Teatro
Matera, un volo per salvare il mondo
Matera. Il Sasso Barisano di notte è un luogo abitato da ombre. Appaiono fugaci, tra sentieri appena rischiarati da un fanale di luce giallognola, piccole corti circondate da scale che sembrano anch’esse scomparire nel vuoto, come in un intricato disegno di Maurits Cornelis Escher. Camminando tra le viuzze strette che d’improvviso diventano slarghi, irregolari campielli dove si affacciano finestre chiuse e porte sbarrate, si ode solo il rumore dei propri passi incerti su selciati bagnati da una umidità spessa che con il passare delle ore diventerà più consistente, lattiginosa e avvolgente. Fino ad inghiottire facendolo scomparire in un nulla cosmico e astrale questo luogo da fine del mondo. Principessa di giorno con la sua apocalittica visione di presepe, diventato icona da ammirare con stupore e toccare, relitto sopravvissuto e monito di un passato non troppo lontano, di miseria e malessere, salito al rango di sito protetto dall’Unesco e visitato ogni giorno da turisti di tutto il mondo. La sera torna Cenerentola consegnata in una terra di mezzo, sospesa in aria come una barca sbilenca nel cielo lucano. E’ qui che il teatro per più di una settimana, a metà dicembre, ha compiuto un rituale di esorcismo e poesia cercando la città perduta.
“Gli uccelli hanno abbandonato la città e hanno lasciato gli uomini alle loro mura, alle loro case, ai loro commerci e sono andati via. Nel loro volo il sogno di una nuova città …” L’idea sta nella commedia di Aristofane “Gli Uccelli” che ha offerto il motivo apparente per un viaggio di conoscenza _ un puzzle di quadri riferito al presente _ di “Uccelli, esercizi di miracolo” è il progetto del gruppo Clessidra, consistente, oltre alla residenza anche di un laboratorio con gli studenti di un liceo cittadino e coprodotto dal Teatro delle Forche e Basilicata 2019 nell’ambito di Matera Capitale Europea della Cultura. Drammaturgia e regia sono di Gianluigi Sgherzi, direzione artistica di Erika Grillo anche aiuto regista. Ennesima intrigante tappa di lavoro dei Clessidra, un compatto e solidale gruppo di attori che ha un assunto poetico e culturale forte: quello di costruire il teatro a partire dai luoghi. L’ispirazione per questo lavoro ha una immagine quasi da mito come quella inventata dal commediografo ateniese: Aristofane infatti racconta le vicissitudini di Pistetero e Evelpide che stanchi di Atene fonderanno tra le nuvole una città degli Uccelli, un luogo che avrebbe dato loro potere sugli uomini e gli dei. La sfida diventa così quella di tracciare, tra memoria e contemporaneità, la linea che può disegnare un atlante di possibili città. Da quelle “che attraversiamo ogni giorno” segnate da “compressioni, accelerazioni, distorsioni” ai possibili punti di fuga in cui ideare il prossimo futuro.
Materia affascinante e complessa che i Clessidra modellano per attraversamenti e immagini, guidando gli spettatori in una caleidoscopica e stimolante escursione di “Esercizi di miracolo”. Si sale a bordo sfidando convenzioni e luoghi comuni proiettandosi “fuori dal conosciuto”. Abitando le stanze, i cortili e i camminamenti del ristrutturato Palazzo del Casale, gli spettatori divisi in gruppi sono guidati verso le diverse città (la sequenza può cambiare): quella dei corpi morti, degli incontri, delle gabbie, dello spasso e dei cammini. E quella dei miracoli. E’ il viaggio il vero atto teatrale. Entrare cioè dentro luoghi fisici vissuti e altri immaginari, introdotti dalle azioni teatrali. Come suggerisce la prefazione di “Voyage au but de la nuit” di Céline:«Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato…”. E ancora: “… Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita…».
Basta chiudere gli occhi. E ogni città apparirà reale, vicina al noi. L’esordio è magnetico. Al centro della scena una ispirata Ermelinda Nasuto, protagonista di un dionisiaco atto di possessione del dio Pan sul labile confine della vita e della morte, suggerito dal fiabesco “Pentola d’oro” dell’irlandese James Stephens. L’attrice è impegnata in uno strenuo corpo a corpo tra terra e cielo mentre su uno schermo scorrono le immagini del suo doppio a contatto con la natura. La bellezza muta in smorfia di dolore e, in una manciata di secondi, il volto assume tutte le tonalità del piacere e della sofferenza. Un atto definitivo e potente che apre alla città degli incontri, in una stanza avvolta nel buio c’è Andrea Dellai. La musica di Comet is Coming e soprattutto i versi sincopati che esprimono urgenza e spaesamento della poetessa londinese Kate Tempest danno consistenza alle tenebre e a un desolante senso di perdita e sconfitta. Si chiude con l’attore illuminato dalla fioca luce di una pila mentre sul suo corpo, steso nel pavimento, scende la pioggia.
