Storia
Sarebbe stato bello conoscerti, Walter Benjamin! Buon Compleanno
Non so in quanti abbiano ricordato Walter Benjanin nel 125 anniversario della sua nascita (15 luglio 1892). Non importa.
E’ importante tuttavia trattenere una lezione. A me sembra interessante quella che riguarda come noi leggiamo la storia del passato o come noi coltiviamo il nostro rapporto col passato, senza nostalgia e con inquietudine. E crdo dica moltissimo di noi e poarli a noi, oggi.
“Lo storico è un profeta rivolto all’indietro”, aveva scritto Benjamin nel 1917. Riprendendo le stesse parole nelle note preparatorie alle Tesi sulla storia prosegue:
“Egli volta le spalle al proprio tempo; il suo sguardo di veggente si accende davanti alle vette degli eventi precedenti che svaniscono nel crepuscolo del passato. E’ a questo sguardo di veggente che il proprio tempo è più chiaramente presente di quanto non lo sia ai contemporanei che ‘tengono’ il passo con lui”.
Ma questo primo livello apre verso una diversa lettura. A metà degli anni ’30 Benjamin scrive nelle sue note su Parigi:
“Nella storiografia materialistica il momento distruttivo o critico si fa valere forzando la continuità storica, poiché soltanto così l’oggetto storico si costituisce per la prima volta. (…) La storiografia materialistica non sceglie a cuor leggero i suoi oggetti. Essa non li prende ma li fa deflagrare nel corso della storia. (…) il momento distruttivo della storiografia deve essere concepito come una reazione a una costellazione di pericoli che minaccia tanto quello che è tramandato, quanto il destinatario della tradizione. L’esposizione materialistica della storia muove incontro a questa costellazione di pericoli; in essa consiste la sua attualità, in essa deve preservare la sua presenza di spirito. (…) Là dove il pensiero si arresta in una costellazione satura di tensioni, appare l’immagine dialettica. (…) Essendo identica all’oggetto storico, essa giustifica la sua estrapolazione dal continuum del decorso storico.”
Lo sguardo indietro dell’angelo non si presenta solo come “nostalgia” o come ispirazione per un possibile futuro diverso – per un futuro anteriore (una prospettiva che significativamente Primo Levi farà sua nella seconda parte dei racconti proposti nella racconta Lilít e altri racconti), ma come segno di un diverso modo di concepire la storia. Al centro del rapporto con la storia non sta un dato gnoseologico (ovvero “conoscere la storia”), ma connettere al presente le possibilità interrotte nel passato e riammetterle come strumenti per un futuro possibile. Conoscere la storia diviene “impossessarsi del passato”, ovvero saperlo tradurre in atto politico. In questo senso riscattarlo.
Nel linguaggio di Benjamin l’espressione “impossessarsi del passato”, implica una doppia operazione. La prima è quella che essenzialmente è rivolta alla riscoperta di una dimensione “dimenticata”, “nascosta” o comunque “sopita” del passato. La storia in questo senso è anche una “contro-storia”. La seconda allude al saper cogliere ciò che ora in questo presente si rende immediato, necessario e anche scardinante del possibile recupero di “quel passato”. Non ciò che del passato è utilizzabile nel presente come “antidoto”, ma ciò che nel passato si propone come oppositivo a questo presente. Negli appunti per la stesura delle Tesi scrive Benjamin:
“Non è che il passato getti la sua luce sul presente o che il presente getti la sua luce sul passato: l’immagine è piuttosto ciò in cui il passato viene a convergere con il presente in una costellazione. L’immagine del passato che balena nell’adesso della sua conoscibilità – ovvero di un passato che non è morto – è, secondo le sue determinazioni ulteriori, un’immagine del ricordo. Assomiglia alle immagini del proprio passato che si presentano alla mente degli uomini nell’attimo del pericolo. Queste immagini, come si sa, vengono involontariamente. La storia, in senso rigoroso, è dunque un’immagine che viene dalla rammemorazione involontaria, un’immagine che s’impone improvvisamente al soggetto della storia nell’attimo del pericolo.”
