Teatro
Gesù, il perdente
Sospeso tra due capitali: Milo Rau è in viaggio tra Matera, Capitale della Cultura Europea, e Roma dove, da questa sera, sarà in scena al teatro Argentina, nell’ambito del Romaeuropa Festival. Per il festival capitolino, infatti, NTGENT diretto dal regista svizzero presenta Orestes in Mosul, in programma fino a mercoledì. E questa sera ci sarà anche la presentazione del libro Realismo Globale, edito da Cue Press, con Christian Raimo a dialogare con l’autore (lo spettacolo si preannuncia già straesaurito, per info: www.romaeuropa.net).
Intanto Milo Rau prosegue nella sua avventura in Basilicata, nella città dei Sassi, inseguendo il suo Gesù immigrato per una Passione che ha davvero le stigmate della contemporaneità. Una passione umana e politica, impegnata e combattiva, che riprende la parola di Gesù per un confronto aspro con le contraddizioni e la violenza del nostro tempo.
(Andrea Porcheddu)
Da qualche giorno è iniziata la fase calda del nostro film su Gesù in Italia, che comprende anche la “Rivolta della Dignità”, una campagna politica per i diritti dei migranti e dei contadini. Il nostro Gesù, l’attivista Yvan Sagnet, è nero. La sua campagna consiste, tra le altre cose, in occupazioni, sit-in e nell’incitamento alla disobbedienza civile.
Nell’ultimo periodo lui e i suoi apostoli hanno esortato gli esponenti della Lega “a tornare al Credo originario”. Dialogare con la destra? Certo, ma solo se prima fa ammenda.
La scorsa settimana il nostro Cristo nero è apparso sulla prima pagina di uno dei giornali italiani più di destra, il cui nome, La Verità, suona sinistramente perverso. Un’immagine lo raffigurava con la corona di spine, la prima frase dell’articolo recitava: “In effetti, se i migranti camminassero sulle acque, sarebbe un bel problema”. La retorica fascista non si può misurare con i parametri borghesi. Essa è immune alle argomentazioni politiche o etiche che “rimangono incastrate nella fase anale”, come disse una volta un analista. La quale, secondo Freud, è una condizione libidinosa. O per dirla con Pasolini: essere fascista è maledettamente divertente.
Quella frase su La Verità è una pessima battuta di infinita malvagità. È come se questo giornalista sputasse sulla tomba di migliaia di persone annegate. D’altro canto, mi pare che la cosa sia ormai talmente normale che nessuno sembra essersene accorto. E ugualmente forse nessuno si sorprenderebbe se lo stesso giornalista, a proposito di una scuola africana in fiamme, scrivesse: “Se i bambini africani fossero davvero ignifughi, sarebbe un bel problema”. Così, giusto per sentirsi un uomo che dice le cose come stanno: queste persone sono perdenti per nascita nel capitalismo globale, perciò si sono meritate la morte.
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Ma come rappresentare la violenza razzista? Nel nostro film, il figlio di Dio è interpretato da Sagnet, camerunense. Difficilmente si trova una storia così violenta e insieme così tenera come il Nuovo Testamento. Dio scende tra gli uomini per provare l’unica cosa a lui sconosciuta: la morte.
Questo Dio muore non metaforicamente, ma fisicamente, costretto alla violenza più estrema: la croce. Le sue ultime parole: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. L’astratto fondamento del senso svanisce con la sofferenza dell’individuo.
In un giorno di riprese senza fine abbiamo filmato la tortura del figlio di Dio in un insediamento rupestre di Matera. Proprio perché Sagnet è nero, Gesù si è manifestato in quanto individuo. Nell’immagine c’è una discrepanza, e all’improvviso non c’è più Gesù, ma un corpo: un corpo africano sottoposto di fatto alla violenza astratta del capitalismo globale.
Per gli effetti speciali è venuto il truccatore di Mel Gibson, come stuntman abbiamo invitato quello del nuovo James Bond, che stanno girando proprio ora in città. Sullo sfondo di questa tortura, resa in modo molto naturalistico, c’è però una panca su cui siedono degli spettatori, tra cui Enrique Irazoqui, il Gesù di Pasolini, e Maia Morgenstern, la Santa Maria di Mel Gibson. Sono proprio i costumi storici e le ambientazioni, proprio tutto quel sangue artificiale, che ci mostrano Gesù nella sua assoluta vulnerabilità. “Abbiamo perso la lotta contro il fascismo”, mi ha detto più tardi Irazoqui, spagnolo che ha lottato contro Franco, quando gli ho mostrato l’articolo de La Verità. Ma il vero mistero di Cristo, consiste proprio nel suo essere un perdente nel paradigma capitalista.
Che egli muoia, che soccomba nella battaglia contro Roma, si tratta comunque, come Paolo avrebbe poi affermato, della conquista di una vittoria sulla vittoria. Perché non si può perdere una battaglia. Si può solo decidere di non combatterla.
(Traduzione di Riccardo Benedy Raschi; nella foto di copertina: Yvan Sagnet e i suoi discepoli Jeremiah Akhere Ogbeide, Papa Latyr Faye, Mbaye Ndiaye, Anthony Nwa-chukwu sulla spiaggia. ©2019 Fruitmarket/Langfilm. Photo Thomas Eirich-Schneider)
PER ULTERIORI INFORMAZIONI: http://www.rivolta-della-dignita.com/it/home-2/
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