A fare da trait d’union con gli altri luoghi è una dolce ed enigmatica Erika Grillo avvolta in un immacolato manto da cavaliere templare. Cita Rainer Maria Rilke e guida gli spettatori nei camminamenti e nelle scale esterne del Casale, interrogando e indicando lo straordinario paesaggio notturno dei Sassi illuminati, sussurrando all’orecchio versi di Danilo Dolci. E’ tratto invece dall’epistolario di lettere scritte da Van Gogh al fratello Theo il fiume di parole declamato da una scattante Chiara Petillo che, abbigliata in un leggero abitino sembra quasi mimare il volo impotente di un uccello in gabbia. I movimenti, sulle musiche avvolgenti di Comet is Coming si fanno sempre più veloci e iterativi, sino a evocare l’esplosione di energia di “The Brig” del Living Theatre. Sulle mura della stanza si proiettano campi di grano dipinti da Vincent Van Gogh e, in primissimo piano l’autoritratto del pittore.
Richiama l’arte luciferina di un Mangiafoco uno spettacolare Giorgio Consoli, nel disegnare un cammeo di bell’impatto e coinvolgimento nella città dello spasso. Un luogo assai simile al paese dei balocchi di Collodi descritto in modo cabarettistico, abitato dal consumismo e dalla ipocrisia, mentre risuona in sottofondo l’eco della colonna musicale di “Arancia meccanica”. Poetico e di bell’impatto visivo l’atto dell’ultima città, quella dei cammini con Fabio Zullino che riprende “La crociata dei bambini” di Marcel Schwob. Sullo schermo alle sue spalle scorrono le immagini del paesaggio circostante la città di Matera filmate ad altezza di bambino diventati cornice e luogo ideale del racconto che, per scandirne i tempi, utilizza un composito tris di musiche (Matana Roberts, il gruppo di Marcel Khalife con Mahmoud Darwish, Rami Khalife, Gilbert Yammine e Bachar Khalife e infine Anouar Brahem & The Tallinn chamber orchestra). Ed è la voce di Demetrio Stratos (“Flautofonie”) e i suoni fortemente evocativi dei Tuxedomoon (“Desire”) a segnare in modo emblematico il finale con gli attori impegnati nel tirare su delle corde che potrebbero essere delle vele per nuovi viaggi come invece suggerire reti e nodi di futuri incontri utili a progettare utopie.
Questa è anche la speranza che auspica il ritorno degli uccelli a ripopolare con il loro canto le città. In questo “Uccelli” dei Clessidra c’è tanta lucida analisi della nostra contemporaneità. I limiti di un mondo che danza sull’orlo di una possibile catastrofe. L’atto è stato disegnato in modo preciso ed è sostenuto da attori di eccellente livello. Le luci sono di Walter Pulpito e gli ottimi video sono stati realizzati da Alessandro Colazzo. E il lavoro dei Clessidra sembra essere in incredibile corrispondenza poetica con quella che altri Uccelli, cinquanta anni fa misero in scena proprio da queste parti, ribelli e apostoli annunciatori di un Sessantotto carico di voglia di rinnovamento. Erano in gran parte dei giovani romani che, stimolati da Carlo Levi entrarono in contatto con la realtà di una città dove i Sassi, diceva l’autore di “Cristo si è fermato a Eboli”, avevano la forma “in cui immaginavo l’inferno di Dante”.
Un luogo dove, così la descriveva allora l’artista e scrittore “la stradetta strettissima passava sui tetti delle case , se quelle così si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone…. Le strade sono insieme pavimenti per chi esce dalla abitazioni di sopra e tetti per quelli di sotto… Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando e vedevo l’interno delle grottesche non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall’alto, attraverso botole e scalette”. Uccelli cinquanta anni fa a Matera che sono stati ricordati nel recente documentario “Gli Uccelli. Un assalto al cielo mai raccontato” di Silvio Montanaro e Gianni Ramacciotti. Storia di un gruppo non violento molto vicino alle avanguardie storiche del periodo che allora occuparono i Sassi di Matera per portare all’attenzione internazionale il problema di un luogo trascurato e dimenticato. Cinquanta anni dopo “Uccelli, esercizi di miracolo” , con differente energia, segnala il malessere del mondo contemporaneo indicando la via dell’utopia come salvezza.
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