Internet
Meta in lotta per i dati tra minacce e bluff
Come notato (tra gli altri) da Michel Williams su City A.M. a pagina 14 del documento inviato da Meta inc. alla Security and Exchange Commission (Sec) statunitense si legge che, mancando un accordo per il trasferimento dei dati degli utenti, Meta «non sarà più in grado di offrire in Europa alcuni dei prodotti e dei servizi più importanti, tra cui Facebook e Instagram» {1}. A Zuckerberg non va bene l’essere soggetto «a leggi federali, statali e straniere riguardo la protezione e la privacy dei dati personali» poiché potrebbero essere più restrittive di quelle negli USA.
Il timing delle esternazioni non è casuale. Per comprenderlo serve una piccola deviazione storica: con il caso Schrems (qui il testo integrale) si è constatato «il trasferimento dei (…) dati verso un Paese terzo può avvenire, in linea di principio, solo se il Paese terzo considerato garantisce a tali dati un adeguato livello di protezione» {2}.
Va anche ricordato che nel 2020 la Corte di Giustizia europea ha annullato il Privacy Shield: come spiega Francesca De Benedetti su Domani del 17 luglio 2020, si è «riconosciuto che gli Stati Uniti con “taluni programmi di sorveglianza” possono ancora “frugare” tra i dati dei cittadini europei perché non solo la protezione della privacy negli Usa è meno avanzata che nell’Ue, ma i non-americani non godono neppure delle stesse tutele di base dei cittadini Usa. Se una compagnia trasferisce i nostri dati negli Usa, il governo di Washington può ancora intromettersi e invadere la nostra privacy».
Da allora, ci si era affidati alle nuove clausole contrattuali standard (Scc), redatte dalla Commissione: il Garante della Privacy irlandese (dove Facebook ha la sede legale per l’Europa) potrebbe non ritenerle conformità con il GDPR, con possibili sanzioni (almeno così sembrerebbe dalle prime bozze di decisione).
Al di là del clamore suscitato da queste dichiarazioni, difficilmente vi sarà una chiusura vera e propria da parte di Zuckerberg: difatti, da un lato, investimenti e oltre 300 milioni di utenti sono decisamente appetitosi e convenienti, dall’altro potrebbero esserci alternative come QZone (molto usato in Cina) che potrebbero soppiantare l’impero di Zuckerberg, il quale difficilmente potrebbe lasciare facilmente campo libero alla concorrenza.
Ciò che emerge è che la guerra per i dati è ancora aperta e non accenna a terminare, e ciò accade perché questi ultimi sono la reale ricchezza dei social e il reale prezzo che si paga accedendovi: conoscere preferenze di ogni tipo è essenziale per un newsfeed personalizzato e per la profilazione a fini pubblicitari. Per far ciò, e qui il busillis, i dati devono essere trasferiti su server collocati negli Stati Uniti.
Al di là delle decisioni sulla responsabilità relative ai contenuti condivisi sui social (ne ho parlato un po’ di più qui e qui) Zuckerberg, come dicevamo, tutela il suo fatturato: una possibile interpretazione delle esternazioni recenti potrebbe essere che è stato lanciato l’allarme a tutti le aziende inserzioniste, sperando che ciò possa fare più presa sulle istituzioni dell’Unione Europea. Ma è decisamente improbabile, come segnalano Wired e Esquire, che Meta chiuda Facebook e Instagram in Europa.
Ciò su cui, intanto, si deve riflettere è che l’Unione europea mira a regolare in modo “globale” contemplando l’applicazione delle sue regole anche a imprese situate al di fuori del territorio dell’UE. In tale contesto nasce un contrasto che dovrà essere necessariamente risolto: merita di prevalere l’aspetto privatistico, come negli States, per cui si dà prevalenza alla contrattazione tra le parti, oppure, come nell’UE, si sta più attenti agli interessi pubblici?
Alla luce di ciò, da un lato, si evidenzia la necessità (di Meta e anche una sollecitazione per l’amministrazione Biden) di un nuovo accordo UE/USA (come evidenzia Gianpaolo Maria Ruotolo su Domani in edicola oggi), ma d’altra parte, come segnala Giovanna Branca oggi sul Manifesto, grazie alle rivelazioni di Edward Snowden è emerso l’accesso che le agenzie di intelligence Usa accedono ai dati (compresi quelli di cittadini non americani) «estratti e conservati dalle grandi piattaforme americane – corporation transnazionali che rivendicano un diritto quasi divino sulle informazioni personali di miliardi di persone».
Pare evidente che qualunque accordo e decisione non può trascurare questi aspetti.
Nota
{1} testo originale «we are unable to offer a number of our most significant products and services, including Facebook and Instagram, in Europe, or are otherwise limited in our business operations, as a result of European regulators, courts, or legislative bodies determining that our reliance on Standard Contractual Clauses (SCCs) or other legal bases we rely upon to transfer user data from the European Union to the United States is invalid»
{2} Sul caso Schrems si rimanda, per approfondire, a:
- B. Romano, La Corte Ue blocca l’accordo con gli Usa sullo scambio di dati. Schiaffo a Facebook , Il Sole 24 ore del 6 ottobre 2015;
- S. Gibbs, What is ‘safe harbour’ and why did the EUCJ just declare it invalid?, The Guardian del 6 ottobre 2015;
- A. Kharpal, US and EU in data privacy clash: What you need to know, CNBC del 7 ottobre 2015;
- I. Traynor – O. Bowcott, Facebook row: US data storage leaves users open to surveillance, court rules, The Guardian del 6 ottobre 2015.
EDIT:
— Qua lo spiegone di Matteo Flora sulla presunta chiusura di Meta in Europa mentre qua il caso Google Analytics in Austria;
— Qua la smentita all’Agi riportata da Arcangelo Ròciola
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