“Era un giornale tanto di qualità” è il nuovo “era una persona tanto per bene”

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16 Gennaio 2015

Puoi imparare molto su chi lavora nei media attenendoti alle dichiarazioni che fa su BuzzFeed. Lo ha detto Jay Rosen, professore di giornalismo alla New York University, riferendosi a Alex MacCallum, neo assunta al New York Times come audience development editor, il cui compito è di generare più traffico verso il sito. Auguri. In un’intervista rilasciata a Digiday, Alex McCallum, che non è una neofita del campo editoriale online, avendo lavorato per anni all’Huffington Post e che si legge nell’articolo “comprende bene l’importanza dei social analytics”, ha tracciato una linea tra il mandato del giornale in cui lavora e BuzzFeed, sostenendo che il primo non deve imitare il secondo dal momento che il business core del Times è a sottoscrizione e non alla ricerca di click ma di lettori fidelizzati alla testata.

In particolare, ciò che sconvolge, è la disonesta falsa ingenuità con cui ha descritto BuzzFeed:

“L’intera missione di Buzzfeed è convincere il pubblico a condividere contenuti. Non è lo scopo del New York Times. Il nostro scopo è creare il miglior giornalismo nel mondo e dare ai lettori informazioni accurate e tempestive. Non credo che BuzzFeed possa competere in questo campo. Non del tutto almeno, ma è il Times il luogo dove andare a cercare le notizie quando succede qualcosa di importante”.

Ma è così? Ci troviamo veramente di fronte a una distinzione tra giornale serio e giornale pubblicitario? Dove il primo è il luogo virtuale dove ci rechiamo per le analisi del mondo, i reportage sul mondo politico, le informazioni di finanza, e il secondo è quello dove ci divertiamo con le didascalie alle foto di Beyoncé o quiz che testano la nostra conoscenza di Game of thrones?

La prima risposta che ci verrebbe da dare è no. Non più. Prima di tutto perché BuzzFeed non è un giornale, è molto di più, e negli anni è passato dall’essere una piattaforma virale con gif, quiz e foto di gattini (la parte entertainment), allo assoldare giornalisti blasonati per longform, reportage investigativi (premi pulitzer e persone il cui prestigio veniva acquistato per dire a tutti “possiamo farlo, possiamo avere la qualità dell’informazione perché per noi è economicamente sostenibile”).

La seconda risposta è: non è vero neppure per il New York Times. La favola del giornale pregistioso che sopravvive nell’impero dei media che va in frantumi grazie alla qualità del proprio lavoro serve solo come mossa strategica per dire a chi ha sottoscritto un abbonamento “hai fatto la scelta giusta, noi siamo quelli che devi leggere se vuoi essere informato”. Ma come nota Matthew Ingram, basta guardare il report degli articoli più letti del New York Times l’anno scorso per notare che gli interessi del pubblico, anche in questo casoì, sono quiz, album fotografici, necrologi e coccodrilli. Non editoriali politici o analisi di finanza.

BuzzFeed non è un modello giornalistico, perché il giornale generalista come lo abbiamo inteso fino a oggi non esiste più. Esistono nicchie di mercato, esistono fonti che producono informazioni che vengono disperse online da una moltitudine di voci, esistono aggregatori che ne fanno una selezione, esistono sistemi di distribuzione delle notizie che sfuggono al controllo di chi le produce (Facebook in testa). E BuzzFeed si inserisce in questo contesto, con una tecnologia che fa dell’analisi dati il suo core business. Un luogo dove convivono pubblicità e contenuti editoriali, notizie e intrattenimento. Questo, è l’aspetto più importante dell’intera faccenda.

Quando Jonah Peretti dice che è fondamentale l’informazione dell’utente che trai dal tuo contenuto, sta dicendo che è importante conoscere chi ti sta leggendo. Non solo per dare al pubblico quello che vuole (il che fa orrore a tutti i grandi giornalisti, gli stessi che poi però pubblicano frivolezze di ogni genere), ma per connettere i lettori con gli inserzionisti: se puoi dire esattamente a chi ti finanzia qual è il proflo dell’utente interessato a un canale, un argomento o all’intera testata, puoi vendergli quell’informazione.  Hai più potere contrattuale per far sponsorizzare un canale da Toyota o da Bayer. Oggi gli inserzionisti sono disposti alla manutenzione di parchi e aiuole ma non sono disposti a sponsorizzare un canale di tecnologia, cultura, sport, scienza, per averne un ritorno di prestigio con un pubblico profilato che è esattamente quello che tenta di raggiungere con migliaia di campagne marketing risolte in cartelloni pubblicitari agli angoli delle città. (Eviteremo di addentrarci qui sulle implicazioni etiche e le problematiche di tipo produttivo: se il committente paga non puoi raccontare che è un ladro.  Ma non idealizziamo troppo i giornali come sprovvisti di legami commerciali, liberi da compromessi con il potere e cani da guardia del governo: è chiaro che non è così. Anche le testate tradizionaliste non sono totalmente libere. Solo i giornalisti e i terroristi sovrastimano il potere del ruolo che hanno i giornali sui cittadini nel XXI° secolo).

BuzzFeed è un modello imprenditoriale scalabile? E’ un argomento complesso e controverso che comprende diversi fattori come ad esempio il futuro del ruolo dei social nella riduzione o amplificazione della portata (quante volte vengono fatti passare in timeline). Una cosa è certa: porre l’accento sulla qualità di un giornale (tra l’altro nel bel mezzo di un’intervista in cui si parla di ottimizzazione SEO, per l’indicizzazione nei motori di ricerca, cioè di Google, che rappresenta una sorgente di traffico minore rispetto ai social) in America e in Europa ha due significati differenti. In Europa, specialmente in Italia, si fa ricorso all’argomento della qualità per chiedere sovvenzioni pubbliche perché il proprio lavoro è così necessario alla formazione del cittadino che dobbiamo pagarlo tutti, anche quando non lo vogliamo; in America, più liberale e meno assistenzialista, sembra essere il tentativo di qualificarsi come testata prestigiosa per poter far leva su una fetta di mercato disposta a pagare di più con l’illusione di ottenere un prodotto migliore, più accurato e più intelligente. I giornali diventeranno così un prodotto di lusso.

Possiamo solo notare che in una situazione in cui il ruolo del distributiore delle notizie è prevalentemente social (Facebook, Twitter, Pinterest, e gli aggregatori come Feedly, Flipboard etc.), l’incaricata ad amplificare traffico e quindi ad aumentare lettori al giornale, punti all’indicizzazone dei motori di ricerca (il cui pubblico è certamente più interessato ai contenuti, perché li ha cercati, rispetto a quello che deriva dai social, che genericamente rimane meno tempo online) e disprezzi i meccanismi di viralizzazione di BuzzFeed anziché cercare di capire come utilizzarli a proprio vantaggio.

Così, quando un giornale fallisce perché non riesce più a sostenersi sul mercato possiamo sempre dire: “era un giornale tanto di qualità”, come il vicino del serial killer che si sorprende dell’arresto del mite uomo “era tanto un brav’uomo”.

 

TAG: BuzzFeed, giornalismo, Matthew Ingram, New York Times
CAT: Tech & Media

Un commento

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  1. marcogiov 10 anni fa

    XXI° secolo non si può leggere, ma sta bene nell’elogio della mediocrità.
    Come diceva Nanni Moretti? Ve lo meritate Alberto Sordi? Appunto, sputate sul NYT, vi meritate BuzzFeed.

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