Teatro
Campsirago, in Alta Brianza il teatro gioca con la natura
CAMPSIRAGO _ Incipit. “I muscoli si tendono. Una gamba è il pilastro che sostiene il corpo eretto tra il cielo e la terra. L’altra, un pendolo che oscilla da dietro. Il tallone tocca terra. Tutto il peso del corpo rolla in avanti sull’avampiede. L’alluce prende il largo ed ecco: il peso del corpo in delicato equilibrio si sposta di nuovo. Le gambe si danno il cambio. Si parte con un passo poi un altro, un altro e un altro ancora.. Sommandosi come lievi colpi come su un tamburo, formano un ritmo. Il ritmo del camminare….”. E’ così che si comincia. In questo modo inizia il compito virtuoso per andare per boschi e cammini, per prati, colline e montagne. Ma anche per strade e vicoli di città. E’ un rituale di iniziazione che Michele Losi da venti anni e più ha praticato prima in solitario e poi trasmesso a quanti -e sono tanti – si sono inerpicati lassù a Campsirago, un borgo dal tempo sospeso dell’Alta Brianza, dove ha il suo centro vivo una delle più interessanti residenze teatrali d’Italia che ospita tutto l’anno compagnie gruppi in uno spazio zen di idee e creatività per i lavori sul palcoscenico. E’ qui che ha preso il via in modo quasi pioneristico “Il Giardino delle Esperidi”, festival tra natura e scena dove gli spettatori diventano parte di un tutto organico fatto di incontri e condivisione. Una piccola comunità che prende corpo lungo i giorni della rassegna (questa volta dal 21 al 30 giugno) con lo svelamento e la conoscenza dell’arte del camminare. Questa produce intesa, stimola pensieri e idee; seguendo il ritmo e il battito del cuore, insegna a osservare, a guardare oltre gli steli e i rami, oltre i rigagnoli dell’acqua cristallina dei boschi fino a produrre un corpo compatto fatto di tante diversità. Eppure uguali. Tanti camminatori che Losi, il direttore artistico del festival, instancabilmente ha guidato giorno dopo giorno durante la rassegna e continua, nell’intero arco dell’anno in giro per la Penisola. E il miracolo si compie sempre. Piccolo, quasi impercettibile, con il passare dei giorni svela tutto il suo potenziale, producendo tempo liberato. Utile per conoscere se stesso e gli altri, imparando ad ascoltare nel profondo, liberando energie per educare lo sguardo a mirare lontano. Niente di meglio, a questo punto, che incontrare il teatro.
Ecco così che Campsirago nel tempo ha incrociato cammino e scena, mettendoli insieme in spazi inediti di natura. Tra fili d’erba, terriccio, un mare di verde smeraldo, cespugli di more e forti odori di prato che punzecchiano l’olfatto, ecco inedite location dove si può assistere a riedizioni di antiche fiabe come Hans e Grethel ma anche moderni racconti di vita vissuta, poesie visionarie: gli attori escono dal gruppo del cammino ed è teatro. Ma spesso è lo sguardo e l’udito che accompagnano i passi. Cuffie in testa, filtrando racconti, suoni e rumori, leggeri e quasi furtivi si tagliano sentieri e percorsi tra alberi e corsi d’acqua. Just Walking. Così come si intitola l’azione del camminamento proposta questo anno a tempo variabile. Sono percorsi che vanno da antiche ville come Sirtori a Consonno all’indirizzo di Olginate, o da Villa Bertorelli a San Michele direzione Galbiate. Sono itinerari sempre e comunque immersivi dove il camminare in gruppo potrebbe ricordare una sorta di meditazione collettiva. Nel frattempo mentre si pulisce dallo stress, lo specchio rimanda immagini del nostro “io” non più sfocato e impolverato. Piccole, percettibili liberazioni…
Dice Losi che camminare è “la cosa più ovvia e più oscura del mondo. Una storia non scritta, segreta i cui frammenti si possono rintracciare in migliaia di passi di libri, come di canzoni, sulle strade e su quasi tutte le avventure di ciascuno di noi. Il camminare ha creato sentieri, strade, rotte commerciali ha modellato gli spazi che attraversa, ha conformato città e parchi, prodotto mappe e guide, attrezzature e calzature nonché una svariata quantità di poemi che ci parlano di cammini, pellegrinaggi, spedizioni, manifestazioni, vagabondaggi, paesaggi urbani, rurali e naturali…”
