ancor peggio, crediamo ad ogni sciocchezza. Beati gli altri popoli, colti e raffinati fagocitatori di cultura! Questa illuminate tesi non è certamente nuova. Banale, semplicistica, molto altezzosa; ma non nuova.
In un bel libro intitolato La démocratie des crédules, il sociologo francese Gerard Bronner si confronta con i problemi che stanno dietro le frasi di Eco. Lo fa senza cadere nelle banali semplificazioni di chi vuol misurare la cultura degli italiani citando dati a caso, come il numero dei laureati, la fantomatica media OCSE e le sconvolgenti scoperte di Federcultura.
Bronner si interessa della diffusione delle credenze collettive e cerca di capire perché e come le persone aderiscono a idee false e poco fondate razionalmente. Crediamo a certe idee perché siamo imbecilli? Forse perché siamo poco colti? Pare proprio di no. Vediamo quale situazione descrive il sociologo francese:
Oggi, ci dice Bronner, nonostante sia aumentata la nostra conoscenza in tutte le sue forme (oggi sappiamo molte più cose di ieri sulla storia, sulla natura, sul cervello e su tanti altri soggetti) e nonostante i livelli di studio medi delle persone siano anch’essi aumentati molto rapidamente negli ultimi decenni (anche e soprattutto in Italia), viviamo in una società che pare l’opposto di quella chimera chiamata società della conoscenza o dell’informazione: le teorie del complotto abbondano; la demagogia e il populismo sembrano la chiave per vincere le elezioni in ogni paese; la paura e la diffidenza nei confronti dello sviluppo tecnologico sono all’ordine del giorno; in ogni dove esistono resistenze e dubbi sulla validità delle scoperte scientifiche; personaggi di dubbia competenza assumono risonanza mondiale raccontando valanghe di bugie (ma vendendo molti libri).
Viviamo un paradosso: più le conoscenze aumentano e si “specializzano”, maggiore è la fetta di problemi che non siamo in grado di padroneggiare. Oggi, molto più di ieri, siamo obbligati a rimetterci alla conoscenza degli “esperti”.
Internet viene in nostro soccorso proprio in questo momento. Vogliamo farci un’idea su un argomento che non conosciamo? Sulla rete troveremo molte risposte. Sarà certamente più rapido e conveniente che consultare un esperto o mettersi a studiare un argomento che ignoriamo totalmente e che magari richiede, per essere compreso, la padronanza di strumenti tecnici (spesso matematici o statistici). Ognuno di noi ogni giorno cerca e trova delle risposte sul web. Internet, come lo chiama Bronner, è un grande mercato delle idee e delle informazioni.
Tuttavia questo mercato è un mercato nuovo. La sua peculiare caratteristica consiste nel numero d’informazioni che offre. Il testo di Bronner presenta molti dati interessanti per descrivere questa rivoluzione di portata storica. Ne cito solo uno: abbiamo prodotto più informazioni dal 2000 ad oggi che dai tempi di Gutenberg al 2000.
Questa produzione ciclopica ha portato ad una completa deregolamentazione del mercato delle informazioni. Oggi tutti possono accedere a qualsiasi informazione. Oggi tutti possono creare qualsiasi informazione. Non esistono filtri, selezioni o meccanismi di gatekeeping.
Perlustrando minuziosamente i contenuti delle informazioni maggiormente lette e commentate su internet, Bronner ha notato un fenomeno che non può non colpire un sociologo. Sembra che le informazioni che veicolano idee false e razionalmente poco fondate si diffondano con maggiore intensità. Tra queste troviamo ogni tipo di stravaganza cognitiva: dalle prove che Michael Jackson è ancora vivo, si passa ai dubbi circa lo sbarco sulla luna, alle immancabili teorie del complotto oppure a quelle relative alla tossicità degli OGM e dei vaccini. Il sociologo nota, secondo noi ragionevolmente, che alcune di queste credenze possono avere delle conseguenze nefaste per l’interesse generale. Per esempio, se si seguissero le idiozie sulla pericolosità dei vaccini, si assisterebbe ad un elevato aumento di morti tra le generazioni future. Il problema qui consiste nel fatto che l’enormità di questi pericoli per le generazioni future non è percepibile “ad occhio nudo” ma solo attraverso tecniche di indagine statistica che la maggior parte dei cittadini non è in grado di valutare.
Ma il problema che si pone Bronner è il seguente: quali sono le ragioni per cui le idee false e dubbie si diffondono più di quelle vere e ragionevoli? Bronner ne individua sopratutto tre:
La prima ragione consiste nella motivazione di chi diffonde idee false. In questo grande mercato delle idee che è internet, infatti, i più motivati a diffondere le loro idee sono anche i più letti e creduti. Non esiste una selezione della qualità basata sulla distinzione vero/falso ma solo una selezione per intensità di motivazione a farsi leggere, ad offrire informazioni. Coloro che sono competenti nei vari campi del sapere (che molto spesso si chiamano scienziati), nella maggior parte dei casi, non partecipano a questo mercato. Nel peggiore dei casi, molti si presentano come scienziati pur non essendolo.
