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Fake News: la parola dell’anno 2017
La parola dell’anno per il Collins Dictionary è Fake News. Un inglesismo ormai entrato ampiamente anche nella lingua italiana, che indica le cosiddette ‘bufale’, notizie false, artatamente costruite e molto spesso studiate nel dettaglio per poter passare per verosimili e diventare ‘virali’ raggiungendo e convincendo il maggior numero di persone possibili. Le Fake News non sono un fenomeno nuovo, né nascono con i nuovi media: notizie e storie false costruite ad hoc, bufale, disinformazione, sono armi antiche usate senza troppi scrupoli da quando, con l’affermarsi dei regimi democratici, il consenso dell’opinione pubblica ha un ruolo chiave nel balletto del potere. Niente di nuovo o di inedito dunque. Ma di certo, il 2017 è stato un anno in cui il fenomeno ha acquisito una visibilità enorme, anche grazie all’ossessione del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump che più volte si è lamentato di essere vittima di campagne basate sulle fake news, sebbene l’ossessione di Trump sia più rivolta ai media e al loro lavoro in generale, per screditare il quale, fa buon gioco il nuovo spettro delle bufale.
Di fake news quest’anno si è parlato moltissimo anche in Italia. Secondo un rapporto pubblicato da Data Media Hub, sulle testate giornalistiche italiane l’espressione è stata ripetuta 10000 volte, che diventano 166000 se si guarda alle pubblicazioni online. Anche in Italia dunque, abbiamo imparato a familiarizzare con questo termine che significa disinformazione, confusione e bugie.
Se le fake news e la disinformazione sono sempre esistite, di certo l’avvento dei nuovi media, in particolare dei social media, ha costituito terreno fertile per questo fenomeno. Ad oggi infatti, tutti sappiamo cosa sono, ma diventa sempre più complicato riconoscerle.
La verifica delle fonti è sempre stata una delle attività fondamentali del lavoro giornalistico, oggi in molte redazioni è diventata l’attività prevalente. Sempre meno la notizia va scovata, sempre di più la notizia va verificata. In un mondo in cui l’informazione ormai non è più mediata, e in cui ogni individuo dotato di una connessione in rete può diventare esso stesso media e pubblicare fatti, storie, contenuti senza avere l’obbligo professionale di verificarne prima la veridicità o, ancor peggio, con la diretta intenzione di far circolare una bufala, una bugia, una mistificazione tra il maggior numero di persone raggiungibile con un click, la lotta alle Fake News ha qualcosa di titanico.
Il mito della trasparenza di internet ormai è da tempo naufragato, le bufale create ad hoc sono spesso storie ben costruite che ingolosiscono per il loro potenziale virale e non capita così di rado che anche i media tradizionali più strutturati, con staff dedicati al fact-checking ci caschino. Gli utenti della rete, anche con un grado di istruzione medio alta (che presupporrebbe maggiori strumenti critici), diventano inconsapevolmente bersaglio delle bufale e ne contribuiscono alla diffusione con il semplice gesto della condivisione. Notizie o storie palesemente false, ma anche notizie e storie ben costruite, pericolosamente verosimili, trovano il modo di circolare a grandissima velocità, diventando virali e aumentando il grado di disinformazione e confusione nella società.
In questo contesto l’informazione può vincere la battaglia contro le ‘bufale’ non solo lamentandosi della presunta dabbenaggine degli utenti (in particolare continuando l’ anacronistica guerra santa contro il web), ma sensibilizzando i lettori e i follower al problema, aiutando le istituzioni, si pensi alla scuola, ad educare i giovani, che sono i maggiori fruitori del web a un approccio critico alle notizie (non solo assorbite in rete), all’abitudine alla verifica delle fonti, che ad un primo livello proprio il web rende possibile e accessibile a tutti. Se è vero che oggi con un cellulare e un collegamento in rete siamo tutti media, tutti possiamo pubblicare i nostri contenuti, è anche vero che tutti allora dovremmo diventare un po’ più consapevoli in questo processo di pubblicazione collettiva, considerando la verifica della veridicità di storie e notizie ad un primo livello una responsabilità collettiva legata a una possibilità collettiva, quella di pubblicare.
Come scrive Anna Masera su La Stampa infatti, “l’aspetto più inquietante della diffusione di questo modo di dire (fake news), è che si rischia di dare per acquisito che possano esistere notizie vere, verosimili e false”. E questo è il punto, la battaglia che va combattutta. Se la parola del 2017 è stata fake news, quella del 2018 o del 2019 o del 2020 si spera sia fact checking.
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