Camminare è lento. C’è il sospetto che “la mente come i piedi possa lavorare al meglio alla velocità di cinque chilometri all’ora” dice Losi. Lento ma produttivo per il corpo e la spiritualità. Henry David Thoreau , l’autore del celebre “Walden ovvero vita nei boschi” in “The Portable Thoreau”, un manifesto sulla disobbedienza civile e contro le leggi considerate ingiuste osservava che “… nell’istante in cui le mie gambe cominciano a muoversi, i miei pensieri cominciano a fluire, quasi avessi dato sfogo al torrente in basso e di conseguenza nuovi gesti entrassero dall’alto. Migliaia di rivoli che hanno origine nelle fonti del pensiero sgorgano e mi fertilizzano il cervello…. Solo mentre siamo in movimento la circolazione è perfetta. Le cose scritte stando sempre seduti sono meccaniche, legnose, noiose da leggere”. Questo pensiero fa il paio con l’osservazione di Nietzsche (“Soltanto i pensieri nati camminando hanno valore” in “Crepuscolo degli idoli”, edito da Adelphi). Gli individui e i gruppi sociali nel camminare costituiscono parte della loro identità. Nel farlo pubblicamente gli individui si definiscono, escono dalla invisibilità ed esistono come parti della società. Questo vale per tutti e anche i gruppi che stanno ai margini o sono minoritari utilizzano in modo performativo l’azione del camminare per far emergere pubblicamente la propria identità. Questo – afferma il direttore artistico de “Il Giardino delle Efemeridi”,- “fa del camminare nello spazio pubblico la quintessenza della vita e della dialettica democratica”. Just walking, quindi. Negli spazi di natura ma anche in quelli urbani. L’importante è orientarsi, “che non è la cosa più scontata da riconoscere. Andare a sud? A ovest, o ancora a nord? Quale è lo spazio da attraversare, conquistare e scoprire?”.
E’ con questo identico spirito che è stato così costruito il programma spettacolare del festival, più vicino a tappe di condivisione che accomunano un pubblico permeato di curiosità e dall’incedere green che, oltre ad attraversare a piedi paesaggi naturali di un angolo verde preservato in modo miracoloso a pochi chilometri da Milano _ un territorio compreso tra il Monte Barro e la Valle del Curone, fino ad attraversare tutto il Monte di Brianza – ha cadenzato le giornate di festival con una serie di appuntamenti differenti, teatro, performance, festa etc.. Tra gli ospiti più attesi i Motus con Stefania Tansini, Is Mascareddas, Oscar De Summa, Carlotta Viscovo. Apertura con il monologo di Pierpaolo Piludu dei Cada Die che in “La famiglia Puddu” ha rievocato una delle pagine più dolorose della città di Cagliari, colpita dai durissimi bombardamenti anglo americani del 1943. Quelle immagini sono raccontati attraverso gli occhi di un bambino down che scappa via da casa durante gli allarmi scoprendo un mondo fino ad allora sconosciuto. Azioni Fuori Posto in “Rimaye” ha accostato il linguaggio performativo e coreografico alla ricerca scientifica e storica per fotografare il paesaggio in mutamento delle nostre Alpi.
Ben cinque ore di marcia, dai giardini di Villa Bertarelli sino alla cascina La Fura di Lello, è durata -con numerose pause, momenti di dialogo pubblico e relax- la Crossing Experience guidata da Michele Losi in compagnia del poeta Tiziano Fratus e il giornalista Oliviero Ponte di Pino e l’antropologa Daniela Parafioriti. Un modo per creare sinergie insolite tra il linguaggio del teatro si confrontano con il cammino e il paesaggio.
Sul tema del ritrovarsi hanno agito quelli di Qui e Ora Residenza Teatrale che, nel caratteristico borgo di Valgreghentino, hanno allestito un banchetto partecipativo battezzato “Ora felice”, dove prende forma un dialogo teatrale di due donne alle prese con il loro passato.
