Internet

Le notizie, la disintermediazione e il lavoro del giornalista

14 Giugno 2015

Mettiamo il caso che a voi non interessi nulla delle notizie. Insomma, vi informate solo per sentito dire, qualcosina qua e la, tanto per non rimanere indietro di dieci anni. Renzi, la disoccupazione, l’immigrazione, l’astronauta nello spazio, l’Italicum (e chissà se ci andrete a votare la prossima volta), ecco sono tutte cose che sapete “en passant” giusto perché vi sono giunte all’orecchio, o agli occhi. Non sentitevi assolutamente in colpa, potete vivere benissimo senza sapere che Antonio Razzi si è scattato una foto con la responsabile dei sommergibili in Corea del Nord o conoscere il nuovo vincitore di Masterchef.
Le notizie con cui avete a che fare sono decisamente troppe. Erano tante prima quando a veicolarle erano solamente i “vecchi media” radio, tv e giornali, figuratevi adesso con l’era della Rete. Il problema è che se prima dovevate scegliere a quale tg affidarvi, quale quotidiano sfogliare, a quale rivista magari abbonarvi, adesso siete letteralmente sommersi da articoli, video, fotografie, informazioni che non avreste mai voluto chiedere e che vi piombano addosso dall’etere.
Siete sui social network a farvi i fatti vostri e qualcuno sicuramente vi informerà di qualcosa, con un link, una battuta, una foto appena scattata ad un ingorgo, un incidente, una celebrità. Ecco che siete di fronte ad un sovraccarico, un peso spesso insostenibile che si verifica quando avete troppe informazioni e non riuscite a valutare bene da che parte stare o a quale credere.
Su Wikipedia si parla di questo fenomeno come di “Information Overloading” e vi si allega l’inibizione della capacità di scemare il flusso di notizie o dettagli di cui veniamo a conoscenza.
A molti, a ragion veduta, accade che passando in continuazione da un sito all’altro non sia più possibile fermarsi o ricordare le informazioni ricevute proprio perché viene percepito tutto come una sorta di “rumore”.

Zygmunt Bauman
Zygmunt Bauman, il sociologo della società liquida

Il sociologo Zygmunt Bauman, di recente a Lecce per una laurea honoris causa, ha detto: “A noi manca la capacità di comprendere. Abbiamo a disposizione un’enorme quantità di informazione, in byte, come mai prima nella storia, ma abbiamo una minore capacità di comprendere cosa sta accadendo e cosa sta per accadere rispetto ai nostri antenati che godevano invece di una salutare ignoranza relativa”.
Ignoranza? Vi starete chiedendo se sia meglio esser considerati delle “capre” o degli onniscenti saputelli che si informano su Facebook. Beh, non abbiate paura, secondo Bauman la quantità di informazione non va di pari passo con la quantità di conoscenza, anzi sta diventando inversamente proporzionale. “La situazione è paradossale – sostiene Bauman – abbiamo a disposizione un’enorme quantità di informazioni, almeno in teoria; se consideriamo per esempio il numero di risposte a un singolo quesito che possiamo trovare in Google, la quantità di informazioni è praticamente infinita, se paragonata alle capacità del cervello umano”.
Partiamo dalle scuole, una sorta di facilitazione dovrebbe essere data per istituzione ai ragazzi nel loro percorso scolastico, dare loro una sorta di gestione dell’informazione li aiuterebbe a capire meglio le materie di studio o a discernere tra le tante castronerie in cui possono imbattersi frequentando la Rete. Ci dovrebbero essere aggiornamenti costanti – se ne parla da decenni – per i docenti (lifelong education) e per i programmi di insegnamento, ma soprattutto si dovrebbe pensare a come offrire un servizio di mediazione per le giovani menti che andranno poi a studiare negli atenei o si dedicheranno ad altri impieghi rimanendo comunque “severamente” tamponati dall’information overload.
Troppe informazioni: mediazione!
Abbiamo trovato una soluzione al problema. Ma come è possibile garantire un servizio tale nella Rete di oggi dove proprio la disintermediazione sembra il trend dominante?
Per quanto riguarda molte cose, (chiamare “cose” sembra quasi affascinante quando davvero il rumore informativo è così assordante) tale sviluppo ha portato la gente a prendere più coscienza delle proprie capacità iniziando una sorta di generale “fai da te” che parte dai viaggi, dagli acquisti online, e alla gestione dei propri conti in banca o alla visione delle pagelle dei propri figli e allo sbrigare pratiche (come 730, F 24) o altre scartoffie direttamente online. Ma se vi fermate ad osservare, è come fare le stesse identiche vecchie “cose” con l’aggiunta di un computer e di un wi-fi che magari funzionano male, si piantano, hanno ingorghi mediatici o hanno problemi proprio sul più bello. In pratica vi sembra di essere entrati nel nuovo millennio con i soliti problemi e le solite magagne di quello vecchio.
Umberto Eco 3 anni fa parlava sulla sua Bustina di Minerva di questo problema e si chiedeva se sia bene o male che oggi ciascuno possa stampare e mettere in circolazione un libro senza la mediazione di un editore. “L’argomento positivo è che in passato tanti scrittori eccellenti sono rimasti ignoti per colpa di un ingiusto sbarramento editoriale, e che una libera circolazione di proposte non possa che costituire una ventata di libertà. Ma sappiamo benissimo che molti libri vengono scritti da personaggi più o meno eccentrici, così come accade anche per tanti siti Internet”.
Insomma, ancora una volta i problemi restano, all’information overload e alla disintermediazione si è aggiunto quello della veridicità dell’informazione.
In questo caso arrivano in aiuto (o dovrebbero) i giornalisti.