La seconda ragione riguarda lo stile argomentativo delle informazioni false: si tratta di miriadi di argomentazioni, che spesso sono tra loro contraddittorie, ma che possono essere usate a piacere per rispondere ad ogni dubbio sull’argomento d’interesse. Per esempio, per ogni piccolo enigma circa gli attentati dell’11 settembre, esiste una risposta che, per essere smontata, necessiterebbe un impegno e una motivazione che la maggior parte di noi non è disposta, e magari nemmeno interessata, a dedicarvi. Pensate che i primi 30 siti che escono su Google se digitiamo “11 settembre” presentano delle tesi complottiste. Bronner ha contato più di 110 argomenti a favore della tesi del complotto. Questi argomenti sono, all’apparenza, costruiti con ragionamenti solidi e tecnici. Per avvalorarli si parla con il linguaggio della fisica dei materiali, della finanza (corsi di borsa precedenti agli schianti), si invocano questioni sismologiche. Per coloro che non conoscono in profondità questi problemi (cioè la maggior parte di noi), gli argomenti presentati sembrano coerenti e convincenti. Sembrano assolutamente verosimili. Per un fisico dei materiali, un economista o un sismologo sono chiacchiere da Bar. Sono le imbecillità di cui parla Eco.
Una terza ragione è quella della concorrenza sfrenata che caratterizza questo mercato. Non esistono più i detentori del potere di informare. Le offerte di informazioni vengono strutturate sulle domande. Si offre ciò che è più richiesto. Le ipotetiche domande di informazioni vengono “calcolate” in base alla popolarità di certi temi sui social network. Esistono delle società che hanno elaborato algoritmi impegnati nella rilevazione dei temi più popolari. Siamo oggi nella situazione in cui anche le grandi testate giornalistiche si trovano a rincorrere gli argomenti più cliccati e dibattuti piuttosto che regolare le loro attività sulla classica deontologia giornalistica. Una veloce occhiata alla prima pagina di Corrieredellasera.it chiarisce il punto.
A tutto questo si deve aggiungere la constatazione che oggi viviamo in delle società dove la sfiducia nei classici mezzi di informazione raggiunge livelli elevatissimi. Un interessante studio dal titolo La société de la défiance raccoglie svariati sondaggi che mostrano come i cittadini delle democrazie contemporanee abbiano perso totalmente la fiducia nelle classiche fonti di informazioni. Questo giova a chi, con motivazione e costanza, diffonde idee di dubbia fattura per assecondare i nostri pregiudizi.
La conclusione che Bronner trae dalle sue analisi è che internet contribuisce più alla diffusione di credenze che alla creazione di conoscenze e informazioni (questo, chiaramente, non esclude che internet possegga anche tanti aspetti positivi). I tanti anni che gli scienziati hanno dedicato allo studio di certi argomenti sembrano spazzati via dall’intensità e velocità con le quali vengono offerte certe credenze appositamente congeniate per soddisfare certi interessi cognitivi (antiamericanismo, per esempio, è un cult: la CIA sembra essere dietro a tutte tragedia della storia umana. Ma ve ne sono molti altri: ambientalismo, ecologismo, nazionalismo, etc…). Costruire conoscenze, infatti, è un lavoro collettivo, lungo e faticoso. Un lavoro che mette alla prova i pregiudizi di chi vi si cimenta. La costruzione di conoscenza, che chiamiamo usualmente scienza, non si confà alla velocità di internet ed alla seduzione di spiegazioni che nei pregiudizi cercano, invece, delle conferme.
Concludiamo con un’interessante evidenza empirica che stupirà molto tutti coloro che hanno letto i libri giusti, che sanno come va il mondo e che sono pronti a dirci che siamo tutti ignoranti. Questa non si deve a Bronner. Il sociologo la cita ma si tratta di una conquista della psicologia sociale che precede lo studio che abbiamo brevemente riassunto:
Più alto è il livello di studi di una persona, più probabili sono le chances di assecondare credenze bizzarre e spesso false. Quindi l’ignoranza non è assolutamente correlata all’adesione a credenze false, semmai il contrario. Le persone, direbbe Raymond Boudon, hanno sempre delle buone ragioni per credere a quel che credono. Tutti, scienziati compresi, sono dei potenziali creduloni. Come uscire, allora, dall’impasse della democrazia dei creduloni? Non certo eliminando la scuola o la cultura, ma, magari, riformandole sulla base di un paziente insegnamento del metodo scientifico.
Si parla spesso di spirito critico e del fatto che la scuola dovrebbe trasmetterlo. Cosa di più vero? Ma è necessario essere cauti e riflettere sui possibili effetti perversi di uno spirito critico “solo a metà”. La prima componente di uno spirito critico, quella che a scuola si insegna abbastanza bene, consiste nel diffidare delle autorità, nel cercare i significati nascosti dietro un testo o un opera, nel decostruire la realtà per sondarne le componenti più recondite e contraddittorie. Ma un vero spirito critico non può fermarsi a questo punto. Dopo la decostruzione deve arrivare la ricostruzione; e la ricostruzione non può che essere guidata da rigore, precisione e pazienza. In una parola, metodo. In due parole, metodo scientifico.
Fare in modo che i ragazzi imparino ad avere confidenza con il rigore, la pazienza e il metodo dovrebbe essere uno dei grandi compiti della scuola. Pensare che l’ignoranza sia correlata alla facilità di farsi abbindolare è intuitivo ma, purtroppo, falso. Prima di definirci ignoranti, riflettiamo con più pazienza sulla nostra condizione di esseri umanamente imperfetti. Internet mette alla prova la nostra indole di creduloni. E’ necessario armarsi contro questa indole per sfrutture tutte le potenzialità delle rete.
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