Tennis
Qualche considerazione sulla finale degli Us open maschile
Lo Us open maschile si è concluso l’altro ieri. La finale si è svolta con oltre tre ore di ritardo rispetto all’inizio previsto del match, causa pioggia copiosa, i pronostici sono stati rispettati.
Djokovic è riuscito (ancora una volta) a battere Federer in un torneo dello slam, sebbene lo svizzero sia apparso superiore in diversi frangenti del match, complice anche un pubblico tutto schierato dalla sua parte (pubblico americano che si è rivelato per l’occasione becero, estremamente partigiano e gravemente scorretto nei confronti di Djokovic, arrivando persino ad applaudire o invocarne gli errori ed esaltandosi invece in maniera sguaiata per ogni punto ottenuto da Federer). Credo proprio che per Djokovic l’aspetto più difficile da gestire nel match non sia stato il fronteggiare un avversario in grande condizione, ma riuscire a mantenere alta la concentrazione con un tifo da stadio così ostile.
Il match è stato molto intenso dal punto di vista agonistico, equilibrato, anche se tecnicamente non eccelso per i troppi errori da ambo le parti.
Inaspettatamente lo svizzero è stato migliore col rovescio – sontuoso – che non col il diritto. I punti più belli li ha fatti lui; djokovic come al solito è stato un campione di resistenza ed efficacia da fondo campo.
Più che vincerlo Djokovic, l’incontro lo ha perso Federer, che non ha sfruttato le tante occasioni concesse da un avversario non in una delle sue giornate migliori (4 palle break su 23 non convertite, il 17%: un numero troppo basso, che da solo spiega il motivo per cui non ha vinto). Teoricamente, infatti, avrebbe potuto vincere i primi tre set le avesse giocate meglio.
A tennis non vince il più talentuoso né chi fa più vincenti, ma chi ottiene i punti più importanti, cioè quelli che determinano l’andamento e l’esito del match. E Roger Federer è stato poco accorto e impreciso nei momenti decisivi.
La mia impressione è che Federer subisca psicologicamente il serbo (anche se non lo soffre sicuramente come Nadal, che è la sua bestia nera).
Quando Federer deve giocare contro di lui raramente vince (se non in tornei meno importanti). Più spesso, ed ultimamente è una costante nei tornei dello slam, ci perde, anche lottando con orgoglio, perché non ci crede mai davvero abbastanza. Non è un caso se i confronti diretti tra i due sono in perfetta parità (21 vittorie a testa), ma gli ultimi se li è aggiudicati quasi tutti Djokovic.
La sintesi migliore del match l’ha fatta Stefano Semeraro, de La Stampa, su twitter: Federer è il giocatore che gioca meglio a tennis; Djokovic è il più forte.
Sebbene non sia mai stato così vicino dal farcela come questa volta, penso abbia ragione Ubaldo Scanagatta, il quale un anno fa scrisse che Federer non avrebbe più trionfato in uno slam e che, semmai invece accadrà, sarà Wimbledon quello in cui ha maggiori possibilità di farcela.
Il perché è presto detto.
L’età avanza e si fa sentire. Federer ha 34 anni compiuti da poco e va verso i 35, età da pensionamento per la maggior parte dei tennisti (in campo femminile, e per diverse ragioni, Serena Williams che è sua coetanea rappresenta per ora un’ eccezione).
Finché si tratta di giocare al meglio dei tre set (come avviene in tutti gli altri tornei minori) il campione elvetico rimane molto competitivo, non per niente è ancora il numero 2 del mondo.
Ma nonostante una forma fisica ritrovata, Federer fatica a reggere match al meglio dei 5 set (nell’arco di due settimane).
In questo torneo peraltro, prima di giungere in finale, ha sempre vinto in tre set, giocando magnificamente e annichilendo i suoi malcapitati avversari (chiedere a Wawrinka o a Gasquet).
Inoltre c’è da tener presente un dato tutt’altro che marginale e che spiega bene il perché di questa valutazione. L’ultimo torneo dello slam vinto da Federer risale a ben 3 anni fa (Wimbledon 2012), l’unico conquistato negli ultimi 5 anni. Il trend è quindi sfavorevole; difficile sovvertirlo.
