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Intelligenza artificiale: leggere 100, scrivere 1

20 Marzo 2024

Con una riflessione sulla componente materiale del digitale, è online la quarta puntata del percorso sull’impatto dell’intelligenza artificiale. Un insieme di riflessioni personali, generate con l’ausilio di macchine e IA – consapevolmente o meno – ma rielaborate antropologicamente, con l’obiettivo di mettere ordine nelle domande e nella speranza di trovare un giorno anche risposte certe.

 

In questa nuova edizione del percorso sull’IA può essere interessante partire da cinque elementi di attualità: due eventi, una notizia, un manifesto e un articolo di commento.

  • Il primo evento, “L’Intelligenza Artificiale per l’Italia”, si è svolto lo scorso 12 marzo a Roma;
  • il secondo, la “Industry Stakeholder Conference”, il giorno dopo a Verona. In entrambi i casi, l’intelligenza artificiale è stata protagonista.
  • La notizia invece riguarda la parte hardware, che spesso abbiamo trattato: Silicon Box investirà 3,2 mld di euro in Italia, per produrre circuiti chiplet per microprocessori.
  • Il manifesto, invece, è a cura di Anitec-Assinform, l’Associazione Italiana per l’Information and Communication Technology (ICT).
  • L’articolo, infine, è di Alfonso Fuggetta, su Medium.

L’evento del 12 marzo era estremamente istituzionale. Annunciato pochi giorni prima, con una battente comunicazione anche sui social network, ha visto intervenire i vertici di molte delle principali imprese italiane interessate al tema. Ma a catturare l’attenzione è stato il videomessaggio del Presidente del Consiglio, che non ha usato mezze misure: “l’intelligenza artificiale è la più grande rivoluzione di questo tempo, ed è anche la principale sfida che abbiamo davanti, dal punto di vista antropologico, dal punto di vista economico, dal punto vista produttivo e sociale”. Ormai sull’IA non c’è sfumatura tra gli estremi, ma di questo parleremo dopo.

Per cogliere la sfida, saranno introdotte risorse, studio e organizzazione. CDP Venture Capital investirà un miliardo di euro, sia creando un nuovo fondo di investimento dedicato all’IA sia utilizzando fondi di investimento già attivi, con una logica di partenariato pubblico-privato per attrarre altri fondi. Il PdC ha poi ricordato che “il Governo sta predisponendo un provvedimento di legge che ha come obiettivo quello di stabilire alcuni principi, determinare le regole complementari a quelle del regolamento europeo che è in via di approvazione e individuare le misure più efficaci per stimolare il nostro tessuto produttivo. E, inoltre, stiamo lavorando per individuare l’organismo più idoneo a svolgere le funzioni di Autorità competente sull’uso delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale”. Una conferma anche sull’attenzione al tessuto produttivo, necessario per una adozione capillare, diffusa e strutturata di questa tecnologia.

Imprese che sono coinvolte in questi giorni nei primi incontri del B7, che individua anch’esso l’IA come “assolutamente al centro dell’attenzione“, per citare le parole di Emma Marcegaglia, B7 Chairwoman. La tecnologia viene vista come capace di “aiutare ad avere catene di valore più controllate e sicure, ma anche aiutare la trasformazione energetica a essere meno costosa e più coerente” un tema su cui, ha aggiunto, si sta “lavorando su due aspetti: fare in modo, realmente, che l’IA diventi un boost di produttività e competitività per tutte le imprese. Il secondo tema riguarda la necessità di trovare una convergenza sulla regolamentazione. Uno degli obiettivi del G7 è far sì che, sotto la leadership del governo italiano, si trovi una convergenza di regole evitando che ogni Paese vada avanti per proprio conto

Box: sul tema produttività approfitto per segnalare il Compendium of Productivity Indicators 2024 dell’OECD, pubblicato lo scorso 29 febbraio e segnalare la puntata di questa rubrica.