E’ in uno spazio erboso della straordinaria Villa Besana, una residenza austera e imponente e comunque ben conservata che il Teatro Telaio ha montato la sua originale installazione teatrale “Arcipelago”. Tante piccole tende di stoffa bianca illuminate al loro interno si scoprono come scrigni segreti quasi di memorie perdute, archivio di ricordi. Ci si aggira silenziosi con la voglia di scoprirli tutti. Ci si può stendere per terra e infilare la testa come Alice di Lewis Carroll diventa gigante per scoprire tanti teatrini. Sono oggetti minimi, un libro o una conchiglia fossile. Da una tenda all’altra si può curiosare e un po’ anche chi si muove a zig zag in questo piccolo campo incantato può sentirsi come Alice che dall’alto vede un mondo rimpicciolito. A guidare spesso sono dei piccoli papiri, strisce che sembrano accompagnare e spiegare quello che non si può spiegare e che rende tutte questa piccole tende un insieme di specchi. Come, per restare all’interno della stessa citazione dal Paese delle Meraviglie si passa a quello successivo che Carroll scrisse dopo “Alice in Wonderland” e cioè “Through the looking-glass, and what Alice found there”, cioè quasi un vademecum per districarsi nel ginepraio di misteri. Il libro in italiano si intitola infatti “Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò”.
Nella stessa Villa Besana a dispensare ancora mistero tra scienza e sentimento è Oscar De Summa che ha presentato il suo “Rette parallele sono l’amore e la morte”, ancora in fase di studio ma con un robusto tracciato, in grado di intrigare e lasciare interrogativi pesanti. A cominciare dai legami indissolubili che possono andare oltre la morte. Partendo da un fatto autobiografico della sua giovinezza De Summa mette in scena un testo che fa continuamente surfin tra memoria e apertura per le ricerche in campo scientifico che sembrano definire in modo differente l’attraversamento tra la vita e il non essere. La ragazza, Mariarosaria, non solo era la bella vicina di casa De Summa, ma anche una studiosa con profitto di filosofia e pianoforte “cose che la rendevano diversa, lontano dal nostro mondo di adolescenti decisi a divertirsi senza pensare troppo alle conseguenze delle nostre azioni”. Il giovane De Summa forse se ne invaghisce e di quegli attimi ha come una nostalgia di amore mancato.
Il tempo vola e lascia indietro ovattati, quasi impalpabili i ricordi di adolescente. E’ sufficiente la notizia della scomparsa di Mariarosaria ,“un fulmine a ciel sereno” per attivare un corto circuito tra memoria e realtà. La tentazione, e anche qualcosa di più (ossia quella di andare oltre l’umana comprensione e il bagaglio di tradizioni e credenze) spinge a cercare nella scienza la risposta a quello che resta ancora il mistero più grande della esistenza umana: la morte. De Summa ricorre alle teorie della fisica quantistica e al cosiddetto “entanglement”. Ma questo cosa è? La Treccani ci informa che è un “legame di natura fondamentale esistente fra particelle costituenti un sistema quantistico (dall’inglese to entangle «impigliare, intricare»). È anche detto, talvolta, correlazione quantistica. In base a esso, lo stato quantico di ogni costituente il sistema dipende istantaneamente dallo stato degli altri costituenti”. Cioè è un legame tra due o più particelle che hanno proprietà correlate chiamate “stati quantici”.
Più in concreto. Avete presente l’equazione dell’amore? La definì così Paul Dirac nel 1924 quando era ancora uno studente a Cambridge (nel 1933 divenne Premio Nobel). E’ la seguente: (∂+m)ψ=0) e in pratica dice che “se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma diventano un unico sistema”. Così viene spiegato il fenomeno dell’entanglement quantistico che “in un certo senso può essere interpretato come ciò che succede in amore”. Meglio ancora: quando due persone si conoscono e si amano, diventano una cosa sola.
Naturalmente ci sono altri scienziati che contestano. A partire dalla equazione per cui si propone una diversa formulazione. Poi, a proposito dell’”entaglement” , si sostiene che ha senso solo per i sistemi microscopici. Due persone innamorate invece sarebbero un sistema macroscopico per cui non si potrebbe applicare il concetto di inseparabilità etc… Ma a teatro anche le rette parallele possono incontrarsi. E perché no?
