Storia
Gli aerofoni, ovvero perché perdemmo la guerra
Qualche settimana fa una newsletter fotografica a cui sono iscritto mi ha recapitato l’immagine di un soldato italiano, sotto lo sguardo di Benito Mussolini, di gerarchi fascisti e alti ufficiali, con le cuffie collegate ad alcuni giganteschi altoparlanti o, almeno, io ho creduto fossero tali. Era la copertina dell’Illustrazione Italiana del 27 agosto 1939 e mostrava quello che la difesa aerea considerava al tempo un potente ritrovato tecnologico. Incuriosito, ho fatto qualche ricerca per scoprire che si trattava di un aerofono e ho pensato che fosse perfetto come soggetto di un post per il 25 aprile, anniversario della Liberazione e della fine della Seconda Guerra Mondiale. Che si sia trattato della più sciagurata avventura dall’unità a oggi, questo strano apparecchio ne è la testimonianza, dimostrando tutto il divario tecnologico esistente tra l’Italia e le principali nazioni in conflitto. Si trattava in pratica di un intensificatore di suoni, una sorta di microfono direzionale che permetteva di captare i rumori a lunga distanza e individuare così la direzione di provenienza di aerei nemici. Per il suo utilizzo venivano impiegati in prevalenza ciechi così da sfruttare la maggiore sensibilità acustica.
Concepita durante la Prima Guerra Mondiale, agli albori dell’aviazione militare, questa tecnologia poteva considerarsi obsoleta all’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale. Mentre inglesi, americani, russi e tedeschi (tra gli altri) avevano portato avanti le ricerche sulle onde elettromagnetiche che avrebbero consentito lo sviluppo e l’utilizzo del radar già nei primi anni di guerra, in Italia la difesa dagli aerei nemici era affidata al rilevamento delle onde acustiche. E fu una delle concause del successo dell’operazione “Judgment”. Alle 22.58 dell’11 novembre 1940 la marina britannica attaccò la baia di Taranto mandando a picco la corazzata Cavour, dannenggiando gravemente le corazzate Littorio e Duilio, colpendo l’incrociatore Trento, due cacciatorpediniere, immobilizzando metà della squadra navale regia e ponendo fine alla supposta supremazia italiana nel Mediterraneo. I venti aerosiluranti inglesi decollati dalla portaerei Illustrious, in avvicinamento del bersaglio, avevano infatti spento i motori per non essere identificati, vanificando così la stazione di aerofoni posta a guardia del porto.
La mancanza di risorse per finanziare gli studi sul radar, aveva spinto l’Italia a investire negli aerofoni. Costruiti dalle Officine Galileo di Campi Bisenzio (oggi Leonardo, già Finmeccanica), erano rudimentali sistemi di intercettazione acustica. Come detto, gran parte del personale impiegato per il loro utilizzo era non vedente e tra il 1940 e il 1943 furono quasi novecento i ciechi a superare i test attitudinali per diventare “ascoltatori”. Secondo i comandi militari italiani gli aerofoni, rispetto ai radar e ai sonar che funzionano con l’eco delle onde trasmesse, avevano il vantaggio di non essere individuabili in qunto strumenti meramente passivi. In realtà, vista anche la scarsa portata, gli aerofoni furono presto superati.
Rudimentali ma non quanto i muri d’ascolto o muri acustici, strutture in muratura a superficie piana o parabolica con una fossa rotonda al centro dove talvolta veniva posizionato l’aerofono, ma più spesso il soldato non vedente che grzie alla sua sensibilità captava il rumore dell’apparecchio nemico in avvicinamento, ne individuava la direzione spostandosi su una bussola girevole là dove l’intensità del suono era maggiore e dava l’allarme. Il sistema era talmente semplice che alcuni storici non esitano a definire questo strumento “paleolitico” rispetto alle tecnologie disponibili all’epoca.
Dei numerosi muri d’ascolto costruiti ne sono sopravvissuti due: uno a San Placido Calonerò (Messina) nei pressi dell’Istituto Agrario Cuppari e uno sul monte Patella nell’isola di Leros, nel Dodecaneso che fino al 1943 era territorio italiano. Quest’ultimo è stato restaurato di recente grazie al lavoro di unno storico italiano, Luciano Alberghini Maltoni, che ha fondato il sito Dodecaneso.org.
Devi fare login per commentare
Accedi