È infatti necessaria una declinazione industriale a livello europeo: Markus Beyrer, direttore generale di Business Europe, l’associazione degli industriali europei, a seguito dell’approvazione dell’AI Act lo scorso 13 marzo ha dichiarato: “per eccellere veramente nell’IA, l’Europa deve sostenere le aziende che innovano e non solo navigare nella burocrazia perché possono permetterselo. L’Europa deve non solo essere leader nella definizione delle regole, ma anche facilitare l’accesso ai capitali e ai finanziamenti per lo sviluppo dell’IA. È inoltre ancora da vedere come le ipotesi iniziali della Commissione, come gli investimenti in IA nell’Ue tra i 30 e i 65 miliardi di euro entro il 2025, si confronteranno con la realtà economica. La legge sull’IA può essere ‘adottata’, ma gran parte del lavoro reale per garantire il successo dello sviluppo dell’IA in Europa è solo all’inizio“.

 

alcuni dati, in ordine sparso

Secondo i primi dati della nota B7 flash messa a punto da Confindustria e Deloitte in vista del B7, per supportare la manifattura globale – il cui valore ha superato i 16mila miliardi nel 2022 – nella transizione digitale saranno necessari quasi 3mila miliardi e mezzo di investimenti entro il 2026, con un CAGR del 16,3% dal 2023. Attualmente, come si evince dai dati dell’Artificial Intelligence Index Report 2023 dell’Università di Stanford e come già citato in altre puntate di questa rubrica, l’Europa fatica a tenere il passo con USA e Cina [1].

Detto questo, gli Stati Uniti sono ancora in testa, sia a livello di R&S privata sia di brevetti, con l’Asia che sta rapidamente recuperando. Dai dati appena pubblicati del Patent Index 2023 dell’European patent office, gli Stati Uniti hanno mantenuto il loro sostanziale vantaggio come primo paese nella tecnologia informatica, nonostante un calo delle domande di brevetto nel 2023 (-6,8%). Anche considerando il totale dei brevetti depositati e anche considerando i paesi europei, gli USA rimangono ampiamente il primo in classifica.

Considerando invece l’edizione 2023 dell’Industrial Innovation Scoreboard dell’Unione europea, se nel 2013 le società cinesi erano 199 e la prima era alla 26° posizione (Huawei), nel 2022 sono 679 e la prima, sempre Huawei, è alla 5° posizione. In particolare, nel 2013 rappresentavano l’8% del totale delle prime 2500 imprese mondiali per R&S, mentre nel 2022 sono il 27%, a cui è ascrivibile circa il 18% degli investimenti in R&S (nel 2013, il 3,8%). Come accennato, gli USA rimangono ancora in prima posizione, passando da 804 imprese nel 2013 a 827 imprese nel 2022, mentre la flessione maggiore è registrata in Europa, che passa da 486 imprese nella classifica a 367 e passando dal 26% del totale degli investimenti in R&D al 18% (FIGURA 1).

FIGURA 1 – R&S delle prime 2500 imprese per ricerca e sviluppo, per paese
(miliardi di dollari)
Fonte: elaborazioni su dati 2023 EU Industrial R&D Investment Scoreboard

 

Dal punto di vista del capitale umano, molte informazioni sono disponibili sul portale OECD.AI.

Solo che in questo caso la domanda è estremamente complessa e non è per niente chiara: per ottenere questo annunciato boost di produttività, le organizzazioni – pubbliche, private, piccole e grandi, manifatturiere e di servizi – di chi hanno bisogno?

La risposta è chiaramente: dipende. Ed è su questo dipende che, come si sul dire, casca l’asino. Perché questo apre alla necessità di una strategia quantomeno a livello Paese, di una programmazione e un controllo in itinere, di un’idea di come si intende procedere e verso dove. Ma soprattutto alla comprensione di cosa sia davvero l’intelligenza artificiale, perché sia capace di aumentare così tanto la produttività (in quali settori? In quali funzioni? in quali dimensioni d’impresa? E quali sono le condizioni abilitanti per questo boost di produttività? Solo un abbonamento a Gpt4? )

 

lasciamo quindi da parte i dati, per ora 

Passando al Manifesto di Anitec-Assinform, di cui consiglio la lettura, è interessante citare due punti, generali ma fondamentali, che andrebbero ricordati prima di ogni discussione:

L’AI non è una commodity. Ogni azienda è diversa e l’AI, adattandosi alle caratteristiche di ognuna, utilizza risorse e porta bene­fici di volta in volta differenti.

