Teatro
Uomini in cerca di libertà, Mario Perrotta rilegge Italo Calvino
“La giornata d’uno scrutatore”. E’ questo, un racconto quasi dimenticato tra le centinaia e centinaia di pagine scritte da Italo Calvino, uno dei più grandi letterati italiani, di cui corre il centenario della nascita questo anno, autore di romanzi straordinari come “Il Barone Rampante”, “Le città invisibili”, “Palomar”, “Il cavaliere inesistente” e tanto ancora dove il nostro, oltre ad avere una vasta e raffinata cultura enciclopedica e una buona conoscenza del Bel Paese, offre un interessante e profetico sguardo sul futuro. Come avviene in “La giornata d’uno scrutatore”, scritto nel 1953 ma pubblicato dieci anni dopo e riferito a una esperienza vissuta in diretta dall’autore, allora militante del Pci, il partito comunista, che durante le elezioni va a presidiare uno dei luoghi politicamente più complessi di Torino: il Cottolengo. Istituto di cura e assistenza per malati gestito da religiosi. “Una città nella città, cinta da mura e soggetta ad altre regole”. Un luogo simile per certi versi a una fabbrica alienante dove chi è rinchiuso è condannato a perdere progressivamente la propria identità individuale. Così quello di Amerigo Ormea, lo scrutatore di sinistra, è un viaggio dentro un altro mondo e coincide, questi giorni a teatro, con quello personale e intenso come sempre di Mario Perrotta, attore e autore attento a raccontare la nostra attualità (Premio Ubu 2022 per il miglior testo italiano per la trilogia sulla famiglia) che al Teatro Carcano di Milano ha presentato da only one man show il suo atto unico “s/Calvino”, prodotto da Permàr ed Emilia Romagna Teatro Ert/Teatro Nazionale; musiche di Marco Mantovani e collaborazione alla regia di Paola Roscioli.
Un viaggio – con “in mente una parola fragile: libertà”- in un angolo insolito in cui l’immaginario popolare l’ha individuato come uno dei posti di sofferenza più forti. E’ lì che il quarantenne Calvino va a presidiare un territorio da sempre ben guardato a vista dal clero che in occasioni come quelle elettorali dispiegava la propria forza organizzativa facendo votare anche coloro che non erano in grado di discernere il bene dal male, il rosso dal nero. Ed è qui che Calvino toccò con mano la linea di confine del contrasto tra democristiani e comunisti.
Lo scrittore osserva infatti che “….da quando nel secondo dopoguerra il voto era divenuto obbligatorio, e ospedali ospizi, conventi fungevano da grande riserva di suffragi per il partito democratico cristiano, era là soprattutto che ogni volta si davano casi d’idioti portati a votare, o vecchie moribonde, o paralizzati dall’arteriosclerosi, comunque gente priva di capacità d’intendere. Fioriva su questi casi, un’aneddotica tra burlesca e pietosa: l’elettore che s’era mangiato la scheda, quello che a trovarsi tra le pareti della cabina con in mano quel pezzo di carta s’era creduto alla latrina e aveva fatto i suoi bisogni, o la fila dei deficienti più capaci d’apprendere, che entravano ripetendo in coro il numero della lista e il nome del candidato: “un due tre, Quadrello! un due tre, Quadrello!” (ndr dal racconto di Calvino).
Il racconto, illuminante sullo scontro politico del tempo, evidenzia i mezzi e i sotterfugi, i colpi bassi usati per vincere una sfida per il potere _ nata dopo la fine del fascismo: fase difficile e non priva di grandi contraddizioni, dall’una e dall’altra parte (Calvino uscirà dal Pci dopo i fatti dell’Ungheria nel 1956).