Quindici minuti per rendere omaggio a Fluxus, il movimento d’arte che ha caratterizzato in modo autorevole dagli anni Sessanta in poi la creatività contemporanea L’autrice è la performer Maura di Vietri (prodotto da Fattoria Vittadini con Scuola Mohole) che in una stanza del vecchio maniero di Campsirago – i soci, con un grande lavoro l’hanno rimesso in sesto trasformandolo in uno spazio di lavoro, di ricerca e dialogo in comune – ha organizzato per un numero limitato di spettatori, volta per volta, una immersione in mondi digitali utilizzando i visori di realtà virtuale. “Flux full experience” per Vietri è “un viaggio che prende spunto dalla tradizione sciamanica e della ricerca del proprio animale- spirito guida: una creatura specifica per ognuno di noi in grado di connettersi con la parte più profonda della nostra anima e con cui avvertiamo un legame spirituale”. L’esperienza vissuta in diretta da ogni singolo spettatore suggerisce quella dei viaggi psichedelici degli anni Sessanta. La grafica in motion dominata dal colore blu spingeva verso una ricognizione a tutto campo, cioè a trecentosessanta gradi, dove tra lupi e pareti rocciose, alberi e cieli stellati si viene catapultati in un ambiente di tipo favolistico. Una ennesima dimostrazione delle possibilità del teatro digitale in cui si è ancora in attesa di vivere una matura e avanzata visione di “total-theatre”.
Un altro omaggio all’arte. Quella della scultrice francese Camille Claudel. Lo rende Carlotta Viscovo in “Il corpo della lotta”, distillato di azioni fisiche che sono frutto di immedesimazione totale della performer che ha interiorizzato il movimento plastico delle opere della amante di Auguste Rodin, suo mentore. Su quello che è stato tema di acceso dibattito riguardante il reale rapporto tra i due artisti transalpini, Viscovo sceglie una posizione intransigente di totale supporto a Claudel, alla quale tra l’altro non è mai stato riconosciuto, se non in una fase tardiva, il suo giusto valore d’artista. L’omaggio è così una gagliarda e militante presa di posizione politica e femminista in favore della donna artista, reso in scena da una concentratissima performer che sta a terra supina, con gli spettatori attorno mentre alterna la sua gestualità tra essere modella che scultrice. Si percepisce ogni suo respiro mentre si rotola sul pavimento tendendo le gambe in alto verso il cielo rifacendosi alle tecniche della danza butoh. Una dualità costante in tutta la performance che conosce momenti di accelerazione che vanno di pari passo, con le tavole dipinte senza sosta dal pittore e illustratore Ettore Greco che in tempo reale disegna intriganti tavole colorate lasciandole cadere sul pavimento. Tavole che Carlotta Viscovo farà a pezzi distruggendole come estremo gesto di rabbia e ribellione. Lo spettacolo, pur segnato da una significativa intensità emotiva non va comunque oltre la pur doverosa testimonianza nei confronti di un’ingiustizia , reso da un colpevole sistema maschilista ad un’artista di talento.
E poi arriva il graffio dei Motus. Dramma, tensione e poesia di certo non difettano a “Of The Nightingale I Envy the Fate”. Cioè “Dell’usignolo invidio la sorte” sconvolgente e coinvolgente rituale di attraversamento dall’umano al post-umano reso da una straordinaria Stefania Tansini, danzatrice e performer capace di esprimere contemporaneamente scosse di energia a livello primordiale. Eppure è elegante e sinuosa figura danzante, protagonista di un sacrificio maledetto che riporta al tempo mitologico degli eroi di Troia. Dramma sfuggito dalle pieghe di quel enorme capolavoro che è l’”Orestea” di Eschilo ma che ha una genesi precisa. La pièce infatti è da leggersi come una sorta di spin off di quell’importante spettacolo cucito dagli stessi autori di “Of Nightingale…etc”, Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, “Tutto Brucia”, ripreso da “Le Troiane” di Euripide. Qui sono rappresentati gli attimi che preludono alla morte di Cassandra, “schiava, adultera e straniera”, con il dono di prevedere il futuro. Figura tragica ed emblematica Cassandra/Tansini in questa folgorante messa in scena brucia il tempo e lo spazio, scavalcando generi e specie. Il dramma emerge con rapida potenza divinatoria resa drammaticamente reale da un’attrice appassionata e animalesca. Tansini taglia di netto lo spazio angusto rettangolare mutando la pelle umana nel corpo di un uccello: creatura ibrida, donna/animale che si lascia inghiottire dal buio sconosciuto dell’aldilà per riemergere tra piume, scomposizioni di figura, un corpo lacerato con i segni della violenza e del sacrificio necessario per trasformarsi in creatura nuova che danza nello spazio profondo.
