Beatrice Cenci nello sguardo di Gaddo Bagnoli
Da giovedì 21 a domenica 24 novembre al Teatro della Contraddizione di Milano va in scena Beatrice, uno spettacolo di Gaddo Bagnoli tratto da ”I Cenci” di Antonin Artaud e ”I Cenci” di Percy Bysshe Shelley. Beatrice, interpretata da Claudia Franceschetti e diretta dallo stesso Bagnoli, racconta le vicende di Beatrice Cenci, emblema storico dell’ingiustizia e della prevaricazione perpetrata dal potere maschile contro la famiglia ed in particolare contro le donne all’interno della famiglia stessa. Lo spettacolo, che nasce da una ricerca drammaturgica ispirata principalmente all’opera “I Cenci” di Artaud ed ai suoi scritti poetici, nonché all’opera “I Cenci” di Percy Bysshe Shelley, sperimenta la comunicazione diretta con il pubblico, seduto all’interno dello spettacolo, in un contesto di completa immersione nell’azione scenica.
Abbiamo intervistato il regista e drammaturgo Gaddo Bagnoli per addentrarci nel lavoro di elaborazione e resa sulla scena di questa complessa storia dalle radici antiche.
Partiamo dall’inizio: da dove nasce il desiderio di lavorare sulla vicenda di Beatrice Cenci a partire dalle opere di Artaud e Shelley?
Le Scimmie Nude incontrano il personaggio di Beatrice Cenci, mito storico dell’ingiustizia e della prevaricazione perpetrata dal ‘potere maschile’ contro la famiglia ed in particolare contro le donne all’interno della famiglia. Lo spettacolo nasce da una ricerca drammaturgica che s’ispira principalmente all’opera “I Cenci” di Artaud ed all’opera “I Cenci” di Percy Bysshe Shelley.
La vicenda di Beatrice Cenci, che venne giustiziata insieme alla mamma adottiva Lucrezia ed al fratello Giacomo nel 1599 da papa Clemente VIII per l’uccisione del padre Francesco Cenci, rimane nella storia e nella coscienza collettiva di allora e di oggi come un’ingiustizia sociale delle più eclatanti. Le Scimmie Nude coltivano da molto tempo l’opera di Artaud, prima di tutto perché egli è la figura più rivoluzionaria, inquietante ed affascinante della cultura teatrale (e non solo teatrale) di tutto il ‘900 e in secondo luogo perché ci pone, attraverso il teatro e tutta la sua opera, interrogativi esiziali che riguardano l’Uomo: il suo rapporto con l’esistenza e la natura stessa del suo essere. Argomenti importanti per la nostra poetica Scimmie Nude (si legga la specifica che appare sotto al nome della compagnia: Teatro d’indagine sull’uomo). Il rapporto di ricerca che si crea con Artaud può avere una data d’inizio, ma difficilmente una di conclusione, dato che egli è tanto interessante quanto criptico e tanto luminoso e limpido in certi passaggi, quanto oscuro e sconvolgente in altri. Quindi non ritenendo conclusa la ricerca né sull’autore, né sui suoi temi cari, pur avendo già lavorato su “I Cenci” di Artaud con tutta la compagnia e con l’opera trattata per esteso molti anni fa, abbiamo deciso di riprenderla in una chiave ancora nuova e alla luce di un interessante parallelo tra la realtà contemporanea, con i suoi crudeli omicidi e violenze familiari ormai quotidiani, e la ben nota vicenda che si consumò nel 1599 a Roma trattata nelle due trasposizioni teatrali.
Stavolta la scelta di affiancare Shelley al nostro maestro di Crudeltà è nata per avere più chiarezza sugli accadimenti avvenuti e per dare alla lirica del testo finale quel tocco di romanticismo che rende leggermente più rotondo lo stile potente, violento e crudele di Artaud.
In un quadro di attualità in cui il tema della violenza di genere è drammaticamente all’ordine del giorno nella cronaca, affrontare la storia di una donna vittima di violenza e, a sua volta, carnefice è una scelta sfidante. Beatrice è vittima, ma interiorizza la violenza facendola sua in un tentativo di emancipazione che porta però ad ulteriore violenza e a un infausto epilogo: cosa ci dice questo dramma del presente?