Ma anche, sul piano letterario è un autentico tesoro. In primis perché, pur utilizzando un linguaggio legato ad un universo di tipo neorealista (cifra d’origine) vira nei fatti e nel racconto verso altri orizzonti. Di tipo più complesso e spirituale, fortemente correlato alla sfera individuale, anche di chi vive recluso in una sorta di limbo “off limits” come quello del Cottolengo. E’ come se Calvino si fosse interrogato allo specchio della sua stessa vita decidendo di transitare altrove. Portando il suo talento in territori differenti da quelli legati all’immaginario così caro alla sinistra di quegli anni. E’ proprio a questo che si lega Mario Perrotta per scrivere un testo nervosamente calviniano, nell’impronta e nello spirito. E’ proprio quella evidente fede nella libertà, nel rispetto dell’uomo, il dolore e la sofferenza che spuntano da quelle pagine che ha incantato l’autore di “s /Calvino”. Perrotta si è buttato a corpo morto dentro l’opera letteraria dell’autore nato cento anni fa a Cuba, a Santiago de las Vegas, Avana.
L’ha passata a setaccio, leggendo e soffermandosi in quei punti di incrocio suggeritigli da passione e sensibilità di un artista che mira poi alla restituzione teatrale, come è appunto nel suo dna. In questo caso è venuto fuori un racconto originalissimo che ha più di un fil rouge nel suo procedere, sempre nel rispetto di quanto l’ha ispirato, le opere di Calvino, a cui rende omaggio in una originale pagina di scrittura che non esita a farsi, soprattutto nel finale del monologo, lettura teatrale tout court. Perrotta è solo nel suo narrare, ma tanti sono i personaggi che evoca e di cui si circonda. Molti ripresi da Calvino stesso, altri suggeritigli dalla lettura diacronica di quelle opere da cui ha tirato a riva come un pescatore, i pezzi più pregiati e finalizzati all’oggetto della sua ricerca e rappresentazione aperta sontuosamente in musica dall’emozionante e coinvolgente brano di Jimmy Fontana, “Il Mondo”, dall’incedere lento e avvolgente sviluppo sinfonico. Una canzone di culto, utilizzata anche di recente come colonna in film di successo come “Questione di tempo” di Richard Curtis del 2013 o, sempre nello stesso anno, di “Molière in bicicletta” di Philippe Le Guay. Un brano risalente al 1965, magnificamente arrangiato da Ennio Morricone che Calvino poteva ascoltare negli anni più prolifici della sua carriera. Un reperto che è qualcosa di più di una citazione. E’ un ponte gettato ai giorni nostri in cui i versi di quella canzone continuano a rammentarci lo scorrere implacabile del tempo. …
“Gira, il mondo gira/ Nello spazio senza fine/ Con gli amori appena nati/ Con gli amori già finiti/ Con la gioia e col dolore/ Della gente come me…”
Stretto in una giacca di lamé, come uno del varietà, Perrotta sta assiso al centro di una piattaforma con il microfono e, vestendo i panni di un nano, come fosse Dante che guida gli spettatori alla scoperta dei gironi del Cottolengo, metafora non solo di un inferno, ma della società stessa dove uomini e donne si incrociano con chi è ai margini, privato della libertà per handicap, malattie o malformazioni gravi.
“…un deforme … persona con forte disagio fisico; e nano… affetto da nanismo, persona di bassa statura – un nano! Nano: così sono stato dipinto, affrescato, denominato e così me lo tengo. Mi piace, breve, efficace: Nano. Se non c’è cattiveria in chi lo pronuncia – e in chi m’ha dipinto così di cattiveria non ce n’era, anzi – allora mi piace: Nano! Così Nano, che affacciarmi dietro un vetro di una finestra a stento arrivo con il naso, poi gli occhi… Posso mettere, magari una manina _ dice Perrotta _ un po’ più su… che batte su un vetro, come nell’unica pagina che il Calvino Italo mi ha dedicato.”
Si alternano, come in un circo, le visioni di una realtà parallela, fatta di uomini e donne che si sfiorano appena. Come Suor Antica. Bella e inarrivabile. “Tu vedessi… Entra la mattina, mette su il Jimmy Fontana, e attacca: Il mondo, non si è fermato mai un momento… Dicono che edifica lo spirito, che ricorda il cosmo, lo spazio, l’universo, il Signorenostriddio che ha creato tutto questo…” e ancora “Suor Antica la tua tonaca che ondeggia, il tuo corpo che volteggia, quasi non tocchi terra, mentre io inchiodato sopra questa sedia che comincio la mia guerra quotidiana con quel filo di sottana che ti spunta se ti pieghi quando sleghi queste fasce che mi tengono legato a questo letto, quando nasce sul tuo viso quel sorriso per quel fiore prediletto… Vorrei essere quel fiore giallo: per essere toccato, accudito, abbeverato, dal tuo dito accarezzato.” Suor Antica, oscuro oggetto del desiderio: “Prova soltanto ad amarmi, è lì che inizia un uomo. Libera me e tutti i miei fratelli guasti e se non basti chiama le tue sorelle, facciamo festa, una tempesta di corpi, di storpi fatti uomini, fateci belli di dentro se non lo siamo fuori, riempite di colori queste anime, e noi saremo uomini ti giuro, se ci amate noi saremo uomini”.
