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Il Direttore di FanPage: “Vi racconto del sequestro del sito e della lobby nera”

23 Novembre 2021

Conosco Francesco Cancellato da quando era Direttore de Linkiesta. Una laurea in Economia e una carriera lampo nel mondo del giornalismo, una serie di pubblicazioni e oggi la direzione di FanPage, che negli ultimi mesi, grazie all’inchiesta sulle incursioni di estrema destra nelle elezioni milanesi, lo ha portato alla ribalta e fatto diventare ospite dei principali talk show politici in televisione. In questa intervista, fatta su un diretto Milano-Roma, ci racconta il suo percorso professionale, il rapporto con il padre e la sua visione di giornalismo.

Chi sono stati i tuoi maestri e a chi ti sei ispirato?

Non nasco giornalista, per dieci anni ho fatto un altro mestiere, nell’ambiente ci sono capitato dopo. Posso definirmi un giornalista incidentale. Nell’aprile del 2014 sono entrato a Linkiesta e a dicembre ero già direttore, è successo tutto così in fretta. Non ho fatto la classica gavetta in redazione, non ho avuto grandi maestri, i maestri li ho conosciuti dopo e ovviamente tanti colleghi si sono rivelati fonte di ispirazione e di grande aiuto. Tra i professionisti che mi hanno ispirato in questi anni, come qualità di direzione, come modi, come capacità di analisi, come idee, ti direi sicuramente Ferruccio De Bortoli, Monica Maggioni, Lucia Annunziata. Chi per me resta un mito è un collega americano che si chiama Christopher Hitchens.

Quale ruolo ha rappresentato Aldo Bonomi, sia a livello personale sia nella tua crescita professionale?

Aldo Bonomi è stato un grande maestro, per me è stato come fare una seconda università. Ho studiato economia politica, una materia fatta di numeri, di formule, di diagrammi, di funzioni. Con Aldo ho capito che l’economia rappresenta una costruzione politico-sociale, ho imparato a fare interviste, ho compreso meglio il filo rosso che collega le esperienze dei singoli, ho conosciuto tanti autori che mi sono stati utili nel corso della mia vita professionale e lì ho imparato a scrivere, grazie a tanti bravissimi colleghi; da Aldo, in particolare, ho imparato il dono della lettura dei fenomeni complessi, una lettura laica, una lettura attuale, aderente ai fatti, non alle mode e ai pregiudizi, non legata a quello che altri vorrebbero sentirsi dire.

C’è un consiglio che tu hai ricevuto dai tuoi maestri e che ora riproponi a chi inizia nella tua redazione?

Ti posso riferire il consiglio che mi ha dato il mio co-direttore, Adriano Biondi, a FanPage: “non circondarti di persone che ti danno sempre ragione, non fare sempre ciò che ti è più comodo, non dare mai un’ interpretazione del mondo che collimi con la tua visione del mondo, ma sii intellettualmente onesto nel vedere, nel valutare e poi nel modo di raccontare, perché è da quello che tu fai che si fonda l’esperienza di vita degli altri”. Questo per me è il grande scopo del giornalismo.

Cosa ha significato avere un padre come il tuo? (ndr Andrea Cancellato è Presidente di Federculture, ex Direttore de La Triennale di Milano, sindaco di Lodi dal 1980 al 1990) Quanto ha influito sul tuo percorso e sulle tue scelte?

Mio padre ha influito tantissimo sul mio percorso: era un politico quando io ero piccino, quindi la casa era piena di giornali, lui ha sempre avuto un rapporto simbiotico con la carta stampata, con il suo aiuto ho imparato anch’io a leggere i giornali, ad analizzarli con senso critico e questo ha avuto un grande influenza su di me, sia dal punto di vista professionale sia da un punto di vista personale. È una persona di altissimo livello intellettuale, con una grandissima onestà intellettuale, queste sono caratteristiche che inevitabilmente si assorbono. Una figura così ingombrante, per quanto possa condizionarti nelle scelte, mi ha spinto anche a cercare un percorso autonomo e ad essere all’altezza della mia scelta, non è stata una persona che mi ha spianato la strada, ma mi ha aiutato a cercare quella che fosse la MIA strada.

