Tecnologia

Amalia Ercoli Finzi, l’italiana che ha portato Philae vicino al sole

22 Novembre 2014

“Come stiamo? Bene, ci stiamo riposando”. La voce di Amalia Ercoli Finzi tradisce stanchezza. E non solo perché sembra sbagliare usando un insolito plurale maiestatis. In realtà parla al plurale con cognizione di causa, perché il riposo a cui si riferisce è prima di tutto quello del lander Philae, trasportato dalla sonda spaziale Rosetta, che mercoledì scorso si è “attaccato” alla cometa. E del suo trapano, Sd2. Questo strumento in particolare è creatura della Ercoli Finzi, professoressa al Politecnico di Milano. Classe 1937, prima donna italiana laureata in ingegneria aeronautica, Ercoli Finzi spiega che il lander è fermo perché ha esaurito la batteria “utilizzata per 72 ore fino all’ultimo elettrone”. E sta lì, Philae, attaccato alla cometa, che ha nome in codice 67p, in un angolo in cui non arriva ancora la luce del sole “siamo – dice usando un’espressione colorita – infognati in un avvallamento”.

La scienziata però si ritiene soddisfatta del lavoro compiuto: la prima sequenza scientifica che Philae, la cui missione è dell’Agenzia spaziale europea, doveva compiere l’ha fatta. Certo, se gli arpioni, di realizzazione tedesca, avessero funzionato, se i razzi, tedeschi, pure loro  avessero spinto Philae sul suolo della cometa, ora non saremmo in un posto un po’ nascosto. “Ma siamo sulla cometa e ci stiamo avvicinando al sole” ribadisce la scienziata. Se tutto va bene la vicinanza sarà prossima in primavera, Philae si ricaricherà e ricomincerà a lavorare.
E allora l’ingegnere del Politecnico liquida con una battuta la questione della posizione: “si vede che il lander voleva mettersi tranquillo”.

D’altronde come essere scontenti di una vera e propria impresa, l’accometaggio, attesa da vent’anni tra battute di arresto e lunghi periodi di stop? La storia del trapano, poi è cominciata ancora prima della partenza di Rosetta: “Quello che noi chiamiamo trapano – chiarisce la professoressa – è in realtà uno strumento molto complesso: Sd2 entra nella terra della cometa, preleva il campione, lo deposita in un ‘fornetto’ scaldato tra i 120 e gli 800 gradi, chiude il fornetto e lo consegna allo strumento che deve analizzare il campione”. Il trapano in queste settantadue ore di attività attaccato alla  cometa ha fatto tutto il suo lavoro, raccogliendo quella che in linguaggio tecnico si chiama la sequenza dei dati: “ha fatto, in parole più semplici le operazioni per cui era stato programmato” dice ancora la scienziata. Un’altra prova dell’operatività è data dal fatto che il trapano ha fatto fare dei movimenti al lander.

Che cosa abbia raccolto, e se in particolare abbia raccolto una campione della cometa ancora non è dato saperlo. Ma la Ercoli Finzi ostenta tranquillità anche in questo caso: “stiamo usando tutti gli strumenti per capire che cosa ha raccolto Sd2”. E intanto come il lander ci si riposa. Nell’attesa che arrivi il sole, si ricarichi la batteria secondaria e si parta con una nuova raccolta di dati. La speranza, è noto, è quella di trarre dai campioni della cometa molte risposte sull’origine dell’universo.

 

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