Internet

Android vs. UE, perché l’accusa di posizione dominante non regge

21 Aprile 2016

La vicenda Android vs. UE riporta in cima all’agenda del dibattito europeo il complicato tema della regolamentazione dei settori ad alto tasso di innovazione e di cambiamento.

Android è infatti un sistema operativo che ha visto crescere il proprio numero di utenti da pochi milioni a 1,4 miliardi in soltanto 6 anni. In questo lasso di tempo, gli smartphone sono cambiati nella forma e nelle dimensioni ed hanno integrato nuovi sensori e funzioni che ci aiutano nelle azioni di tutti giorni.

Questo ha dato vita a diversi business paralleli prima inimmaginabili. Basti pensare al mercato delle app, alla sharing economy o alla diffusione su larga scala del video on-demand, che deve parte della sua fortuna anche allo sviluppo della banda mobile.

Una crescita che non sarebbe stata possibile se il settore non si fosse retto prevalentemente su un regime di auto e co-regolamentazione, dove è soprattutto il mercato a stabilire “le regole” e a garantire la concorrenza. Questo ha permesso alle aziende tech di innovare e sperimentare, senza danneggiare il consumatore finale (la comunicazione sull’abuso dominante inviata dalla Commissione a Google verte infatti su temi di antitrust e ritiene solo in ultima analisi e in via preliminare che vi possa essere un danno per gli utenti).

Parliamo dunque di un settore che è sicuramente destinato a mutare ancora nel corso dei prossimi anni, soprattutto con l’aumentare del numero dei dispositivi e degli oggetti connessi (se ne stimano più di 20 miliardi entro il 2020). Un mercato in cui non è mai stato semplice operare e che difficilmente “ha tollerato” monopoli duraturi.

La storia è infatti ricca di esempi di aziende che hanno sbagliato a “dosare” i loro investimenti, trovandosi nel giro di poco tempo a passare da una posizione dominante al fallimento. Nel 2002 tutti o quasi avevamo un Nokia, mentre oggi l’azienda Finlandese detiene soltanto una piccolissima fetta di mercato. E lo stesso si può dire dei Blackberry, sorpassati oramai nel numero delle vendite sia dagli iPhone che dai modelli equipaggiati di Android.

Questo avviene perché aziende come Google, Apple e la stessa Blackberry operano in contesti di mercato multipli (multi-sided markets), dove si trovano a competere contemporaneamente con più compagnie che si occupano di business differenti.

Ad esempio, Google con il suo Android è un diretto concorrente sia di Apple nelle vendite di dispositivi, sia di un’infinità di altri player grandi e piccoli, che basano il loro business sullo sviluppo di browser internet, client di posta o store alternativi dove scaricare programmi e contenuti (come Amazon o la cinese Xiaomi, che produce anche i dispositivi fisici ed è quindi concorrente anche nelle vendite).

Non solo, queste aziende utilizzano per fini commerciali (e leciti) i dati raccolti tramite le loro app montate sui sistemi Android, rendendosi così competitor di Google anche nel campo dei big data e nel business delle inserzioni.

Tutte queste compagnie subiscono dunque una pressione molto forte dal mercato, e i leader di oggi è molto probabile che non lo siano anche domani, ma intanto contribuiscono all’innovazione del settore. In un contesto così turbolento, quello di abuso di posizione dominante è quindi un argomento che non giustificherebbe un’azione nei confronti di Google per il caso Android.

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