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Il benessere quantificato: la sfida di Specch.io

19 Febbraio 2015

Conoscere se stessi è da sempre una delle sfide che ha caratterizzato la condizione umana. Il modo in cui farlo è però tutt’altro che scontato. La tecnologia può venirci in aiuto e una delle tendenze che si muove in questa direzione si chiama Quantified Self, un variegato insieme di strumenti di auto-osservazione che si muove tra l’ambito delle tecnologie indossabili e quello dell’Internet delle Cose.

Nel Quantified Self il concetto di informazione viene applicato alla vita quotidiana e anziché sulla tecnologia ci si concentra sulla persona. Soprattutto negli Stati Uniti, ha generato vere e proprie comunità di appassionati, dedite a misurare calorie consumate, chilometri percorsi, qualità del sonno, fino ad aspetti molto dettagliati della propria vita quotidiana.

Nella divisione di Open Innovation Research di Telecom Italia si guarda all’innovazione dedicando particolare attenzione all’aspetto qualitativo di questo tipo di tecnologie. Il progetto Specch.io, un avveniristico sistema di analisi dei dati generati dalle nostre attività quotidiane che sembra uscito da un film di fantascienza, si propone di integrare i vari dati che provengono dallo smartphone, dai dispositivi wearable e da altri device che monitorano i parametri fisiologici dell’individuo per offrire una intuitiva visione di insieme sul nostro benessere psicofisico, evidenziando correlazioni ed eventi ricorrenti.

Gli Stati Generali hanno parlato con Alessandro Marcengo, psicologo specializzato in ergonomia cognitiva e referente in azienda per l’ambito del Quantified Self. Il progetto è interno a Telecom ma si avvale in parte della collaborazione di centri universitari. Questo tipo di iniziative sono dei progetti informali, che uniscono l’agilità di una startup al know-how e ai mezzi di una grande azienda, secondo un modello di lavoro che è in parte analogo a quello dei JOL.

specch.io

Lo scopo di Specch.io è quello di rendere evidenti le nostre abitudini integrando le varie sorgenti di dati in un’unica immagine che possa essere di facile comprensione per l’utente. A differenza dell’approccio quantitativo tipico degli americani, tenta di allontanarsi dalla visione della persona come una macchina da cui è possibile estrarre dei dati e si concentra su un concetto più sfaccettato di benessere che si allontana dal mero conteggio del consumo di calorie, tenendo conto della persona da un punto di vista globale.

Come mai un’azienda come Telecom Italia ha deciso di lavorare sul Quantified Self?

Il Quantified Self ha il suo centro di gravità in California, dove si trova la community di ricercatori che maggiormente lavora in questa direzione. Pubblicando e partecipando alle conferenze sul tema siamo parte attiva di questo movimento, e non solo dei follower. Abbiamo l’ambizione di dire la nostra e influenzare  questa tendenza. Non producendo direttamente applicazioni per il business, talvolta il nostro lavoro è guardato con una certa curiosità anche da altre parti dell’azienda. Cerchiamo di prevedere le nuove possibilità che stanno per emergere o lo faranno in futuro.

Come nasce Specch.io?

Il progetto nasce dalla riflessione sull’impatto sociale di un certo tipo di tecnologie. Lo descriviamo come un progetto sul benessere e in un certo senso un progetto sulla felicità. Oggi con i nostri smartphone e i vari dispositivi indossabili generiamo ogni minuto una quantità immensa di dati personali. Riuscendo a metterli insieme, lavorarli opportunamente e restituirli a chi li genera — e solo a lui in un’ottica di stream chiuso — abbiamo la possibilità di produrre un grande valore per la persona. Questo valore si concretizza in una conoscenza sulle proprie abitudini di vita vista da un’ottica oggettiva, abilitando una vera e propria forma di awareness, consapevolezza, secondo la metafora dello specchio. Integrare tutti i dati permette di costruire un’immagine dinamica di chi siamo e di come ci muoviamo nello scenario della nostra vita.

Qual è la tua opinione sul rapporto tra qualità della vita e tecnologia? C’è qualcosa che sbagliamo?

La tecnologia di per sé non è né buona né cattiva, dipende dall’uso che se fa. Lavoriamo affinché l’iperconnettività che oggi sempre più ci caratterizza possa essere indirizzata per rendere effettivamente migliore la qualità della nostra vita.

