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Ilaria Cucchi crea la gogna sui social, ma la gogna è già esclusiva dei giornali

5 Gennaio 2016

Le contraddizioni che quotidianamente ci attendono dietro l’angolo come ben sappiamo sono talmente tante, dunque spesso come logica conseguenza sfuggono alla nostra attenzione di esseri sbilenchi, ancora impacciati nel collegare i vari aspetti che la realtà ci offre senza necessariamente separarli in compartimenti stagni.

Ieri la collega Giusi Fasano del Corriere della Sera è entrata con toni non soffici per commentare la decisione di Ilaria Cucchi di condividere una foto pubblicata su facebook da uno degli agenti presunti responsabili della morte del fratello Stefano. La vicenda è ormai nota e da tempo si trascina fra tribunali e acredini di ogni specie, virtuali e non, e non pensiamo certo di esagerare nel definirla una delle pagine più buie della nostra storia recente, nonostante questo secondo Fasano «Ilaria Cucchi da donna intelligente quale è deve aver capito anche lei di aver fatto quantomeno un passo falso», con quel “quantomeno” messo lì a far presagire anche qualcosa di più grave volendo, questo in nome di un sacrosanto e impugnato garantismo, «anche perché contro il carabiniere si sono esibiti i giustizialisti del web». Per carità, le indagini sono in corso e nulla è stato sentenziato o certificato, certo anche è che i sospetti e gli indizi non sono di poco conto ma soprattutto inscalfibile è la certezza secondo cui se c’è qualcuno che crede nello stato di diritto quella sia proprio la famiglia Cucchi che guidata da Ilaria non ha mai smesso di sperare nella giustizia.

Tuttavia secondo Fasano, o comunque secondo il Corriere -anche se è sempre duro scegliere di attribuire le opinioni ai singoli o agli agglomerati- quella che diffonde la foto “non è la vera Ilaria”, ma un’Ilaria “che sa di gogna”, mentre piace di più quella che invita ad abbassare i toni nel post seguente, quella “di prima”, «quella avvolta nella gigantografia di Stefano». Se il pezzo restasse in linea con la missione -non l’opinione, ma la missione- del giornale in realtà ci sarebbe ben poco da obiettare al di là di quel vocabolo “gogna” incastonato con eccessiva leggerezza nel dare altri spigoli contundenti a una vicenda che francamente non ne ha bisogno. Ci sarebbe poco da obiettare perché come racconta la giornalista «il fascicolo sui carabinieri è aperto da giugno 2015, e perché – al di là delle convinzioni personali di ciascuno di noi – non siamo ancora arrivati nemmeno alla richiesta di rinvio a giudizio degli indagati e perché vale sempre quel famoso principio secondo cui nessuno è colpevole fino a prova contraria».

Quanta precisione, quanta dedizione alla deontologia professionale. Non si capisce però perché la stessa dedizione non venga applicata nei numerosi casi che dal giudiziario scivolano nell’avanspettacolo, in quelli degli studenti canadesi scambiati e spacciati per terroristi, o nelle gogne allestite per piloti suicidi, figli ribelli, zingari ladri, teppisti, sospetti stupratori, showgirl peccaminose e perché no, anche politici indagati. Non si capisce perché lì quel famoso principio non valga, come non si capisce perché anche al di là del famoso principio non ci si fermi davanti a nulla e invece si debba scattare davanti a una condivisione da social network, e a colpire non è la giusta causa quanto la disparità di trattamento. Non si capisce neanche perché un articolo come quello della Fasano sia incentrato e occupato da un post su facebook e al contempo si dedichi a descrivere facebook come cloaca di giustizialismo su cui fare poco affidamento, dimenticando che i giornali ormai  cercano e attingono proprio da facebook la maggior parte di quel che pubblicano, spesso e volentieri non curandosi né di quel famoso principio, né di principi meno famosi ma non certo meno importanti, a patto che ci si illuda nel voler vedere sempre valido il principio secondo cui la fama non aumenta l’importanza.

Evidentemente però questo principio non è sempre valido, altrimenti non potremmo mai immaginare il giornalista, lo stesso giornalista che magari bestemmia se un numero di telefono è occupato, che si impegna ad andare fino a Taranto per “mettere alla gogna” il ragazzo autore dell’sms che tanto indignò il bigottismo nazionalpopolare durante il veglione televisivo della Rai, esponendone foto -prelevate da facebook e non condivise- e costringendolo a delle improbabili scuse, quasi come se per una bestemmia ci si debba denudare davanti a un paese ed esposti alla pubblica umiliazione mentre per un’accusa di omicidio in divisa si debba restare coperti e schivi, al riparo da tutti. C’è da dire che a guardar bene la realtà ci ha già risposto, ma non sembra essere tanto d’accordo con la visione del Corriere.

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