Chiaramente ci si può sbagliare; il futuro si incaricherà di smentire o avallare questa previsione.
Se ad esempio Djokovic in uno dei prossimi tornei dello slam fosse eliminato prematuramente, Federer potrebbe anche farcela a vincerne un altro.
La fortuna, intesa in senso machiavelliano come insieme di circostanze favorevoli, è un fattore imponderabile e insieme determinante, nella vita come in ogni attività umana, sport compreso. Ne è un fulgido esempio la finale tutta italiana in campo femminile: nessuno avrebbe mai pensato fosse possibile si verificasse una cosa simile, e anche se pare tuttora incredibile, è successo davvero. Men che meno si poteva ipotizzare alla vigilia del torneo una vittoria di Flavia Pennetta, giocatrice solida e tecnicamente completa, che però prima di questi us open come migliori risultati in carriera poteva vantare solo la vittoria un po’ fortunosa nel torneo di Indian Wells e il raggiungimento di due semifinali slam (agli Us open 2013 e all’ Australian Open 2014); oppure, rimanendo in tema – e si tratta della più clamorosa sorpresa nella storia del tennis femminile – la vittoria di Roberta Vinci contro Serena Williams, vale a dire quella che è – anche senza aver conseguito il grande slam, come tutti si aspettavano – la più forte tennista (o sportiva donna?) di tutti i tempi,
Certo, nel tennis femminile vige un’incertezza maggiore e, rispetto al maschile, è più facile che si verifichino episodi simili
In primo luogo perché c’è un equilibrio maggiore. Non c’è tutta questa differenza fra la numero 5 e la numero 30, mentre nel maschile tra i primi due (e in un recente passato i primi 4, djokovic, Nadal, Federer, Murray) e gli altri c’è un abisso.
Poi perché il tennis femminile è uno sport maggioramente dominato da fattori emotivi e psicologici – basti pensare ancora alla Williams che, a due partite dal grande slam, attanagliata dalla tensione, perde contro un’avversaria, Roberta Vinci, sì molto dotata tecnicamente (un tennis delizioso, d’antan, unico nel circuito femminile di oggi), ma che aveva sempre battuto in passato, e, a parte l’ultimo recente precedente un po’ più combattuto, sempre con irrisoria facilità. I lettori mi perdoneranno se mi ci soffermo ancora, ma non si può non parlarne anche se l’articolo è dedicato alla finale maschile: quello che è accaduto in campo femminile, con la sconfitta della Williams per mano della Vinci, è davvero qualcosa di incredibile.
Per dare un’idea della portata dell’impresa realizzata dalla Vinci: le ultime a battere Serena nel torneo americano sono state Clijsters nel 2009 e Stosur nel 2011, tutte le ultime tre edizioni del torneo sono state appannaggio della tennista afroamericana, che ha vinto il torneo per ben 7 volte; Serena non aveva mai perso una partita in un torneo dello Slam quest’anno e complessivamente è stata pressoché imbattibile (53 partite vinte e 2 perse prima del match con la Vinci).
Tornando agli uomini: il panorama tennistico mondiale in questo momento non vive una fase di grande splendore.
Nadal è in grave declino psicofisico e forse non tornerà più il campione di un tempo.
Wawrinka è scostante, ingiocabile solo quando azzecca la settimana perfetta (come durante l’ultimo Roland Garros quando guastò il sogno di Djokovic di realizzare il grande slam).
Murray è sempre titubante, le giovani promesse (Dimitrov, Raonic ecc) faticano ad emergere.
Se questo è lo scenario che ci si prospetta, Djokovic potrebbe instaurare un dominio incontrastato e assoluto.
Questo è stato il suo anno migliore, persino più del 2011 (e anche allora conquistò 3 slam, gli stessi del 2015 mancando il Roland Garros).
Con la vittoria in questa edizione degli Us Open, ha incamerato il decimo slam.
Non è molto lontano dai 14 di Nadal né, se gioca ancora questi livelli per un po’ di anni, dai 17 di Federer.
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