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Quello che ha detto Eco lo pensiamo spesso, ma non lo diciamo in pubblico

11 Giugno 2015

Umberto Eco lo ha detto, noi lo abbiamo pensato spesso in privato. Ma in pubblico è difficile ammetterlo. Questa, in estrema sintesi, è l’idea che mi sono fatto su quanto avvenuto dopo la presa di posizione dell’intellettuale sul ruolo dei social network. Nella consapevolezza che il tutto vada contestualizzato.

Facciamo un passo indietro, per chi non ha avuto il tempo di leggere cosa ha affermato Eco.

I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.

Insomma, il Professor Eco ha lasciato il fioretto dei colpi in punta di cultura e di dotte citazioni, salendo su un cingolato per distruggere la funzione dei social. E con la durezza delle sue parole si è involontariamente piegato a un linguaggio “stile social”: diretto e appuntito, senza possibilità di appello. Rileggendo le sue affermazioni, ho pensato che l’intervento sarebbe stato un impeccabile post su Facebook (non un tweet, perché avrebbe ecceduto i famigerati 140 caratteri), capace di attirare migliaia di like e migliaia di insulti. Un perfetto paradosso.

L’opinione, in quanto aspra, ha scatenato un furibondo dibattito, con Eco finito finito sotto processo, ovviamente sui social, con condanna in via definitiva: è colpevole di essere un vecchio trombone. Lui, dal pulpito della sua autorevolezza, vorrebbe far tacere “gli imbecilli” che oggi vengono eletti come un “punto di riferimento”, manco fossero un Nobel, prendendo la forma odiosa del famigerato il popolo del web.

Ribadisco, quindi, che Umberto Eco ha avuto il coraggio di dire in pubblico, quello che spesso sussurriamo in privato. Quante volte è venuta la voglia, anche solo per reazione stizzita, di non voler più usare i social dopo aver letto i commenti sulla pagina Facebook di Salvini? E quante volte abbiamo avvertito un senso di disarmo di fronte ai commenti ad alcuni articoli? E le domande potrebbero continuare. Certo, si è trattato di un momento di disappunto, non di una decisione definitiva, perché in fondo oggi è difficile e forse anche controproducente essere “fuori dai social”. Ma quella frustrazione, sintetizzata dalle parole di Eco, ha fatto capolino nelle nostre menti in qualche occasione.

Una delle repliche rivolte a Eco è stata quella di annotare come le “legioni di imbecilli sui social” siano l’effettiva espressione della realtà circostante. Una riflessione che è vera solo in parte: i “leoni da tastiera” non si esprimono sempre – e aggiugno per fortuna – in certi modi triviali e bestiali nel mondo reale. La “protezione” di un display sprigiona un “coraggio verbale” che in un confronto faccia a faccia non ci sarebbe, anche solo per educazione. Altrimenti sarebbe un far west.

Poi, se nelle affermazioni di Eco si vuole leggere una bocciatura totale dei social, credo che si sia finiti fuori rotta, riducendo una questione molto ampia in una sola battuta. Giusto per capirci: i social, in tanti casi, sono uno strumento importante e lo sa anche Umberto Eco che sono un propulsore in grado di cambiare, spesso in meglio, il nostro modo di vivere. Se così non fosse, avrei cancellato il mio account dopo aver letto la pagina di Salvini.

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