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Noi, nel paese sventrato dal terremoto
https://youtu.be/GHZvjtr_H2s
Francesco Bevivino è un giornalista free lance. Attualmente abita a Roma e ieri mattina con il collega fotografo dell’Ansa, Massimo Percossi, in moto ha raggiunto Amatrice. “Siamo arrivati attorno alle 6.30. Quello che mi ha colpito sono state due cose. Il silenzio, l’assordante silenzio, e allo stesso tempo le voci sotterranee e strozzate; i lamenti dolorosi di quanti sono rimasti incastrati sotto le macerie. E poi la rabbia. Qualcosa che ti rimane dentro che ti fa scoppiare la testa”
Sulla sua pagine facebook di ritorno dalla cittadina colpita dal sisma Francesco scrive: “Insieme al mio amico Massimo siamo arrivati ad Amatrice verso le 6,30 di questa mattina, partiti da Roma, in moto.
Vedere di persona questa tragedia, sentire i rumori della paura e della speranza, ascoltare i pianti e la rabbia sono cose che ti scoppiano in testa e ti lasciano sgomento.
Ma proprio quelle esistenze sgretolate ti chiedono aiuto: così ti dai da fare, reagisci. E ti ritrovi fianco a fianco a perfetti sconosciuti e insieme a loro scavi, soccorri, porti acqua, contribuisci come puoi. Riscoprire il senso di appartenenza, nonostante tutto, sì, nonostante tutto…”
È cosi che ho scoperto che lui ieri mattina era lì. E allora ho deciso di chiamarlo. “Guarda Max, dopo un evento di queste proporzioni, dopo aver visto i feriti, i morti, la disperazione, ti rendi conto della fragilità umana, di quanto l’uomo sia poca cosa davanti alla natura”
È ancora scosso. Francesco è un collega che conosco da anni. È uomo d’assalto, spiccio, diretto, solare. Ieri sera però l’ho sentito inevitabilmente emozionato, turbato. “Sai cosa vuol dire camminare su detriti sotto ai quali ti dicono esserci stata una macelleria, un negozio, un appartamento con una famiglia?” Alle 19.00 quando l’ho sentito mi aveva già annunciato quanto poi si è confermato nelle ore successive: “Max, qui il bilancio è destinato ad aumentare, ci saranno centinaia di vittime”.
Non è ancora il momento di indagare le cause, le eventuali negligenze, le responsabilità. Ora è tempo di scavare, per salvare quante più vite possibili. “Il senso di appartenenza, Max, il senso dell’umanità, dell’uguaglianza tra persone diverse. Ecco cosa sento e riscopro oggi”
“Adesso dammi due ore, ho bisogno di riposare un poco”.
Non l’ho più chiamato.
Siamo inondati di immagini, d’interviste, di microfoni spianati come armi alla ricerca dell’ultima emozione, della sorpresa, dentro una narrazione irrazionale nell’agora’ mediatica che è la televisione. Sul web, invece, impazzano già i commenti. Il rimpallo delle accuse per prestare più attenzione agli italiani che non ai migranti. Uno sgradevole rumore di sottofondo. C’è bisogno di silenzio, adesso. Solo di silenzio. E di speranza. Speranza di ricostruire. A partire dalle parole.
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