Storia
80 anni dall’Armistizio: come si arrivò all’8 settembre 1943
Oggi ricorre l’ottantesimo anniversario dell’annuncio dell’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati Anglo-Americani. L’8 settembre 1943, tramite un proclama del maresciallo Pietro Badoglio, venne infatti reso pubblico l’Armistizio di Cassibile, firmato il 3 settembre nella località siciliana da cui prese il nome.
L’accordo prevedeva la resa incondizionata dell’Italia e l’abbandono dell’alleanza con la Germania di Hitler. La firma sarebbe dovuta rimanere segreta per cinque giorni. Proprio l’8 settembre alle ore 17:30 (le 18:30 italiane) il generale Dwight Eisenhower ne diede notizia su Radio Algeri, mentre il proclama di Badoglio fu trasmesso alle 19:42 dai microfoni dell’Eiar.
Questa data segnò l’inizio della terribile occupazione tedesca dell’Italia, ma anche la nascita del movimento che avrebbe portato il nostro Paese ad un nuovo inizio libero e democratico: la Resistenza.
Come si arrivò all’Armistizio
Tra il 1942 e il 1943 si concretizzò una svolta decisiva che interessò tutti i fronti di guerra del secondo conflitto mondiale.
I primi segnali di un’inversione di tendenza nei rapporti di forza arrivarono dalle prime sconfitte del Giappone nelle battaglie che lo vedevano opporsi agli statunitensi nell’Oceano Pacifico nei mesi di maggio e giugno del 1942.
Alla fine di quell’anno anche nell’Atlantico ci fu un sensibile cambiamento dovuto ai miglioramenti tecnologici che britannici e statunitensi riuscirono a mettere in atto, evitando così che i tedeschi, con i loro sottomarini, continuassero a colpire le navi che trasportavano armi e approvvigionamenti tra le due nazioni alleate.
Due furono le battaglie che segnarono definitivamente l’andamento della parte finale della guerra: la battaglia di Stalingrado e quella di El Alamein.
Una volta sconfitti i nazi-fascisti su questi due strategici fronti, gli alleati poterono iniziare a organizzare lo sbarco in Europa, considerata la fortezza degli italo-tedeschi.
Intanto con la conferenza di Washington (dicembre 1941-gennaio 1942) trovarono accordo tutte le 26 nazioni in guerra contro il Tripartito arrivando a firmare il patto delle Nazioni unite, in cui si impegnavano a combattere le potenze fasciste tenendo fede ai principi della Carta atlantica e, soprattutto, a non concludere armistizi o paci separate.
Nella successiva conferenza di Casablanca del gennaio 1943 si aggiunse un altro tassello agli accordi, l’accettazione del principio della resa incondizionata, che non prevedeva alcun tipo di trattative con gli avversari e tranquillizzava i sovietici sulla serietà dell’impegno alleato.
Alcuni contrasti con l’Unione Sovietica riguardarono la decisione su tempistiche e modalità da seguire per l’apertura di un secondo fronte europeo: Stalin avrebbe preferito uno sbarco immediato nell’Europa del nord per far diminuire la pressione dei tedeschi sull’Urss, ma la decisione finale fu quella proposta da Churchill, ossia in primis la chiusura del fronte africano e poi lo sbarco in Europa meridionale, in particolare in Sicilia, in quanto sia le forze militari italiane che il regime fascista versavano in un profondo stato di crisi; inoltre era logisticamente più semplice lo spostamento di truppe dal Nord-Africa alla Sicilia.
Il primo sbarco degli alleati avvenne quindi il 12 giugno 1943 a Pantelleria e successivamente, il 10 luglio, le truppe alleate arrivarono in Sicilia conquistandola in poche settimane.
La situazione siciliana era quella prevista da Churchill e le poche difese dell’isola non riuscirono a contenere gli alleati, che non trovarono nessuna ostilità neanche da parte dei locali che anzi li accolsero come liberatori.
Con lo sbarco degli alleati il fascismo toccò un punto di non ritorno, ma la crisi che lo attraversava già da tempo riguardava il malcontento popolare per le condizioni delle città dopo i bombardamenti e la crisi alimentare.
Il regime, già screditato dai continui insuccessi militari, si trovò a dover fronteggiare una serie di scioperi operai nelle grandi città industriali (Torino in particolare) e l’organizzazione di attività legate a nuclei clandestini comunisti.
