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Fedez e gli haters: l’odio è vomitevole, ma non ci sono vuoti normativi
Fedez non se la sta passando bene mentre sta affrontando la separazione con Chiara Ferragni (che è ritornata prepotentemente tra interviste al Corsera e da Fazio: anzi, qui ci sono i miei two cents sulla seconda intervista e qui un commento sul provvedimento che a dicembre l’ha colpita).
Le cose, in realtà, per Fedez non andavano bene fin dall’inizio dell’anno, fin da quando in una puntata di Muschio Selvaggio, ep. 137 del gennaio 2024, si è parlato degli haters (in particolare quelli di suo figlio Leone, insultato e minacciato di morte quando è sceso in campo durante la passerella dei calciatori con i bimbi prima dell’inno della Serie A)
Ebbene, nel condannarli (beninteso: giustamente perché augurare la morte a un bambino è qualcosa di vomitevole) il Nostro ha scatenato altri haters contro una persona, presunta responsabile, ma che in realtà sembra proprio essere ignara di tutto: nell’episodio in questione, infatti, mostrò la faccia (definita in modo offensivo) del responsabile, il quale però aveva la foto profilo di un tifoso dell’Inter molto noto su Youtube e Twitter (la parte ora nella puntata originale è stata oscurata).
In realtà, per la legge, anche se sei dalla parte del giusto non puoi scadere nel turpiloquio: difatti, ai fini della diffamazione o delle ingiurie, è scarsamente rilevante l’errore in buona fede sulla persona destinataria delle offese. Semplicemente, è poco efficace, se non dannoso combattere la violenza o le minacce, con ulteriore violenza (verbale o fisica che sia).
La questione, in ogni caso, sembrava essere terminata lì, anche perché nel frattempo molte altro è accaduto, ma non pago, è ritornato sulla questione qualche giorno fa, partecipando alla Fabbrica del Vapore di Milano, dove è stata in scena la mostra “Supereroi”, un progetto che si propone di gettare luce sull’importante lavoro svolto dalla Polizia di Stato nel contrasto all’adescamento online dei minori.
A margine di quella manifestazione ha dichiarato:
Per lo Stato italiano augurare il cancro a un bambino di cinque anni non è reato. Questa cosa mi ha lasciato abbastanza perplesso: parliamo tanto di hate speech, di fomentare l’odio però se uno augura un cancro a un bambino di cinque anni non succede niente. Forse bisognerebbe intervenire da un punto di vista dei vuoti legislativi.
In realtà no, non è proprio così: sulla questione si è espressa più volta la Cassazione affermando che, di base, bisogna valutare caso per caso se c’è un’offesa all’altrui decoro, se c’è una minaccia diretta di morte (e non un semplice augurio) oppure no.
D’altra parte, la predizione di una malattia incurabile è una circostanza che esula dalla volontà e dalla capacità di influenza dell’autore della minaccia, per cui si tratta di un comportamento che non è di per sé sufficiente a incutere timore o a condizionare la sfera della libertà morale della vittima (sentenza n. 51618/17 del 13 novembre 2017).
Quindi, se manca una minaccia diretta, un atto intimidatorio, augurarsi la morte di un’altra persona è certamente manifestazione di astio, forse di odio ma è penalmente irrilevante, poiché il precetto evangelico di amare il prossimo come sé stessi non ha sanzione penale. Questa è la legge, direbbe l’Avv. Angelo Greco.
Quindi non c’è alcun vuoto normativo, il Codice definisce e sanziona le minacce e le ingiurie: augurare la morte a qualcuno, peggio: a un bambino, è senza dubbio ributtante ma, nelle condizioni che ho descritto, non è un reato.
In realtà, il punto su cui mi soffermerei, tuttavia, non è tanto se sia reato o meno, quanto che dovremmo tutti imparare a non odiare, a non urlare, a non offendere, indipendentemente dal fatto che sia o meno reato. Non dovremmo stupirci degli urli sguaiati di Vittorio Sgarbi e delle litigate di Morgan, si dovrebbe evitare di ricercare a ogni costo la viralità, dando prevalenza alla quantità piuttosto che alla qualità, dovremmo renderci tutti conto che parlare senza offendere, il cosiddetto politicamente corretto, non è un capriccio eccentrico.
Per quanto umanamente comprensibile la reazione di Fedez, non odiare significa anche non minacciare di devastare qualcuno che offende tuo figlio né rispondere da duro a chi dice volgarità su tua moglie e sui tuoi figli, quanto piuttosto reagire come consente l’Ordinamento, dove possibile proporre nuove interpretazioni della legge, oppure cogliere l’occasione e sfruttare la popolarità per spiegare come NON ci si comporta.
Fedez ha i numeri di pubblico per farlo, facendosi affiancare da professionisti e lasciando parlare loro. Non odiare è una questione prima di tutto culturale, e di lavoro c’è ancora tanto da fare.
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