Cosa ti ha spinto a lasciare Linkiesta per accettare la sfida di Fanpage?

A Linkiesta si era chiuso un ciclo, secondo me il giornale aveva bisogno di altro, cosa che probabilmente io non ero più in grado di dare. Dall’altra parte la sfida di FanPage, in fondo, era ciò che avevo sempre desiderato, un giornale in ascesa, molto giovane, molto irrituale rispetto ad altre testate mi sono sentito come poteva sentirsi una persona a MTV tra la fine degli anni novanta e primi anni duemila, ho trovato una realtà che collimava perfettamente con quelle che erano le mie aspettative e attualmente sono molto felice di aver fatto questa scelta.

Che differenza c’è fra un editore che lo fa di mestiere e uno che invece nella vita fa altro?

Parlerei solamente di FanPage, perché in Italia tutti gli editori fanno un altro mestiere, tranne l’editore di FanPage. Avere un editore puro è sicuramente un grande vantaggio, perché è una persona che ha fatto e fa del suo giornale il proprio business e quindi con il giornale deve guadagnare e non stare ad altri sconti. Questo ti dà un innegabile vantaggio in termini di libertà, di costruzione di un spazio, che ti renda libero e di un uso responsabile della libertà che vuol dire non tenersela in tasca, devi usarla come una moneta che non va tenuta ferma. Dall’altra parte è bello avere un editore che non vuole si sappia chi siano gli investitori del proprio giornale, può permettersi di parlare di chiunque. Questa è la differenza fondamentale di FanPage, rispetto a qualunque altro giornale in Italia. Il principio di FanPage è che tu devi guadagnare con il giornale, la testata non serve ad altri scopi, questa libertà ti spinge a fare meglio il tuo lavoro. Un editore che fa altro, potrebbe avere anche altri scopi, quali seguire una linea politica o parlare di cose a lui gradite, indipendentemente che le stesse possano avere un mercato. La logica imprenditoriale in questo senso è un meccanismo che ti permette di fare un giornale che aderisce a quello che vuoi proporre ai tuoi lettori. Per farti un paragone: c’è chi produce automobili per passione e gusto personale, non mettendo tra le priorità che le stesse possano incontrare anche il gusto dei consumatori, e chi invece le produce solamente per venderle, come unico scopo.

Come nasce l’idea di “Riscatto”, il libro intervista scritto insieme a Giorgio Gori? Cosa ti ha colpito di più della sua storia?

È un libro che nasce da una chiacchierata davanti ad una pizza e una birra: lui mi racconta storie e io ne rimango affascinato. Decidiamo di fare un libro, con una storia che però esca dalla pandemia e vada avanti e indietro, ripercorra momenti passati e recenti. Con Giorgio c’è una profonda stima umana, professionale, prima ancora che politica, anche se la pensiamo in modo un po’ diverso.

Hai scritto un libro sulla caduta del muro di Berlino. Quali sono oggi “i muri” in senso lato, che dovremmo abbattere?

È sempre lo stesso: il muro tra noi e gli altri. Ovunque ci sia un “noi”, che contrapponiamo a qualcun altro, esiste un muro, può essere il mare di Sicilia,  la divisione fra le diverse generazioni, l’inconsapevolezza di chi governa nei confronti di chi verrà dopo; muro è quello che divide chi ha il vaccino e chi no, chi può usufruire di cure mediche e chi non ne ha la possibilità, potrei ricordarti poi qualsiasi muro fisico, come quello di Gaza, quello in filo spinato che divide la Polonia dalla Bielorussia, ma se vogliamo parlare di muri simbolici, è ciò che sottende ad un muro, che dovrebbe essere abbattuto. Nel libro dico che per costruire un muro, basta abbattere un ponte come era successo a Mostar.

Fare il giornalista infiltrato per scoprire un politico infiltrato, alla fine, non è un po’ la stessa cosa?