Tuttavia nel processo di rammemorazione non sta tanto una dimensione salvifica del ricordo, quanto una possibile contromossa. La rammemorazione – e dunque la riemersione di qualcosa da una precedente condizione di oblio – non implica la riattivazione di un ricordo e dunque non richiama la funzione della memoria. Si fonda su un processo attivo, non rievocativo. La rammemorazione si accredita perciò come la fonte da cui proviene la storia.
Guardare indietro implica, così, ritrovare quelle circostanze che permettono di recuperare ciò che si è interrotto nella storia, e dunque di rimetterlo tra le cose che consentono un diverso sviluppo del presente, facendo in modo che si presenti una chance di futuro altro.
“Marx – scrive Benjamin negli appunti per la stesura delle Tesi – dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno.”
La rivoluzione, così, è ad un tempo, la rottura del continuum storico e la sua possibile inversione. Più precisamente: la rottura rivoluzionaria non si presenta come la conseguenza logica delle fasi precedenti della storia, ma come il venir meno del paradigma unilineare del tempo storico. In altre parole le rivoluzioni sono l’interruzione del processo lineare della storia, o meglio il non-momento della storia.
Per Benjamin, peraltro, questa proprietà non riguarda solo la “rivoluzione”, ovvero il processo di rovesciamento di potere, evento straordinario che interviene sulla linearità temporale inaugurando un “nuovo tempo”. Più generalmente essa si ritrova in qualsiasi gesto che renda impossibile la ripetizione e la prosecuzione nel tempo indefinito di un sistema dato di potere e di oppressione. (questione che sta al centro delle riflessione di Todorov nel suo Memoria del male, tentazione del bene)
Dunque, lo sguardo indietro dell’angelo suggerisce una cosa diversa. Dice che solo dal ricordo dell’oppressione e delle umiliazioni vissute e provate nel passato, si può produrre una forza capace di invertire o rovesciare la logica imperativa del presente. Ne discende che l’angelo della storia guarda indietro – e si rivolge al passato – perché il passato non è passato, perché tutti gli orrori del passato che possiamo anche ritenere lontani e superati, comunque collocati dietro di noi, hanno sempre la possibilità di ripresentarsi.
Lo sguardo indietro dell’angelo costituisce, allora, un possibile principio per una diversa dimensione della convinzione e della retorica politica.
Nella lotta politica, la forza, la capacità persuasiva, sono state riconosciute nel mito politico, nella capacità di proiezione sul futuro e nella prefigurazione di scenari armonici di radiosi domani. Forse la pratica di quello sguardo indietro – per quanto spesso intesa e spiegata come rifondazione del mito politico utopico – andrà colta come capacità operativa e riflessiva della memoria, ovvero come la possibilità che si mediti sul passato per evitare una sua ripetizione.
In questo confronto con la storia, in questo “corpo a corpo” col passato, tuttavia, viene a decadere una funzione che tradizionalmente le grandi collettività nazionali e i gruppi comunitari hanno affidato alla storia come fissazione di un calendario civile e come narrazione della propria origine.
La funzione assegnata alla storia a partire dalla costruzione dei grandi sistemi nazionali, infatti, è stata quella di fondare il criterio di identità. Ovvero ad essa è stato affidato il compito di definire l’essenza di sé. In breve la costruzione del kit simboli, di oggetti, di date memoriali e di gesti per rispondere alla domanda “Chi sono?” Riconsiderare il passato non in relazione a ciò che si è o in relazione a una metafisica dell’identità bensì in funzione a ciò che si è fatto, implica scegliere la storia come luogo in cui non si aderisce a una formula, ma si rimedita su ciò che è accaduto e si agisce per un esito diverso, non automatico e, soprattutto, non garantito da alcuna metafisica consolativa.
Non c’è alcun futuro salvifico nella riflessione sulla storia e sul passato, ma solo la possibilità di inventare e trovare nuove vie per non uscire nuovamente sconfitti.
Lo sguardo al passato senza nostalgia alla fine allude a questa possibilità o indica questo percorso e, forse, costituisce un invito e, anche, un auspicio.
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