Internet

Gli analfabeti digitali

25 Luglio 2015

Neanche vent’anni fa un computer bastava per tutta la famiglia. Il router faceva un certo fracasso quando si connetteva alla linea remota. E si aspettava. Non si passava molto tempo, dietro a floppy, Messenger e Katamail. Non ci si portava neanche i cellulari al bagno. Si aveva il Nokia 3310 ma si continuava a chiamare col telefono di casa; si scambiavano i primi sms ma bastava citofonare che gli amici erano giù ad aspettarti, si giocava a Snake continuando a preferire il cortile sotto casa e a correre dietro un pallone. Si faceva uno squillo e bastava quello.

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Non essere stato un nativo digitale ha posto la generazione degli anni ’80 sulla corsia preferenziale della transizione tecnologica e informatica consapevole? Vent’anni fa si era più pazienti. Si aspettava perché aprire una pagina Internet richiedeva quel tempo. Si faceva l’elogio dell’attesa inconsapevolmente, senza discussioni. La rivoluzione digitale ha invece fatto diventare, anche quella generazione, esigente, assetata di velocità e in preda a raptus di istantaneità.

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Poco importa oggi non essere dei nativi digitali. Le conseguenze del web sono le stesse per un trentenne di oggi come per un qualunque adolescente. Non parliamo dei loro genitori, eccitati e intrappolati nel vortice dei social media. Taggano tutto e tutti, fanno a gara coi figli per condividere video e citazioni, foto di gatti e padelle, ritoccate rigorosamente con Instagram. Chiedono “come stai?” su WhatsApp, implorano in privato su Facebook di mettere “mi piace” ad ogni loro status. Sono apprensivi tecnologici compulsivi, vanno di app in app e a Natale soffrono di un dilemma amletico: Samsung o Iphone? Tablet o Smartphone? Neanche vent’anni fa un computer bastava per tutta la famiglia. I genitori non si collegavano mai, se non per giocare a solitario. Ancora si parlava, quando il televisore non dava più spunti al dialogo. E ancora si bisticciava, senza interfacce né emoticon.

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Neanche vent’anni fa si era liberi e non ci si chiedeva perché. Vent’anni dopo Google ha la risposta ad ogni quesito, ad ogni dubbio. Vent’anni fa si dava libero sfogo ai sogni, si lasciavano alle preghiere notturne le malefatte e i segreti più intimi. Ora l’imperativo è condividere. Si fanno i selfie prima di morire. Anche il linguaggio è cambiato, e non si chiedono neanche perché. Non parlano, se non davanti a uno schermo touch multi screen. Non vedono, se non dietro a 10 megapixel. Non sanno che se compongono 140 caratteri è perché si ha il dono della sintesi, non dell’italiano sgrammaticato e abbreviato spacciato 3.0.

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E, tra vent’anni, genitore o figlio, che effetti avrà avuto Internet sulle vostre vite? Vi avrà educato, o vi avrà solo permesso di sperimentare solitudine sociale? Per cosa state utilizzando i motori di ricerca, per cosa e per chi state dedicando il vostro tempo? Se tra crowdfunding, webinar, e-book, podcast, stampa 3D, Big data e Candy Crush, sapete solo a cosa serve quest’ultima, non chiedetevi perché. Non perdete neanche tempo a storcere il naso perché si tratta, per la maggior parte, di termini in inglese. Continuate a giocare. Non si sa mai che mettano quei giochi a pagamento.

 

Laura Fois

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