Storia
Oppressioni e liberazioni del ‘900 in mostra a Torino
Musei, archivi, biblioteche insieme, a riflettere trasversalmente, ciascuno con i propri strumenti, su questioni di contenuto, di gestione e di futuro. Se ne parla da tempo, nella fattispecie è il progetto del MAB, il coordinamento nato nel 2011 dalle tre grandi associazioni professionali di categoria, il cui ambizioso progetto è quello di uno scambio di competenze che arricchisca i settori disciplinari, sincronizzi per quanto possibile gli strumenti, semplifichi la comunicazione.
Che cosa succede quando una città come Torino decide di far convergere in un unico luogo, in questo caso due palazzi prospicienti, alcuni fra i suoi più importanti archivi storici, insieme a 300mila volumi, sviluppando intorno a questi fondi anche un progetto espositivo e didattico?
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Ha aperto le porte da pochi giorni, nei Quartieri militari progettati da Filippo Juvarra, il Polo del ‘900. Co-progettato da Comune, Regione Piemonte e Compagnia di San Paolo, è un luogo di conservazione di archivi, una biblioteca, uno spazio per incontri, mostre e laboratori rivolto “soprattutto alle giovani generazioni e ai nuovi cittadini”. Fra i partner dell’operazione vi sono il Museo Diffuso della Resistenza, l’Unione Culturale Antonicelli, il Centro Internazionale Primo Levi, l’Istituto di Studi Storico Gaetano Salvemini, l’istituto Gramsci e numerosi altri. L’architettura del progetto si regge sulla partnership fra i diversi enti che formalmente conservano la loro autonomia, missione e statuto, condividendo gli obiettivi e i progetti specifici che riguardano il Polo. In tanti si interrogano sulla reale sostenibilità del progetto e indipendenza di questi enti, nel momento in cui una così grande parte dei finanziamenti è erogata da una fondazione bancaria. Staremo a vedere.
Laboratorio di riflessione sul secolo scorso a contatto con il nostro, lo spazio espositivo del Polo del ‘900 ha aperto con la mostra Lungo un secolo. Oppressioni e liberazioni nel Novecento, visitabile fino a novembre e curata da Guido Vaglio, direttore del Museo Diffuso della Resistenza, Enrico Donaggio, professore di Filosofia morale all’Università di Torino e Presidente dell’Unione Culturale Antonicelli, e Peppino Ortoleva, studioso di comunicazione e a sua volta docente all’Università di Torino.
La scelta curatoriale si basa sulla giustapposizione di quattro binomi, altrettante tensioni fra cui si è sviluppato il XX secolo: umani e macchine, donne e uomini, i bianchi e gli altri, potere e resistenze. Per ciascuno è stato realizzato un montaggio di video d’archivio ed è stata commissionata una tavola ad altrettanti illustratori: Fabio Ramiro Rossin, Gabriella Giandelli, LRNZ e Serena Schinaia. Un’illustrazione di Igort & Leila Marzocchi, dedicata a viaggi scelti o forzati, chiude la sala; in quella successiva viene proiettato video Lungo un secolo, che declina il tema, così centrale per il XX secolo, dello spostamento di persone e popoli.
Realizzata con la collaborazione degli scenografi del Teatro Regio di Torino, la mostra – di fatto un’installazione video con vocazione soprattutto didattica – è stata in parte sacrificata dalla riduzione degli spazi previsti in un primo tempo, ma riesce a sollecitare tante domande e a porsi in risonanza armonica con il resto del Polo.
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Le domande nascono anche dal fatto che, visivamente, i quattro video possono essere abbracciati anche in un unico sguardo; ed ecco che, per esempio, l’arrivo della nave albanese Vlora nel 1991 si sovrappone con il viso impassibile di Adolf Eichman che ripete ossessivamente: non potevo fare altro, non avevo scelta. E passano nella mente tanti altri sbarchi, omissioni, salvataggi, scelte politiche paralizzanti, atti di coraggio dei singoli, in un mosaico che ciascuno compone dentro di sé, mentre le immagini scorrono. In questo senso, la scelta di creare un ambiente raccolto, intimo, è vincente: la visione deve essere individuale, le risonanze personali. Una grande infografica a tutta parete, progettata soprattutto per le scuole, fornisce una cornice di riferimento.