La fine del fascismo e la caduta del suo capo carismatico non furono però causate dal malcontento popolare, quanto da una “congiura monarchica” che riguardava le alte sfere del sistema politico-economico.
Era parere comune di alcuni esponenti del mondo militare, degli industriali, e in particolare dei sostenitori della Corona e di un’ala monarchica-conservatrice del Partito fascista, che il re dovesse riprendere il comando supremo delle Forze armate e, in quanto unica figura di riferimento indipendente da Mussolini, dovesse guidare un fronte che escludesse il duce dalla vita politica per portare il Paese fuori da una crisi ormai insormontabile.
La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 si tenne una riunione del Gran consiglio del fascismo nella quale venne votato e approvato, con una forte maggioranza, l’ordine del giorno a firma di Dino Grandi che invitava il sovrano a riprendere il controllo dell’esercito e che di conseguenza sfiduciava Benito Mussolini.
Il pomeriggio stesso Vittorio Emanuele III convocò Mussolini, lo invitò a dimettersi, e lo fece arrestare. Il maresciallo Pietro Badoglio, già comandante delle forze armate, venne nominato nuovo capo del governo.
L’Italia venne attraversata da un’onda di “giubilo” che portò la gente a festeggiare per la caduta del regime scagliandosi contro simboli e sedi del
fascismo, ma senza spargimento di sangue.
Prima che il nuovo governo sciogliesse d’autorità l’apparato fascista non vi era ormai più nessuno che ne difendesse gli ideali o la storia: il fascismo con i suoi apparati era svanito nel nulla.
La gioia degli italiani era stata provocata da due fattori: il primo riguardava il declino che il fascismo aveva attraversato, il secondo era legato alla speranza che alla caduta del duce corrispondesse un’immediata fine del conflitto, cosa che non sarebbe potuta accadere, in realtà, data anche la nutrita presenza sul territorio nazionale di contingenti militari tedeschi.
Nonostante le dichiarazioni del nuovo capo del governo affermassero che nulla sarebbe cambiato nell’impegno italiano, si iniziarono a intavolare segreti negoziati con gli alleati per giungere a una pace separata, ma gli alleati erano vincolati dal patto della resa incondizionata e l’Italia non poté avere nessuna garanzia sul futuro.
Il 3 settembre venne firmato l’armistizio che, in concomitanza con uno sbarco alleato a Salerno, venne reso noto l’8 settembre. Dopo l’annuncio dell’armistizio il caos si impadronì del Paese.
Vittorio Emanuele III e il governo ripararono a Brindisi sotto la protezione alleata mentre l’esercito, rimasto senza un comando centrale, si sbandò non riuscendo a opporsi ai tedeschi che occuparono il Nord-Italia. Anche Roma fu abbandonata e l’unica difesa era costituita da alcuni reparti isolati e da gruppi di civili che diedero vita al primo episodio della Resistenza (scontri di Porta San Paolo). Le conseguenze furono disastrose: oltre 600.000 militari deportati in Germania e numerosi casi di resistenza culminati in veri e propri massacri da parte dei tedeschi.
L’Italia era tornata a essere campo di battaglia di eserciti stranieri per la prima volta dalle guerre napoleoniche e la linea difensiva (Gustav), che andava da Gaeta alla foce del Sangro (a sud di Pescara), aveva in Cassino il suo punto nodale.
I tedeschi riuscirono a bloccare l’avanzata alleata e l’Italia dovette vivere i momenti più bui della sua storia unitaria.
I fatti successivi sono noti, come è noto che le forze politiche antifasciste (comunisti, socialisti, democristiani, azionisti, liberali) il 9 settembre 1943 diedero vita al Comitato di Liberazione Nazionale. Il CNL nei due anni successivi sarà capace di compattare tutta la Resistenza e darle una guida politica e militare che portò, con l’aiuto degli Alleati, alla Liberazione.
Se l’Italia è oggi un Paese libero e democratico lo dobbiamo a chi ha combattuto il fascismo e il nazismo, alle donne e agli uomini che in ogni modo possibile hanno contrastato un regime (e un’invasione) che mai potrà avere giustificazione. Non ci sono MA, non ci sono scusanti o “ha fatto anche cose buone”. Il nazifascismo è stato e sempre sarà un delitto, un abominio, non certo un’idea che possa pretendere la libertà di esprimersi al pari delle altre, perchè il nazifascismo è esattamente la negazione di ogni libertà.
Devi fare login per commentare
Accedi