E

Cʼè il rischio di una polarizzazione eccessiva delle posizioni tra tecno-utopisti e tecno-pessimisti. Al contrario noi sosteniamo una visione tecno-realista: un utilizzo consapevole e costruttivo delle tecnologie migliorerà la vita delle persone e farà progredire economia e società, come già accaduto per le tante grandi innovazioni industriali nella storia dell’umanità.

Mi piacciono molto questi due passaggi, senza toccare quelli più specifici descritti nel proseguo del documento, perché riportano alla calma, alla necessità di già richiamate analisi macro e micro e restituiscono al dibattito un arcobaleno di possibilità e non solo una dicotomia tra bianco e nero.

Un approccio che ho ritrovato anche – e ancor più forte – nell’articolo di Alfonso Fuggetta, Professore al Politecnico di Milano e CEO Cefriel, su Medium. Per citare le sue parole:

 

A me pare che chi sta decidendo su questi temi non sappia cosa sia una applicazione informatica, un prodotto software, e pensa che l’AI sia quella di Star Wars e Star Trek. È un disastro. Ci stiamo comportando in modo fanciullesco, immaturo, superficiale. Stiamo trasformando una tecnologia certamente potente e utile in una sorta di feticcio o pietra filosofale o, peggio, in una barzelletta.

Il Prof. Fuggetta mette in guardia da una semplificazione estrema e da un grande fraintendimento su cosa sia quello di cui trattiamo, come se la capacità di cogliere e vincere questa sfida non poggiasse sulle stesse basi che ci portano a rimanere indietro sulla competizione digitale in generale.

Sulla necessità di parlare meno e meglio dell’intelligenza artificiale ne ho parlato anche nella prima puntata di questa rubrica (tu quoque penserete).

Ed effettivamente io mi inserisco tra i tecno-entusiasti, sballottati come una bandierina dal vento della novità e disposti a girarsi in ogni direzione a causa della propria ignoranza.

Proprio per questo, oggi mi è sembrato utile segnalare queste fonti, nella convinzione di un’altra massima che ho letto:

Leggere 100 e scrivere 1

Quello che ci portiamo a casa oggi, spero, è quindi una sola parola: calma. 

Come sottolineata nella già citata riflessione del Professor Acemoglu, pubblicata su Wired (Get Ready for the Great AI Disappointment), potrebbe non andare tutto subito al massimo, potrebbe volerci tempo, ma soprattutto: cosa stiamo facendo per creare le condizioni di base?

 

Sto leggendo “Tecnocina – Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi” di Simone Pieranni e mi pare utile citarlo in questo momento. Senza dimenticare le modalità di creazione, gestione e sviluppo dell’innovazione in Cina – e le sue derive, anche non virtuose -, quello che colpisce è che niente è accaduto per caso.
Senza voler diventare un’economia pianificata, occorrerebbe in Italia capire che i percorsi sono complessi, la visione dovrebbe essere di medio-lungo periodo e che quello che frena produttività, sviluppo e crescita non è il non aver agganciato l’ultima novità, ma non sostenere adeguatamente le condizioni di base perché le innovazioni trovino terreno fertile per svilupparsi in modo autonomo.

Pur se appare interessante l’attenzione che l’Italia sta riservando al tema dell’intelligenza artificiale,  l’impressione è che stia cercando di risalire un fiume dalla foce, accorgendosi poi improvvisamente che la portata totale non è data solo da un percorso lineare dalla fonte, ma da tanti affluenti che erano stati ignorati.

 

 


[1] È bene ricordare che in Europa le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale generano oltre il 47% del PIL UE per un valore di 6,4 trilioni di euro, contribuiscono a quasi il 40% dell’occupazione (diretta e indiretta) nel mercato interno e generano un surplus commerciale di 224 miliardi di euro (nel periodo 2017- 2019). In Italia, le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale generano oltre il 52% del PIL e contribuiscono al 28% dell’occupazione nazionale, registrando performance superiori rispetto alla media UE e ponendosi al 5° posto tra gli Stati Membri.
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