La sfida di raccontare le tensioni del XX secolo attraverso parole-chiave è molto complessa e affascinante; è probabilmente quella giusta in uno spazio che non ha una vera e propria vocazione museale, ma che si propone di mettere a fuoco alcuni nodi critici, affrontandone la complessità.
I testi che accompagnano la mostra, sintetici e chiari, partono dal dato di fatto del tramonto della fiducia politica nella storia, dall’emergere di nuove forme di fanatismo religioso nella nostra epoca, di una lampante contemporaneità della parabola rivoluzione-oppressione che ha caratterizzato il secolo scorso.
Quale, dunque, l’interpretazione del secolo breve che emerge dalla mostra? Nessuno sguardo consolatorio, nessuna zona di comodità da cui guardare al passato con un sospiro di sollievo. La polarità fra oppressione e liberazione viene portata alle soglie della contemporaneità, fatta esplodere a scala mondiale, ribadita nella sua ridondanza. E colpisce vederla scorrere sugli schermi, in tante vesti, luoghi, contesti differenti. Del ‘900 viene evidenziato soprattutto l’aver scardinato alcuni fenomeni che apparivano immutabili (attraverso la ridefinizione del ruolo femminile, per esempio, o la rivolta degli afroamericani) seguendo un complesso intreccio di processi storici, politici, sociali, culturali.
Di fatto, la mostra non si propone di interpretare il secolo scorso, ma di interpellarlo, a partire da alcuni macrofenomeni che lo hanno caratterizzato e di cui ancora viviamo le conseguenze. Come si legge nel testo critico che accompagna la mostra, “non si vuole qui raccontare un secolo, ma interpellarlo. Non proporne un quadro complessivo, ma scomporlo in una serie di contraddizioni irrisolte”. Frizioni, antinomie, spinte in avanti e poderosi ritorni indietro scorrono sugli schermi, in un montaggio serrato e avvincente.
Ma perché, di tutte le tensioni del XX secolo, si è scelto di concentrarsi su queste in particolare? Che cosa è rimasto fuori? Come dice Guido Vaglio, che già aveva accolto al Museo Diffuso della Resistenza la preziosa mostra Turin Earth: città e nuove migrazioni (curata da Carlo Capello, Pietro Cingolani e Francesco Vietti), altri binomi potevano essere inseriti, fra cui per esempio religione/secolarismo o guerra/pace. La scelta è stata quella di concentrarsi sul sottotitolo della mostra, “oppressioni e liberazioni”, con l’ambizione di suscitare domande e riflessioni, più che di fornire delle risposte. Non si trattava dunque di interpretare, ma di affermare quali problemi si sono posti, quali si sono ripresentati nel 2000, quali ancora sono vivi.
Nelle parole di Vaglio “la mostra non ha mai una visione ideologica e lineare, è volutamente molto frammentata: liberazione e oppressione non sono considerati due poli di una dinamica lineare, ma momenti che spesso si succedono. Abbiamo voluto evidenziare la complessità e la non-linearità di questo processo, senza la presunzione di interpretare un secolo”.
Lo spazio espositivo del Polo del ‘900 ospiterà anche conferenze, spettacoli e presentazioni: per questo motivo non vi sono esposti materiali originali. Sarebbe interessante considerarlo un laboratorio di rappresentazione a tutti gli effetti, in cui contaminare sguardi, linguaggi e pratiche espressive partendo da punti di vista diversi e inaspettati: continuando la riflessione così densa di Turin Earth, i prossimi artisti, illustratori, videomaker, saranno anche cittadini di seconda o terza generazione, e sarebbe coraggioso far ascoltare proprio qui delle possibili riletture della storia del secolo passato.
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E poi la città che si è trasformata, il senso di una memoria strattonata da tutte le parti e a forte rischio di logoramento, i diritti ancora da rinegoziare, l’evoluzione della famiglia, i consumi, i movimenti culturali, le periferie: tanto avrà da dirci questo nuovo spazio espositivo.
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