Come funziona e che cosa fa nello specifico il vostro dispositivo?

Ci sono tre passaggi: come i dati entrano, come vengono integrati, e come vengono mostrati. Nello scenario attuale i dispositivi wearable sono abbastanza limitati. Possono monitorare, tra le altre cose, il battito cardiaco, la qualità del sonno, la quantità di attività fisica che svolgiamo durante la giornata.  La nostra ottica è quella di integrare gli attuali sensori che si trovano sul mercato, svilupparne di nuovi con l’università, cercando anche di ottenere quello che oggi manca: come registrare gli stati emotivi.

Il secondo passaggio è quello di mettere assieme tutti questi dati. Una delle principali sfide è appunto l’integrazione di tutte queste fonti, per farle parlare assieme restituendo una visione globale. Infine l’ultimo step consiste nell’offrire una visione integrata. Ciò non vuol dire dare all’utente uno complesso strumento di analisi dei dati applicato alla sua vita. Vogliamo che sia qualcosa di intuitivo da utilizzare e che offra un’esperienza simile a quando appunto ci guardiamo allo specchio.

Che tipo di policy ritieni più indicata per quanto riguarda il trattamento dei dati personali?

Nel momento in cui si raccolgono i dati personali si entra in un campo delicato e uno degli obiettivi del progetto è anche quello di capire come essere un soggetto fidato a cui affidare i propri dati personali. Stiamo cercando di ritagliarci un ruolo anche in questo senso. Noi lavoriamo secondo la filosofia per cui i dati dell’utente sono di sua proprietà  sceglierà lui in pieno controllo che cosa farci.

Per quanto riguarda il core business dell’azienda, che tipo di applicazioni ci possono essere?

Gli spin-off di un progetto di questo tipo possono essere numerosissimi e riguardare le modalità di raccolta wearable, la gestione trusted di grosse quantità di dati personali, fino alle modalità di interazione implementate nel prototipo. Ad esempio è ipotizzabile un’interfaccia  simile a specch.io da mettere nei negozi Tim a disposizione degli utenti. La collocazione dei moduli di  un progetto del genere in azienda va poi contestualizzata caso per caso.

Tra quanti anni queste tecnologie saranno per tutti?

Abbiamo iniziato a lavorare in questo campo nel 2012 e i progressi sono stati moltissimi. Ciò che fino a ieri sembrava fantascienza è oggi una possibilità concreta. Da Fit Bit a Google Fit, passando per Apple, in molti hanno iniziato ad aggregare i dati personali. Solo che lo stanno facendo in un’ottica limitata, con un concetto di benessere molto limitato  monitorando funzioni abbastanza basilari. In questo senso ciò che offre il Quantified Self è già alla portata di tutti; noi stiamo lavorando all’evoluzione di questi aspetti

Le vostre ricerche insistono sul fatto che Specch.io può far emergere aspetti del sé difficilmente identificabili da un punto di vista soggettivo. Ci puoi fare qualche esempio?

Come esseri umani funzioniamo molto bene quando guardiamo verso l’esterno, ma quando guardiamo verso l’interno, verso noi stessi, abbiamo più difficoltà. La memoria è infatti un processo costruttivo: non registriamo come un nastro, registriamo ricostruendo gli eventi ricreandoli nella nostra mente. Diverse persone si ricordano eventi in modi diversi perché li ricostruiscono con chiavi di lettura differenti. Una visione oggettiva di un evento lascia sempre un senso di estraneità. Come quando si guarda la foto sulla patente e si chiede: ero veramente io? Avere una visione esterna è qualcosa che riallinea questo processo verso quello che è effettivamente accaduto. Inoltre noi non siamo dei buoni analizzatori causali soprattutto per quello che riguarda noi stessi. Non siamo in grado di ricostruire la sequenza causale dei fenomeni se non la vediamo da fuori. C’è sempre una grossa discrepanza tra ciò che ci accade e quello che effettivamente percepiamo.

In una società come la nostra in che cosa consiste il benessere psicofisico di una persona?

In una parola: nella consapevolezza. Nel sapere che cosa mi sta succedendo e perché mi sta succedendo. E Specch.io vuole essere proprio questo: un generatore di consapevolezza. Una volta che sono consapevole dei fenomeni ricorrenti della mia vita , posso decidere se e cosa cambiare in termini di atteggiamento o comportamento verso quello che mi circonda.

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