I piani interpretativi della storia della famiglia Cenci sono principalmente due. Il primo è quello sociale che vede la nostra protagonista reagire al contesto della collettività e delle istituzioni del proprio tempo, non solo contro il Papa che la condannerà a morte, dato che non poteva permettere di avallare tale ribellione omicida da parte dei figli nei confronti dei padri, ma anche contro i membri altolocati della società del tempo che non la difendono, perché anch’essi fermamente decisi a mantenere lo status quo del loro potere nei confronti delle proprie famiglie. Il secondo piano interpretativo è quello individuale e personale di Beatrice che combatte, non solo ‘fuori di sé’ ma anche ‘dentro di sé’. Troppo pura per venire a patti con la propria coscienza, morirà fisicamente grazie alla legge degli uomini e si autodistruggerà consumandosi per il senso di colpa di essere diventata come il padre grazie al suo delitto. Infatti questa storia oltre a portare alla nostra attenzione l’ennesimo sopruso maschilista e reazionario perpetrato in questo caso addirittura dalla Chiesa, ci interessa proprio per questo secondo nodo drammatico per noi più interessante della valenza di denuncia sociale. Beatrice stessa reagisce agli anni di violenze e soprusi subiti con l’unica modalità che potesse permettere a lei ed ai suoi familiari di sfuggire alle torture ed alle vessazioni del padre: l’omicidio. Questa azione porterà Beatrice ad identificarsi con il padre. Tale identificazione si concretizza ovviamente nell’atto delittuoso che sembra imitare il carattere violento del padre, ma che ingenera nella protagonista anche un senso di colpa ‘genetico’ in quanto figlia di Francesco Cenci.
La nostra ricerca, tesa sempre ad indagare gli elementi fondanti dell’essere umano, ci ha spinto ad analizzare gli accadimenti legati a questa figura di eroina dal punto di vista del rapporto vittima e carnefice. Beatrice vittima del padre diventa lei stessa carnefice del genitore per reazione alle sue violenze che finiscono per trasformarla appunto proprio in quello che lei combatte e subisce. Questo è il motivo principale della scelta drammaturgica di fare interpretare alla stessa attrice i due ruoli nei quali il personaggio si compenetra: Beatrice ed il padre Cenci. L’attrice interpreta anche un terzo personaggio: la serva. Essa rappresenta il ‘coro’, il popolo che assiste impotente alla vicenda esprimendo il proprio (il nostro?) punto di vista sia morale che sociale.
La riflessione cui ci conduce questa vicenda riguarda tutti gli esseri umani che spesso quando rivestono il ruolo di vittima finiscono, come ammette la stessa Beatrice nel testo, con il trasformarsi in ciò che combattono. Si tratta di tutte quelle vittime che in un modo o nell’altro finiscono per riprodurre le azioni ed i comportamenti che hanno subito dai loro carnefici. Tutti gli esseri umani, com’è stato dimostrato da innumerevoli esperimenti sociali, finiscono per assumere uno di questi due ruoli in molte relazioni umane, ma ancora più interessante risulta la posizione di Beatrice rispetto a sé stessa: Beatrice siede contemporaneamente sulla sedia dell’imputata e della vittima, obbligata a vivere entrambi i ruoli: vittima colpevole dell’omicidio del padre ed imputata innocente perché assassina di chi voleva distruggerla. Questo percorso di lavoro ha fatto maturare in noi la percezione di essere nella nostra esistenza vittime e carnefici degli altri e di noi stessi, una condizione di continua e vana lotta che ci impedisce spesso di vivere. Un male-essere che fin dall’inizio della vicenda mostra la ‘nostra’ Beatrice in attesa continua di una ‘liberazione’ tanto agognata che essa crede di poter trovare solo alla fine della vita terrena, ma che – come vedremo – nemmeno nella propria morte potrà trovare pace per la paura di ritrovare anche all’inferno suo padre che l’aspetta.
Molte donne illustri della storia e della letteratura sono state schiacciate dal sistema patriarcale e dalle sue dinamiche. Beatrice racconta di una liberazione impossibile: oggi la sfida in scena può essere quella di una restituzione di complessità in questa ricerca di una propria identità e libertà fuori da percorsi che paiono socialmente precostituiti?
