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Facebook censura chi pubblica Courbet. Sulla base di quali regole?
E’ di qualche giorno fa la notizia che il famoso critico d’arte, Vittorio Sgarbi, ha richiesto cinquantamila euro di risarcimento a Facebook per aver censurato una sua foto accanto al famoso quadro custodito al Musèe d’Orsay di Parigi “L’origine del mondo” di Gustav Courbet, che ritrae le parti intime di una donna. La pubblicazione è costata cara a Sgarbi; è stato infatti disposto il blocco per 24 ore della pagina del profilo del critico d’arte e sottoposta a censura a causa della pubblicazione. Da ciò deriverebbe la richiesta di risarcimento.
Ma contro quel quadro già si era focalizzata l’attenzione di Facebook, o, sarebbe meglio dire, la scure.
Agli inizi del 2015, un docente francese aveva portato il social network avanti la Corte di Parigi, dal momento che si era visto bloccato l’account a seguito della pubblicazione di una foto che ritraeva sempre il quadro di Coubert.
L’aspetto più interessante della vicenda, per i giuristi, è sicuramente la circostanza che il giudice parigino si è ritenuto competente per decidere, non permettendo che il processo si svolgesse in California, sede di Facebook, secondo la deroga prevista nel contratto accettato dagli utenti.
Il processo è tuttora in corso. Ma resta da chiedersi quali regole sarebbero state violate nei casi riportati. Oltre le condizioni e la normativa sui dati, che vengono accettate al momento dell’iscrizione, esistono per Facebook anche i c.d. standard della comunità, elaborati nel marzo del 2015 dal team del social network che crea la normativa sui contenuti, ove vengono specificate le regole su cosa non può essere pubblicato. Il controllo viene svolto da aziende terze che, in caso di segnalazione, filtrano o, nei casi più gravi, eliminano il contenuto. Si tratta di una specie di codice di condotta ottriato, ossia non scelto dagli utenti, ma concesso loro dall’alto.
Vario è il relativo contenuto, che spazia dal divieto di minacce, alle forme di intervento contro qualsiasi atto che promuova l’autolesionismo o il suicidio; sono inoltre vietati il bullismo e qualsiasi atto di intimidazione, nonché i contenuti che minacciano o promuovono violenza o sfruttamento sessuale, incluso quello di minorenni e le aggressioni a sfondo sessuale. Non sono ammessi contenuti di nudo, quelli che incitano all’odio oppure quelli violenti o le immagini forti.
Oltre che limiti soggettivi, ve ne sono anche altri che interessano il profilo collettivo. E’ vietata la presenza su internet alle organizzazioni terroristiche o che svolgano attività criminali organizzate. La sanzione della rimozione interessa anche eventuali apologie di reati, volte cioè ad elogiare o sostenere i leaders di tali organizzazioni o volte a giustificarne il comportamento.
In realtà, questo codice, che ha lo scopo di distinguere ciò che lecito da ciò che non lo è, presenta dei concetti estremamente vaghi che potrebbero condurre a risultati problematici. Valga l’esempio proprio dei contenuti di nudo. E’ stata così eliminata una foto di un’indigena brasiliana ritratta a seno nudo dalla pagina del ministero della Cultura del paese sudamericano; anche in questo caso, né è scaturito un procedimento legale contro il social network da parte del governo brasiliano.
Ma i dubbi e le incertezze non finiscono qui; altro profilo problematico è la nozione di attività criminale; senza un’indicazione contenutistica, bisogna far riferimento al luogo di utilizzo. Ma si considerino i Paesi come la Russia in cui, ad esempio, è vietata la propaganda ed ogni manifestazione omossessuale. Quindi, secondo le regole di condotta, anche il social network dovrebbe rispettare tali divieti. D’altronde, le indicazioni provenienti dai responsabili della policy sono chiare: «if a country requests that we remove content because it is illegal in that country, we will not necessarily remove it from Facebook entirely, but may restrict access to it in the country where it is illegal».
E per l’arte? Negli standard della comunità, con riferimento ai contenuti di nudo, si precisa che “è permessa anche la pubblicazione di fotografie di dipinti, sculture o altre forme d’arte che ritraggono figure nude”. Appare quindi illegittimo il comportamento tenuto nei confronti del ritratto di Coubert. Ma prima di tale specificazione, si rileva, in via generale, che “le nostre normative sono talvolta più rigide di quanto ci aspettiamo e limitano anche contenuti condivisi per obiettivi legittimi”. Come dire, l’ultima parola resta sempre a chi le regole le fa; torna in mente quel principio espresso da Ulpiano, nel noto passo del Digesto, secondo il quale “Quod principi placuit, legis habet vigorem” ovvero della possibilità indiscussa del principe di dettare una normativa. Un potere quindi illimitato, non democratico, privo di limiti e di controlli; un agire però che urta con la mission di Facebook, ossia “fare in modo che ciascuno possa condividere la propria vita e che il mondo sia più aperto e connesso”. Un contraddizione quindi intrinseca, in cui anche il valore della tolleranza viene rimesso al volere indiscusso del proprietario del social network, che rimarca ancora una volta la necessità di affermare anche sul web i valori che animano il mondo reale. Ma forse proprio da questi bisogna partire, dalla necessità di una maggiore libertà e da una valutazione attenta alle varie forme di manifestazione del pensiero. Diversamente, si potrà (forse) giungere a garantire la sicurezza on line, ma mai la crescita culturale delle persone, la rapida circolazione di idee e, soprattutto, lo sviluppo dei diritti.
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