Io sono un giornalista, o almeno ci provo.
Ogni mattina mi sveglio e appena apro gli occhi cerco il mio iPhone e mi bombardo subito con le notizie avvenute durante la notte, mentre dormivo, news da tutto il mondo, perché “ogni fuso orario è paese”.
Ho la rassegna stampa sempre sottomano e la leggo sull’iPad mentre mi preparo il caffè, oltre ad ascoltarla in radio o vederla in tv. Poi, ancor prima di uscire, mi faccio un giro sui principali siti di news italiani, a volte mi perdo a leggere qualche blog che mi interessa (prometto sempre di abbonarmi via rss e non l’ho mai fatto) e corro sulla mail per vedere se sono arrivati i soliti comunicati stampa, se ci sono conferenze, inaugurazioni, incontri a cui partecipare.
Insomma già alle 9 ho digerito quintali di informazioni sottoforma di byte.
Occupandomi di cronaca locale per una rivista e un quotidiano online di provincia devo anche essere informato su ciò che accade nelle vicinanze e che ci crediate o no è molto più complicato che farlo in grandi città. Le fonti sono poche, le agenzie difficilmente coprono certe zone e se arriva qualche “lancio” non ci sono le foto o tantomeno i video.
Nelle ultime elezioni regionali della Toscana, mi è capitato molto spesso di usare fotografie prese direttamente da Twitter da simpatizzanti di uno o dell’altro candidato. Foto semi professionali che spesso staccano di chilometri i comunicati stampa degli uffici elettorali, fatti di fretta e con mezzi inadatti (o da persone inefficienti).
Durante il giorno mi capita, anche per lavoro, di stare parecchio tempo online su Facebook. Ho notato che rispetto a qualche anno fa, quando ero considerato un emarginato a vivere leggendo 2 quotidiani, 1 settimanale e il Sole24 ore alla domenica per l’inserto culturale, oggi tutti sembrano essere diventati “rilanciatori di notizie”, praticamente ognuno si fa il proprio tg, il proprio giornale a seconda della propria sensibilità politica, ideologica, sportiva o culinaria. Ci sono siti che permettono di farlo davvero, ma ognuno automaticamente lo fa anche senza strumenti adatti. E poi lo condivide su Fb, e se ne ha voglia ti coinvolge pure “taggandoti” e chiamandoti in causa.
Immaginate quanto possa essere confuso a tarda sera quando magari mi metto a leggere un libro o a vedere un film, in attesa che tutto ricominci daccapo la mattina dopo.
Durante il giorno, il mio compito, a parte quello di fare foto, video, interviste, montarle, scrivere articoli (perché questa è la vita del freelance, ma avrò modo di parlarne meglio) e ricordarmi di bere almeno un litro e mezzo di acqua, è quello di farmi largo attraverso una abnorme melassa di informazioni e scegliere cosa pubblicare. Non ci si trova davanti a notizie più vere di altre e non ci si fa largo attraverso spazzatura, si deve solo scegliere l’informazione migliore, nel tempo migliore e rielaborarla nel modo migliore. Credo che fare il giornalista oggi abbia bisogno di queste tre conoscenze, a meno che non si crei di prima mano una notizia.

Citizen Journalism
Quanto male o bene ha fatto alle notizie il citizen journalism?

Nel fare tutto questo – cioè nel disintermediare – il flusso di informazioni, ne possono accadere di tutti i colori. Luca Sofri nel suo recente “Notizie che non lo erano” ci fa un esauriente, e a tratti divertente, resoconto di come sia difficile per una redazione convivere con le notizie ma soprattutto con la voglia di “pluralismo” che si è diffusa da quando internet ha iniziato ad essere più largamente diffuso e soprattutto più veloce. Pluralismo, quindi più mediatori tra le notizie e i lettori. Sarebbe tutto più semplice se ci fosse un controllo davvero attivo, o se i mediatori fossero giornalisti, che pur vivendo in redazione, fossero adeguatamente formati e riconosciuti. Il problema è che oggi gran parte delle notizie sono messe “in circolazione” da agenzie di comunicazione, agenzie pubblicitarie, politici senza scrupolo. Arrivano nelle redazioni, passano di computer in computer e poi, una volta giudicate credibili, vengono pubblicate. Capita a Repubblica come al Corriere o al più piccolo dei giornali di provincia.
Le notizie vengono rese virali (fatte circolare in modo caleidoscopico), vengono manipolate (ne parlerò più diffusamente), vengono tradotte male (e capite peggio) e soprattutto vengono usate persino da terroristi che a volte passano per dilettanti (ma non lo sono affatto) come le cellule comunicat(t)ive dell’Isis.
Torniamo quindi, purtroppo, al problema della mediazione, al modo in cui il pubblico forma una propria coscienza delle informazioni ma soprattutto al modo in cui è colpito e a come non riesca ad uscirne illeso. Siamo davanti ad un giornalismo che va avanti per sentito dire, che vive nel momento, non approfondisce le notizie ma ne cerca gli aggiornamenti prima degli altri senza verificarne le fonti, e questo per avere più lettori, più pubblicità, più soldi.
Sembra quasi strano, ma nel mondo della Rete globale, più notizie si hanno, più il pubblico diventa disinformato (ricordate Bauman?). I social media in questo caso sono i diretti responsabili, avrebbero bisogno di più mediazione di qualsiasi altro prodotto della Rete, ma chi dovrebbe farsene carico? E poi, quando le notizie le creano gli utenti stessi? Cosa diavolo succede?

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