Teatro
A Chiusi si chiude? Svanisce la compagnia di Latini al Festival Orizzonti
Su Primapagina on line di Chiusi, un articolo pubblicato ieri sanciva lo stato delle cose: il Festival Orizzonti di Chiusi salta. Il pezzo, siglato M.L., inizia così: «Nell’articolo sul consiglio comunale di ieri abbiamo parlato di doccia gelata sulla Fondazione. E di possibili “tagli” al festival Orizzonti e ad altre iniziative. La mozione della maggioranza approvata ieri può avere invece un effetto decisamente più devastante di una doccia fredda. Può avere l’effetto di una bomba H sull’estate chiusina, su diverse attività economiche e sull’immagine della città. Perché il Festival Orizzonti, con tutta probabilità (diciamo al 90%) non subirà solo dei tagli. Non si farà proprio… L’edizione di quest’anno avrebbe portato il deficit della Fondazione da 200 a più di 350 mila euro… Da qui la decisione di fermare la macchina. Decisione che consentirà di evitare di accrescere il debito e di mettere in sicurezza il bilancio e che il sindaco-Presidente non ha preso in maniera “monocratica”». Il giovane Festival è diretto da Andrea Cigni e si occupa di nuove creazioni e di linguaggi performativi, spaziando dalla prosa, alla danza alla lirica. Continua ancora l’articolo dicendo che il sindaco Bettollini (Pd) «parla di “pausa di riflessione e aggiustamento”, di stop temporaneo, non di chiusura. Dice che il festival ripartirà, forse già dal prossimo anno. Ma dopo un anno di stop sarà più dura ripartire. E si dovrà comunque ripartire da zero». Dunque niente da fare, sembra proprio che a Chiusi si chiuda. E in effetti 300 mila euro di deficit sono davvero tanti. E dunque salta anche un bel progetto che vedeva coinvolto nientemeno che Roberto Latini: una compagnia stabile della Fondazione Orizzonti, lanciata tramite bando cui avevano risposto nientemeno che 450 persone.
Incontrare oggi Latini vuol dire scontrarsi con un artista davvero di pessimo umore: amareggiato, furioso, soprattutto imbarazzato nei confronti di quei tanti che avrebbero voluto lavorare con lui sopportando condizioni economiche davvero minime. Ci sarà modo di approfondire anche con i diretti interessati della Fondazione, così come dovremmo per l’ennesima volta ragionare su questi fantastici bandi che ormai connotano il teatro italiano, ma intanto abbiamo rivolto qualche domanda a Roberto Latini.
Che sta succedendo a Chiusi? Si annuncia un deficit di circa 300mila euro e la chiusura immediata del Festival Orizzonti, di cui eri parte in causa. Ne eri al corrente?
«Non so cosa stia succedendo adesso a Chiusi e cosa succederà ancora, non lo so. So che alcuni giorni fa ho ricevuto una telefonata dal direttore artistico del Festival che mi ha informato della chiusura del festival e quanto intorno. Non so quale sia stato il percorso politico e amministrativo, non so le cifre e non entro nel discorso delle colpe e della causa. Registro il sorprendente, vergognoso effetto che mi riguarda e di cui non ero minimamente al corrente, neppure lontanamente».
Eri coinvolto in prima persona nell’organizzazione di una compagnia stabile del festival, un progetto ampio di cui si parla da mesi e invece ora arriva questa notizia. Come l’hai appresa?
«In due tappe. Dal direttore artistico via telefono e alcuni giorni dopo, definitivamente, via mail, dalla posta certificata della Fondazione Orizzonti a firma del presidente».
Ci spieghi meglio il progetto della Compagnia? Quante domande erano arrivate? Come ti sei comportato?
«Sono stato coinvolto in un progetto che volevo far saltare per senso di responsabilità e oggettiva impossibilità, quando sono arrivate più di 450 domande per i 7 posti disponibili. L’invito a me era quello di un laboratorio con esito finale, trasformato poi in “compagnia del festival” da me diretta, con alcune sfumature sapientemente sfumate. Messa per come l’avevo capita inizialmente, avrei dovuto incontrare i selezionati al primo giorno di lavoro; visto per come è diventata, sono andato a Chiusi a prendermi tutte le domande arrivate e ho impiegato 5 giorni per leggere e rileggere le centinaia di richieste».
450 domande sono tantissime…
«Non era previsto che dovessi essere io a sceglierli e non pensavo di doverlo fare soprattutto quando ho capito che non sarebbe stato il mio laboratorio, ma la compagnia di un festival in cui anche io ero ospite e da me diretta magari solo nella prima edizione. Ho deciso di caricarmi in macchina tutte le domande arrivate, perché la quasi totalità era indirizzata a me, personalmente. Ho provato allora a fare un calendario che mi permettesse di incontrarne almeno un terzo dei richiedenti e dato appuntamento a 150 di loro, distribuiti in altri 5 giorni, al teatro Mascagni di Chiusi. Una situazione comunque impossibile, ma da tentare lo stesso, nella necessità di onorare i 300 che non ho potuto nemmeno convocare. Con ciascuno di loro mi sono scusato ripetutamente, ringraziandoli per i viaggi, il tempo, gli occhi belli che ognuno di loro ha scambiato con la difficoltà della situazione. Ho insistito perché non si vivesse l’occasione come “provino” da superare, ma davvero nella dimensione dell’incontro. Mi sembrava l’unica possibile. Da quei 150 ho selezionato 7 persone: sono riuscito a farli diventare 8 per gentile concessione dell’organizzazione».
E adesso cosa ne sarà del progetto? A che punto siete del lavoro?
«La selezione è avvenuta a marzo, il lavoro iniziato ad aprile con il primo appuntamento e per quattro giorni. Circa due settimane fa, abbiamo passato altri quattro giorni a Chiusi, nel secondo appuntamento dei quattro totali previsti prima del debutto al festival nei primi di agosto. A oggi, che maggio non è nemmeno finito, quell’esperienza è già morta, abortita, cancellata. Non ho parole per descrivere la violenza emotiva di questa situazione e il dispiacere profondo che mortifica. Mi dispiace essere stato complice involontario e ingenuo di questa storia, non aver potuto garantire io per tutti, me compreso, la serietà del lavoro. Siamo al punto che mi sono dimesso, anche se non ha valore nella tempistica dei fatti, ma è importante a questo punto per me e per la mia dignità. Dimesso dalla situazione, dal meccanismo, dal pensiero e da qualsiasi altro tentativo presunto, supposto o ulteriormente immaginato di proseguire. Siamo al punto che mi fa male ed è deprimente rendersi conto che in questo tempo di cui siamo tutti responsabili, nemmeno più la parola data ha valore. Non avevo personalmente firmato nemmeno un contratto e avrei rinunciato comunque a qualsiasi paga pur di alleviare la vergogna che mi vergogna davanti alle centinaia di richieste che sono arrivate, davanti ai ragazzi selezionati e davanti a me stesso. Scusate».
Che sviluppi prevedi?
«Spero che ci si possa vergognare tutti fino in fondo e da quel fondo cominciare a scavare».
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