Teatro

A Matera Nessuno resta fuori

31 Luglio 2018

Se c’è un elemento che dà forza e sostanza al Festival Nessuno Resti Fuori di Matera è la pratica, serena, della accoglienza. La giovanissima manifestazione lucana, giunta alle terza edizione, ideata e diretta dal gruppo IAC-Centro Arti Integrate di Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, forti di una squadra preparata e superefficiente, si basa proprio sulla messa in atto di parole oggi complicate, come integrazione, ascolto, confronto, periferie.

Festival itinerante – ogni anno cambia quartiere di riferimento, andando a scovare zone decentrante rispetto agli ormai rutilanti Sassi nella futura Capitale della Cultura Europea 2019  – Nessuno Resti Fuori mette a confronto comunità: gli immigrati in Basilicata, i richiedenti asilo, i minori non accompagnati, con giovani del luogo o anche, come avvenuto quest’anno, con un gruppo folto di ragazzi e ragazze di Ravenna, giunti a Matera per integrarsi, è il caso di dirlo, nel laboratorio della Non-Scuola del Teatro delle Albe.

Abbiamo già dato conto di Thioro, ma il  punto di forza del festival, infatti, oltre la fase spettacolare e gli incontri, sono proprio i laboratori per giovani. Quello delle Albe ha connotato anche le edizioni precedenti del Festival: guidati da Alessandro Argnani e Alessando Renda, sensibili giovani maestri, degni eredi di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, i  laboratori della Non-scuola sono sempre momenti imperdibili, di grande valenza pedagogico-didattica oltre che di gioiosa e condivisa festa.

il gruppo di partecipanti alla Non-Scuola di Matera

Quest’anno, a Matera, Renda e Argnani, affiancati da Nadia Casamassima, hanno rispolverato un “modulo” super-efficace: quell’Ubu Re di Alfred Jarry che forse è consustanziale alla Non-scuola stessa. Allora, sulle tracce grottesche e patafisiche della Polonia e del Palotini, si sono incontrati ghanesi e senegalesi, ravennati e materani, in un groviglio di energie, lingue, ironie, ritmi davvero travolgente. L’esito, andato in scena nel cortile del Liceo artistico cittadino, assurto quest’anno a quartier generale del festival, è stato di commovente successo. E alla fine gli applausi si sono trasformati in abbracci, per quella pratica – semplice e difficilissima – dell’accoglienza che è una risposta pratica ai tanti, troppi, razzismi dilanganti e dilagati.

 

Alla finestra, esito del laboratorio di Corp Citoyen

Altro interessante laboratorio è Alla finestra, presentato dal gruppo italo-tunisino Corp Citoyen di Anna Serlenga e Rabii Brahim. Qui il gioco assume molteplici e curiosi livelli di lettura, mettendo in campo, proiettato su megaschermo, i meccanismi di ricerca di Google Hearth. Ogni performer chiamato in causa chiede alla “regia” di digitare sul motore di ricerca il nome del proprio paese: piccoli borghi italiani, periferie desolate, o città devastate della Siria appaiono sullo sfondo, svelando realtà nella loro immediatezza e vividezza oltre ogni sentito dire, oltre ogni evanescenza. Cosa vedi, stando alla finestra? Cosa c’è di fronte agli occhi? Il mondo è là, o meglio qui, terreno di battaglie quotidiane, di semplici esistenze e i racconti si dipanano, allora, mostrando quanto e come il “nemico”, l’Altro, lo sconosciuto sia più nelle nostre teste che non nella realtà. Insomma: intuizione da approfondire e sviluppare per Corp Citoyen, compagnia in grande crescita, dalla cifra sempre politicamente impegnata.

Resta da dire degli spettacoli della “scuderia”, ovvero prodotti dallo stesso IAC e presentati in occasione del festival anche se ancora dichiaratamente “in progress”. È bello e toccante Yeso Thang, interpretato dal giovanissimo gambiano Ali Sohna e diretto da Andrea Santantonio: un racconto semplice, la storia della propria vita, appena evocata, con un sorriso candido, sincero, commovente. Senza retorica, senza astio, Sohna racconta la storia del suo viaggio, della famiglia, delle dolorose perdite: in un tono lieve, sospeso, che promette bene per l’esito compiuto di un lavoro che potrebbe virare benissimo alla poesia o al realismo magico.

 

Ali Sohna

Ancora da rodare è Una disubbidienza straordinaria, tratto da Il mondo salvato dai ragazzini. Il lavoro sta acquisendo ritmi e tempi giusti, ma la struttura c’è, funziona. La scrittura di Elsa Morante si declina nella interpretazione vivace e aderente di Nadia Casamassima, sempre con la regia di Santantonio. La storia scelta è quella della “Canzone della stella gialla o di Carlottina”, un apologo, sognato e stralunato, vivace e sulfureo, di come sarebbero potute andare le cose se la Germania si fosse allegramente ribellata alle follie di Hitler, se quella stella gialla sul petto l’avessero indossata tutti, in segno di solidarietà e amicizia nei confronti dei propri compatrioti ebrei. Così, sappiamo, le cose non sono andate.

Durante lo spettacolo, però, mi chiedevo quanti, dei nostri ragazzi, sappiano davvero cosa rappresenti quella stella gialla, quanti sappiano bene chi era Hiltler, cosa sia stato il nazismo, cosa il fascismo. Mi chiedevo, insomma, se la storia raccontata da Elsa Morante fosse ancora così immediatamente condivisibile, chiara, per un pubblico di bambini e adolescenti. E non mi sono saputo rispondere: la perdita di memoria di questo paese si concretizza anche nella distanza che può crearsi, inattesa, tra uno spettacolo che parla di nazismo e un pubblico che ha troppo in fretta dimenticato.

 

Nadia Casamassima

 

Tra scatoloni di cartone che diventano muro, persone, fantaccini, schermi per improvvisati cartoons, la vicenda coglie un punto di grande sostanza. Quel gesto di adolescenziale rivoluzione resta valido come indicazione possibile, come monito – per grandi e piccini – di fronte a ogni fascismo. Si poteva dire di no? Vinse la violenza allora. Ma oggi si può dire di no? E come farlo?

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