Con grazia misurata e ferma decisione. Un soggetto potente e definitivo che a seguirne le evoluzioni taglia il respiro in chi guarda, vedono. Nell’aria riecheggia un brontolio di frasi sconnesse, un canto funebre dalle parole incomprensibili e i suoni miscelati accortamente da Casagrande in sintonia con la musica come sempre ispirata di R.Y.F. alias Francesca Morello. E una litania per la sopravvivenza che ha i versi della poetessa e attivista per i diritti Audre Lorde in “The Black Unicorn”:
“…. Quando siamo amate abbiamo paura
Che l’amore svanirà
Quando siamo sole abbiamo paura
Che l’amore non tornerà
E quando parliamo abbiamo paura
Che le nostre parole non verranno udite
O ben accolte
Ma quando stiamo zitte
Anche allora abbiamo paura
Perciò è meglio parlare
Ricordando
Che non era previsto che noi sopravvivessimo”
Incredibile quanti siano stati in questo festival i richiami diretti o in seconda battuta sul tema dell’aldilà, da sempre sottotraccia quando si affrontano riflessioni sull’esistenza umana. Singolare ma poi non certo incredibile che accada. I tempi che si stanno vivendo possiedono una forte carica d’angoscia per il futuro del mondo e dello stesso genere umano. Tra il complicarsi della situazione del riscaldamento del pianeta con le esplosioni cambio climatico si aggiunga, soprattutto in Europa e in Medio Oriente la crescita di conflitti frutto di odii, sete di potere e dominio che distruggono case e palazzi, strutture civili e famiglie. Solo pochi giorni fa il missile russo sganciato su uno ospedale pediatrico di Kiev ha ucciso bambini, medici, personale e la stessa struttura. E’ veramente il sonno della ragione che continua a generare mostri. Tanto orrore, tanta mattanza…
Facile e comprensibile che la mente e il cuore anche degli artisti batta per questa cose… ma allora si può o no sorridere della Signora in nero che secondo l’iconografia medioevale avanza con la falce acuminata? Certo che sì… Ed è pure doveroso farlo. Soprattutto se a tratteggiarne le sembianze di una signora avanti negli anni, un po’ bisbetica e persino demodé sia una compagnia di teatro di figura come quella de Is Mascareddas, a cui alla fine dello scorso anno è stato attribuito il prestigioso Premio Ubu. Quaranta anni in giro per il mondo partendo dall’isola di Sardegna dove non esiste tradizione di questo nobile genere della scena, eppure sempre da protagonisti in festival, rassegne e masterclass in Europa e oltre con le loro incredibili maschere.
E soprattutto quando -come si è potuto ammirare a Campsirago – nel muovere questi illusori personaggi (ma quanto reali e simili a noi) è un maestro della manipolazione, tra i più sensibili, Tonino Murru, che concentra su di sé l’arte artigiana di chi costruisce e mette in scena figure fatte di pezza, stoffa e altro e allo stesso tempo dona a questi personaggi la vita. Ripresa con senso di realismo dalla strada e dall’osservazione quotidiana. Accanto a tutto ciò -elementi che si riscontrano naturalmente nei migliori rappresentanti di questa arte- una componente non certo secondaria che è quella di essere egli stesso attore di buona stoffa, cresciuto tra l’improvvisazione della commedia dell’arte allo studio della scena contemporanea, da Brecht a Wilson.