No, non è la stessa cosa, quello che facciamo noi è di pubblica utilità, quello che fa un politico infiltrato invece non lo è. Noi abbiamo fornito informazioni di pubblico interesse, abbiamo mostrato che persone che si definivano membri onorabili della destra italiana, che avevano rotto i ponti con il passato, in realtà facevano saluti romani, parlavano di legalità, chiedendo soldi in nero, abbiamo mostrato una retro bottega, un retro palco, di una rappresentazione fasulla di una certa parte politica. Le destre estreme che si infiltrano nel mondo della destra, per contaminarla e per plasmarne l’agenda politica, non svolgono nessun interesse di pubblica utilità, semplicemente agiscono nell’ombra, per muovere come marionette persone che a noi si presentano in un altro modo. Il nostro infiltrarsi è il disvelamento di una bugia, il loro infiltrarsi è la creazione di una bugia. Sono due cose completamente diverse.

L’inchiesta su Fratelli d’Italia di 3 anni fa, te al sei trovata nel cassetto?

Quando arrivai a FanPage l’inchiesta era già iniziata, tieni presente che questo gruppo di inchieste risponde direttamente al Direttore, l’inizio quindi era collocato pienamente all’interno della gerenza di Francesco  Piccinini, io all’epoca ero vice direttore e non ne sapevo nulla. Quando al cambio di gerenza ci è stata sottoposta l’inchiesta, ne abbiamo compreso subito il potenziale, anche se in effetti c’erano poche cose da raccontare. L’intuizione positiva è stata quella di mettere il naso nella campagna elettorale di Milano, pensando che molti di quei soggetti, che agivano nell’ombra all’interno dei due partiti della destra italiana, volessero ritagliarsi uno spazio all’interno della costruzione delle liste nella campagna elettorale, cosa che poi in effetti è avvenuta e che è quello che abbiamo raccontato.

“La libertà di espressione e una stampa libera sono alla base di una società democratica” questa è la motivazione con cui il Comitato del premio Nobel ha assegnato quest’anno il nobel per la pace a Maria Ressa e Dmitry Muratov. Considerata la vostra esperienza con FanPage in merito all’inchiesta Durigon, quanto l’Italia è lontana da questa visione?

Tantissimo purtroppo, se ci avessero sequestrato il dominio del nostro giornale, per una querela per diffamazione a mezzo stampa contro ignoti, senza una sentenza e presumendo colpevolezza, sarebbe stato ancora peggio, fortunatamente hanno cambiato idea, ma quello resta un episodio molto inquietante per me. Un episodio che tutti ci siamo dimenticati troppo in fretta, io, in realtà, non me lo sono dimenticato per nulla, è uno spettro che mi fa compagnia da quel giorno. Mi spaventa molto pensare a quel provvedimento, a ciò che significava e al fatto che se non avessimo reagito con tale forza, probabilmente sarebbe divenuto esecutivo. È stato veramente un brutto segnale. Così com’è un brutto segnale il fatto che un leader politico si senta in diritto di poter chiedere, a un giornale, tutto il materiale necessario alla costruzione dell’inchiesta, sia che lo faccia per ignoranza sia che lo faccia con la consapevolezza di ciò che sta chiedendo.

Quale sarà il futuro del giornalismo?

È un futuro incerto, che dipende molto dalle grandi piattaforme, Google e Facebook in particolare, direi dai social network e dai motori di ricerca in generale. In questo contesto fatica a trovare una sua sostenibilità, gioca una partita squilibrata con quello che sono i suoi distributori.  Il tutto passa nel trovare una sostenibilità, con meccanismi distributivi diversi, non so ancora come, se lo sapessi farei l’editore e non il direttore, però se non la troverà, non sarà un futuro bello. Noi siamo abituati alla concezione del capitalismo, dei grandi mecenati, ma non riesco ad immaginarmi qualcosa che, dipendente dal capitale di altri, sia anche intrinsecamente libero e quindi capace di generare un’informazione diversa, utile e di pubblico interesse. La ricerca della sostenibilità è la chiave per avere una buona informazione.  La sostenibilità non passa necessariamente dal web.  I giornali cartacei che nascono oggi cercano una via diversa dai grandi giganti del web, dimostrano coerenza con questo obiettivo, che ci riescano o meno, non è compito mio prevederlo.  Siamo di fronte ad un numero di copie di giornali di carta di gran lunga inferiore rispetto al passato, la gente sicuramente legge di più, ma legge altrove.

Foto di FanPage.it

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