Per noi la funzione del teatro è poetica e non cronachistica. Crediamo che il teatro debba stare ben separato dalla realtà nelle forme e nello stile. Il teatro è di per sé “sociale”, non ha bisogno di mischiarsi all’attualità per colpire ed attrarre il pubblico. Infatti speriamo che il cuore del pubblico sia colpito proprio da questa ‘liberazione impossibile’ da cui nasce il gesto tanto crudele, quanto eroico dell’assassinio del padre Cenci da parte di Beatrice. Il teatro può ispirarsi alla Storia scoprendo le proprie motivazioni poetiche e spiazzanti per il pubblico che sfuggono alla trattazione meramente documentaristica di un problema come quello del femminicidio e dello scontro con il patriarcato. Beatrice dopo il suo martirio compie la scelta più difficile ed eroica che non la porterà solo alla condanna legale e sociale, ma anche alla realizzazione di essere divenuta come il padre: “Questo pensiero rende più amara la mia morte. Perché ho paura che la morte mi riveli che ho finito per assomigliargli.” Uccidendo un altro essere umano, non rinneghiamo soltanto la sacralità della vita e non eliminiamo un problema, ma diveniamo noi stessi parte del problema. Le frasi che Beatrice lancia prima di morire sono un monito sociale per tutti noi ed in particolare per quel potere patriarcale forte che da sempre in varie forme ha dominato con regole scritte e non tutta la nostra società.
Anche rispetto al tema del potere e della sua affermazione violenta e prevaricante, la vicenda Cenci sembra voler obbligare il pubblico a una riflessione che va oltre lo schema del bianco e nero, della vittima e carnefice. In che modo però è possibile, se è possibile, arrivare a un cambiamento che il dramma sembra porre come urgente?
Certo le similitudini con la situazione sociale di oggi sono potenti, basti pensare allo scontro di Beatrice con il potere, a quel tempo incarnato dallo stato pontificio di papa Clemente VII e dalle altre famiglie nobili romane, che non intercederanno per salvarla, sentendosi anch’esse minacciate da eventuali rivolte dei propri figli. Tutto ciò è paragonabile oggi all’impotenza dello Stato moderno di fronte a simili reati ed all’indifferenza delle persone. Il nostro intento artistico è quello di far vivere al pubblico, che sarà letteralmente immerso (seduto) nella scena, il processo di trasformazione di Beatrice da vittima a carnefice nella speranza di far emergere in essi una nuova consapevolezza che li conduca oltre un giudizio diretto (di pancia) e senza appello, fino alla comprensione di tutti gli aspetti che spesso non trovano posto in un processo legale in tribunale. Tali considerazioni ci auspichiamo che sviluppino un nuovo impegno nella comprensione e nella gestione di tutte le relazioni sociali e familiari non fermandosi alla mera condanna dei colpevoli.
Come avete lavorato sull’apparato scenico e del suono? In che modo risultano essenziali alla rielaborazione di questa storia?
L’idea che mi sono fatto appena ho deciso di lavorare su questi due testi e dare loro una forma di monologo è che il pubblico deve essere immerso nella scenografia, nei suoni, nei rumori e nelle parole del testo per essere dentro la vicenda e le potenti emozioni che essa sprigiona. Infatti la scenografia si presenta come un praticabile fatto a croce con palchetto centrale rialzato ed il pubblico siede dentro questa croce (si direbbe: negli ‘spicchi’ della croce). L’attrice reciterà muovendosi su tutta la lunghezza delle 4 braccia della croce, nonché al centro, entrando ed uscendo di scena da 4 quinte poste alla fine di ogni braccio/praticabile, rimanendo sempre molto sopra e vicina la pubblico e scomparendo dietro le quinte per riapparire trasformata nei vari personaggi. L’attrice sarà microfonata per sfruttare al massimo tutte le possibilità e le sfumature della voce. Per quanto riguarda le musiche abbiamo scelto di lavorare con la quadrifonia, quindi le musiche ed i vari suoni e rumori (tutti restituiti con strumenti musicali e non con rumori e suoni realistici) sorprenderanno gli spettatori da ogni parte, creando un affetto immersivo potentissimo. Le luci, disegnate principalmente con tagli bassi e fari che illuminano da sotto, saranno tese a creare atmosfere molto tetre e paurose, oppure di piena luce abbagliante, non è uno spettacolo che prevede mezze misure.
Uno spettacolo potente e coinvolgente che sperimenta una comunicazione diretta con il pubblico, il quale sedendo all’interno dello spettacolo assisterà, fisicamente immerso nell’azione scenica, al rapporto tra la protagonista e suo padre.
Beatrice
uno spettacolo di Gaddo Bagnoli tratto da ”I Cenci” di Antonin Artaud e ”I Cenci” di Percy Bysshe Shelley
Rielaborazione drammaturgica e regia Gaddo Bagnoli Con Claudia Franceschetti
Musiche originali Sebastiano Bon
Disegno luci Massimo Mennuni
Costumi Francesca Biffi
Sound design Antonio Mainenti
Foto di scena e grafica Marzia Rizzo
Realizzazione video Alberto Sansone
Produzione Scimmie Nude (2024)
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