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Addio TikTok, bentornato TikTok: esegesi della (breve) scomparsa dell’app negli USA
“Ma visto che stiamo tutti per morire, c’è un altro segreto che sento di dover condividere con voi. Non me ne è mai importato niente de Il Padrino”. Negli ultimi giorni, questo audio tratto da una scena del cartone Family Guy è stato riproposto da migliaia di creator su TikTok che ironizzavano sull’imminente blocco dell’app negli USA, come poi è avvenuto lo scorso sabato 18 gennaio, ma solo per qualche ora.
In una dichiarazione ufficiale, la piattaforma cinese ha accusato l’amministrazione Biden di non aver fornito “la necessaria chiarezza e garanzia ai fornitori di servizi che sono parte integrante del mantenimento della disponibilità di TikTok per oltre 170 milioni di americani”. Di conseguenza, il servizio è stato sospeso volontariamente poco prima della scadenza, con un laconico: “Ci scusiamo, TikTok non è disponibile in questo momento”. Già nelle ore precedenti si erano verificati disservizi: i commenti erano bloccati, il caricamento dei video rallentato ed il tasto “refresh” faticava ad assecondare la richiesta.
Per comprendere questa decisione, bisogna tornare all’aprile 2024, quando il Congresso ha approvato l’atto per “proteggere gli americani dalle applicazioni controllate da avversari stranieri”, che imponeva a ByteDance, società madre dell’app, di disinvestire dalla stessa entro il 19 gennaio 2025, pena essere cacciata dagli Stati Uniti. Le ragioni del provvedimento, come dichiarato dal direttore dell’FBI Chis Wray, riguardano la tutela della sicurezza nazionale, poiché si teme che il governo cinese possa influenzare gli utenti e spiarne i telefoni. Non sono certamente preoccupazioni infondate, anche se precedenti investigazioni hanno dimostrato che la raccolta dati di TikTok negli USA non differisce molto da quella di altre compagnie, tra cui Meta e X.
Nel 2023, nel tentativo di placare queste ansie, TikTok aveva lanciato il “Progetto Texas”, trasferendo i dati degli utenti statunitensi sui server di Oracle, un’azienda americana. Ciononostante, i legislatori hanno ritenuto la misura insufficiente, poiché l’algoritmo e il codice sorgente che permettono il funzionamento dell’app rimanevano in Cina. In risposta, la piattaforma ha negato che il governo cinese – possessore dell’1% in Beijing ByteDance Technology, sussidiaria di ByteDance – potesse obbligarla a condividere dati sugli utenti e che la società, che comprende una LLC costituita in Delaware con sede in California e conta oltre 7.000 dipendenti americani, è soggetta alle leggi statunitensi. Tuttavia, la mancata cessione della proprietà entro il termine di un anno ha comportato il blocco dagli app store e dai provider di web hosting, rendendo inutilizzabile l’app.
Nemmeno l’ultimo tentativo di appellarsi al Primo Emendamento della Costituzione sulla libertà di espressione è servito a ribaltare la situazione, mentre l’amministrazione Biden ha rimesso la decisione finale al suo successore. Così, dopo video di addio e promesse di ritrovarsi su altre piattaforme, il dispiacere degli utenti è durato poco, accolti mezza giornata dopo il divieto dal messaggio: “Bentornati! Grazie per la vostra pazienza e supporto. Come risultato degli sforzi del Presidente Trump, TikTok è tornato degli USA!”. Una delle primissime azioni della quarantasettesima presidenza è stata la firma di un ordine esecutivo che concede una proroga di 90 giorni per negoziare una soluzione che salvaguardi la partecipazione americana al social.
Per chi teme uno scenario simile in Europa, è importante notare che, a differenza degli USA, l’UE dispone del GDPR, sebbene non manchino esempi di violazioni da parte delle principali piattaforme. In un certo senso, è proprio questo vuoto normativo americano ad aver creato un terreno fertile per interferenze straniere, ben oltre il casus belli di TikTok. La questione pone un problema cruciale: distinguere tra influenza ed interferenza; la prima è una forma lecita di “soft power” in cui rientra anche la diplomazia culturale, mentre la seconda comprende tentativi di manipolare i processi democratici di altri Paesi.
Dal 30 marzo 2023, il social è stato bandito dai dispositivi degli ufficiali delle istituzioni europee per timori legati alla cybersicurezza, decisione condivisa da Belgio, Danimarca Estonia e Francia. Alla fine del 2024, la Commissione Europea ha avviato un procedimento formale contro l’app cinese nell’ambito del Digital Services Act per non aver fornito protezioni adeguate durante le elezioni rumene del 24 novembre 2024, in particolare per il sistema di raccomandazioni e gli ad politici. Fuori dallo spazio comunitario, l’Albania è la prima ad aver imposto uno stop di un anno.
Negli ultimi giorni prima del presunto blocco definitivo negli USA, molti utenti si sono scambiati consigli su come scaricare anni di video e trasferirli su altre piattaforme, a dimostrazione del fatto che la miriade di contenuti falsi e dannosi, spesso rivolta ai giovanissimi, non scomparirà cancellando TikTok. Se vietare l’app di video-sharing agli americani è stato un gesto simbolico che poco impatta la sicurezza nazionale, il suo ripristino comporta un grande ritorno di immagine per Trump, che può essere ricordato dalla Gen Z come colui che ha “salvato la festa”. A proposito di festeggiamenti, il giorno prima dell’inaugurazione della nuova presidenza, il colosso cinese ha sponsorizzato un evento con i TikToker che hanno sostenuto la campagna presidenziale del tycoon, lasciando intravedere la possibilità di un accordo.
Comunque vada, questa vicenda rivela la fine di un internet aperto e globale, in contraddizione con i valori americani che hanno sempre respinto i tentativi dei regimi autoritari di controllare la rete. Gridare alla censura mentre si smantellano le politiche di moderazione dei contenuti e si bandiscono social media stranieri appare non solo ipocrita, ma anche un segnale d’allarme per il futuro prossimo della governance democratica del web.
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