Teatro
Valentina Esposito: il mio lavoro tra carcere, teatro e una Palma d’Oro
Che sia estremamente determinata, è chiaro a tutti: c’è una forza incredibile dietro la sua grazia e il suo contagioso sorriso. Valentina Esposito è una giovane registra che ha scelto un terreno difficile per lavorare. Ha fondato la compagnia Fort Apache che si è posizionata in una zona di “confine” davvero aspra, quella tra dentro e fuori il carcere, operando con ex detenuti del Carcere di Rebibbia, a Roma. Ma il progetto di Fort Apache è ampio e articolato, abbraccia cinema e teatro, in un percorso che si è concretizzato nel 2015 in un bellissimo film, Ombre della sera e che ha saputo intercettare da qualche anno anche una personalità originale come quella di Marcello Fonte da poco Palma d’Oro al Festival di Cannes, protagonista del film di Matteo Garrone.
Docente al Master di Teatro nel Sociale dell’Università “La Sapienza” di Roma, Valentina presenterà il suo nuovo spettacolo, Famiglia, al teatro India nella giornata di domenica 17 giugno e, il giorno seguente, negli spazi del Gay Village di Roma.
Naturale allora prendere le mosse proprio dalla nuova creazione per capire di quale sia il percorso artistico e umano di Valentina Esposito.
Come avete lavorato a un tema non facile come quello della famiglia? Qual è il nodo che avete voluto affrontare?
«La negazione del diritto agli affetti nelle carceri ha una ricaduta emotiva e psicologica terribile sui cittadini reclusi. Soprattutto per coloro che scontano lunghe pene, la perdita della continuità delle relazioni acuisce i conflitti, le incomprensioni, i dolori, rende insopportabile la vita detentiva. La famiglia è fuori che ti aspetta con i suoi conti da pagare, con quanto lasciato in sospeso, con il senso di colpa per l’abbandono e il problema del giudizio. Lavorando sul tema, ho stimolato gli attori a ripercorrere la storia delle loro relazioni familiari ed è emersa con forza la centralità del rapporto con i padri, con un tipo di educazione autoritaria, e la questione della ribellione come atto di definizione identitaria dei figli che si traduce anche in un primo atto di ribellione alle regole, e con l’inizio di un percorso di devianza vissuto all’ombra dell’occhio giudicante dei padri. Padri padroni, grandi lavoratori, in un contesto di povertà con famiglie molto numerose da tirare su. Scontri fortissimi rimasti sospesi a causa della lontananza. Quasi tutti i padri degli attori sono morti durante la detenzione dei figli, lasciando loro il peso che viene dall’impossibilità di riprendere il dialogo e risolvere il conflitto. Da questo nodo irrisolto abbiamo allargato l’obiettivo e raccontato uno scontro generazionale che prescinde la condizione di detenzione e si apre a un affresco della famiglia come dimensione dell’amore e della violenza all’interno della quale si consumano rapporti, si costruiscono i destini, si formano e si scontrano le identità».
Perché ha scelto di lavorare al “confine” del carcere, tra “dentro” e “fuori”?
«Il confine tra il dentro e il fuori è la linea sulla quale si fa pratica di resistenza al richiamo dei contesti di origine degli attori ex detenuti, all’attrattiva del ritorno al crimine, è il terreno decisivo nel quale si gioca l’efficacia dell’intervento interno in termini di prevenzione della recidiva e compimento delle finalità costituzionali della pena. Era impensabile per me interrompere il percorso umano e teatrale inziato con alcuni attori tanti anni fa».
Il Festival di Cannes, premiando il percorso attorale di Marcello Fonte, ha anche indirettamente sancito la qualità di certe proposte di quello che ho provato a chiamare “teatro sociale d’arte”. Come ha incontrato Marcello e come si è inserito nel lavoro di Fort Apache?
«Ho conosciuto Marcello nel 2015 al Nuovo Cinema Palazzo di Roma (uno spazio occupato e autogestito nel quartiere San Lorenzo, ndr), mentre eravamo in prova con un altro spettacolo, Tempo Binario. Proprio il giorno del debutto, mentre eravamo tutti insieme, uno degli attori Ruggero Palmiotto, è venuto a mancare. Marcello ha vissuto con noi quel tragico momento e mi sembrò naturale, qualche tempo dopo, chiedergli di sostituirlo per rimettere in scena lo spettacolo in forma di cerimonia privata per la famiglia di Ruggero. Celebrare insieme sulla scena l’addio a un attore ex detenuto è stato uno dei momenti più significativi del nostro percorso, un passaggio che ci ha segnati, forse un punto di non ritorno. Da quel momento Marcello è entrato stabilmente a far parte della Compagnia condividendo con noi la sua altrettanto difficile vicenda esistenziale, la passione per il teatro e la fiducia nel progetto artistico e sociale di Fort Apache».
Ogni volta che si parla di teatro e carcere vale la pena interrogarsi su quale sia il rapporto tra le istituzioni culturali e quelle carcerarie…
«Tenere saldo il legame con le istituzioni anche al di fuori delle carceri non solo è in linea con le prospettive ministeriali di spostamento del baricentro della risposta sanzionatoria penale dalla detenzione verso sanzioni di comunità, ma risponde ad una concreta ed emergenziale necessità di intervento in un ambito più carente, rispetto a quanto accade all’interno degli Istituti penitenziari, di un’offerta trattamentale strutturata e coordinata. In questo senso Fort Apache realizza i propri obiettivi programmatici in collaborazione con la Direzione del Carcere di Rebibbia, l’U.E.P.E. Ufficio di Esecuzione Penale Esterna e il Tribunale di Sorveglianza di Roma che sovrintendono alle situazioni dei singoli detenuti in misura alternativa che partecipano all’attività. Parallelamente lavora a progetti di mediazione sociale e culturale con Istituti di Istruzione Superiore e Università sostenuti da Enti Pubblici con finanziamenti del Fondo sociale europeo; in particolare dal 2014 si inserisce nei Progetti di Ricerca e Formazione de La Sapienza Università di Roma e ha sede presso il Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo. La collaborazione con l’Università e il conferimento di una sede istituzionalmente riconosciuta, ha avvalorato il Progetto di un grande valore simbolico, divenendo forte segnale di apertura al percorso di reinserimento degli ex detenuti nella società civile. Costruire ponti con contesti sociali e culturali alternativi a quelli di origine degli attori è la via del reinserimento professionale, del dialogo sociale e della contaminazione artistica».
Per info e prenotazioni: https://www.fortapachecinemateatro.com
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