Ecco così a fine festival che dalla piccola baracca tradizionale spunta la Signora del Settimo Sigillo di Bergman in “Dialogo con la Morte” (ma il titolo in realtà è ancora provvisorio perché lo spettacolo è alle prime uscite e per di più sarebbe più corretto chiamarlo monologo). La signora parla, parla, parla, non smette mai di parlare come una vecchia bisbetica, che si spaventa all’improvviso quando, guardandosi allo specchio, realizza la sua lunga età. Stigmatizza e critica gli uomini, svelando le piccole e nascoste miserie di uomini a un passo dall’addio. E’ una signora un po’ così, quasi quasi simile alla vicina del la casa accanto. Ha tanto vissuto e visto che non si può non ascoltare. Ma anche ironicamente prendere con le molle perché sempre la falce tiene dietro la sottana…
Ma “Il Giardino delle Esperidi “ non è stato solamente cammini e spettacoli, ma anche giochi, momenti di riflessione e discussione di futuri progetti. Attenzione massima ai ragazzi. Liberamente ispirato da “L’uomo che piantava gli alberi” di J.Giono, “Il barone rampante” di Calvino e “Sette minuti dopo la mezzanotte” di Patrick Ness, la Baracca Testoni ha presentato la narrazione itinerante di “Storie sopra e sotto l’albero” presentando anche una messa in scena di “Biancaneve”. Lungo la marcita di Ello gruppi di bambine e bambini hanno seguito lo spettacolo itinerante “Alberi maestri kids” guidati da un personaggio fiabesco… E gli adulti hanno invece potuto recuperare e riscoprire un po’ di naiveté grazie al gioco delle carte “Hamlet Private” guidato per tutta la durata del festival da due signore teatranti come Giulietta De Bernardi e Anna Fascendini che come le Faerie inglesi hanno prescelto luoghi insoliti, una fontana dai zampilli argentei che scorreva in una vasca popolata da guizzanti pesci rossi, sotto la chioma di alti e robusti alberi dentro antiche, silenziose ville dai giardini odorosi di terra e fiori. Il gioco usa le carte Talmeh (anagramma di Hamlet) e ricorda quello dei Tarocchi. Al centro la storia e i personaggi che circondano la vita e le gesta del triste Principe di Danimarca. Chi si avvicina a questo passaggio di carte dalla ricca simbologia teatrale lentamente si spoglia di elmo e corazza, per lasciarsi irretire e guidare dalle bravissime players che non solo tagliano i mazzi e danno le carte ma leggono i significati di ogni scelta individuale.
Le carte infatti in realtà non predicono alcun futuro, ma come nei Ching offrono un ventaglio di possibilità da prendere al volo o meditare. “Hamlet” sembra piuttosto un lievitatore di dubbi, come il titolo d’altra parte evoca, che però ha la virtù di donare un po’ di tempo finalizzato a capire e conoscere se stessi.
E’ stato infine di grande interesse l’incontro con le artiste responsabili di un progetto, “Onde”, sul tema dell’amicizia e che metterà insieme tre Paesi, quattro artiste, un romanzo e una moltitudine di persone che hanno risposto alle domande della compagnia canadese di Voyageurs Immobiles e quella italiana di Wundertruppe con la partecipazione dell’artista sonora Marie-Hélène Massy Emond. A ispirare il gruppo è stato il romanzo di Virginia Wolf “The Waves”. In questo racconto le voci di un gruppo di amiche e amici ripercorre il tempo di una vita, dall’infanzia all’ultimo respiro. Ad accompagnare le esistenze di ciascuno c’è sempre una perdita dolorosa e improvvisa. “Questo strappo inatteso ha aperto la riflessione sulle narrazioni destinate all’amicizia, un ambito in cui è complesso affrontare il tema della perdita, della sparizione, dei cambi di rotta che allontanano e a volte spezzano il legame”. Il progetto ha coinvolto e sta tuttora coinvolgendo persone di ogni età e ceto sociale incontrate tra Canada, Francia e Italia. “Onde” verrà messa a punto definitivamente questo autunno a Campsirago dove sarà presentata in anteprima nella prossima stagione.
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