Poi c’è Cosimo, un ragazzetto che a dodici anni disse no al piatto di lumache. “No. Non le voglio”e andò sopra un albero. “Ti farò vedere appena scendi! “E io non scendo più” disse. Visse a lungo tra le fronde. Si innamorò di Viola e lei gli chiese di scendere . “Non c’è amore se si rinuncia anche solo a una parte di se stessi”. “E allora parto stasera. Non mi vedrai mai più”. Senza l’amore cosa può fare da solo lì in alto?
E così … “Mi ha dato di matto il Cosimo, come l’Orlando, il furioso. Ha pianto che lui solo sa quanto, ha divelto rami e rami e scorticato tronchi interi, ha attaccato a scrivere Viola su tutti gli alberi del suo regno, come un adolescente qualunque. Ma scendi, no!”
Ancora: i compagni di vita con cui condividere le lunghe giornate tra le corsie: Agostino e gli altri compagni di camerata con i quali immaginare di “stare fuori da questi corpi” e seguire a tempo una vera e propria trap di “Spirito e corpo” cantata da Perrotta con il ritmo di un metronomo. E la trap, quella che è diventata una vera partitura musicale, si alterna con un “Adagio Cosmicomico” in cui prende corpo l’amore e il bacio impossibile del Nano con Suor Antica. E’ l’ouverture “Città invisibili” dove il mirino è spostato sul nostro tempo, sulla esistenza di uomini e donne “normali”. Dice il Nano: “Non vedete come sono messi? Irrequieti, angosciati, con l’affanno dell’esistenza? Nelle loro città invivibili? Noi, in fondo siamo sempre qui, fissi, intoccabili, con le nostre suore, beati come gli angeli. Noi e le suore”.
E’ infine il tempo, prima del “Palomar swing” , e poi dell’ultimo minuetto jazz “Non spogliarti” estremo e inutile messaggio d’amore per Suor Antica, ultima tenera e lancinante visione. “Il tuo fazzoletto che corre e disegna il tuo seno, i tuoi fianchi, ed io tremo, già sento l’orrore, che sale, insieme a te che già ti rivesti, già sento che devo capire, che devo accettare e mentre ti siedi, un grido mi assale, ora è chiaro: mi guardi e non vedi, non senti, non credi… Neanche t’accorgi che io e miei compagni, con le anime stanche di questo patire, abbiamo serrato le palpebre bianche d’un colpo, come un’anima sola in balìa dell’attesa che tu vada via”. Non esiste alcun punto d’incontro. Una storia mai nata, impossibile da vivere, “Non posso fare altro che
dimenticarti, tornare nel mio mondo e rinunciarti.” Mentre smorzano le luci inizia a cantare. Si contorce sulla sedia quasi volesse invece prendere il volo. Sale la musica registrata. “Oh mondo/Soltanto adesso, io ti guardo/ Nel tuo silenzio io mi perdo /E sono niente accanto a te/Il mondo non si é fermato mai un momento/ La notte insegue sempre il giorno/ Ed il giorno verrà. Verrà!”.
“s/Calvino” di e con Mario Perrotta sarà replicato a 25/03 Calenzano (FI); 26 e 27/03 Grosseto; 28/03 Arcidosso (GR); 30/03 Monza; / 31/03 S. Giovanni in Lupatoto (VR); 1 Aprile Gardone Val Trompia (BS); 16/04 Ceglie Messapica(BR);17 e 18/04 Lecce; 06 Maggio San Lorenzo al mare (IM).
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