Tennis
La solitudine dei campioni e la classe dei mediani
Quello che è successo oggi sui campi di Flushing Meadows è sicuramente qualcosa di storico nel tennis, e per il nostro paese. Non si era mai vista una finale tutta italiana di un torneo del grande slam nell’epoca open.
Nella prima semifinale un’esperta Pennetta, testa di serie numero 26 ha battuto la numero 2, la rumena Simona Halep, candidata alla vigilia ad esser colei che avrebbe potuto rovinare la fiaba che tutti, non solo gli statunitensi aspettavamo: Serena Williams vincere il Grande Slam così come fece l’ultima volta Steffi Graf nel lontano 1988. C’era ancora il muro di Berlino!
E qui entrano in gioco vari elementi, degni delle migliori sceneggiature dei film sportivi, quelli che costruiti su narrazioni a volte scontate, ci guidano in un percorso ad ostacoli dove i nostri, toccano il fondo, si rialzano e tra mille difficoltà raggiungono l’ambito obiettivo.
Intro
Serena Williams è probabilmente la sportiva più grande di sempre. A 34 anni è nel pieno della sua forma fisica – su quella mentale ne parlo in seguito. Sin dalla vittoria a Melbourne a inizio stagione si é palesata questa figura mitica – e ingombrante – del Grande Slam, e un po’ tutti gli appassionati, vista la compattezza e la classe che non ha pari nel circuito, piano piano abbiamo accarezzato la certezza che fosse una predestinata. Il Grande Slam 2015 era alla sua portata. E siamo così giunti alla semifinale di oggi.
Dall’altro lato si trova di fronte, la mingherlina, 162 cm di altezza, Roberta Vinci. Roberta ha 32 anni, è numero 43 del mondo ed il suoi migliori risultati in tornei di singolare del grande slam sono gli ottavi di finali raggiunti sia a Parigi che a Wimbledon. È una grande doppista. In coppia con la connazionale Sara Errani ha vinto tutti e quattro i tornei dello Slam. Il valore aggiunto dato dall’esperienza in doppio si rivelerà il leitmotif dell’odierna giornata, per entrambe le semifinali.
Per via di una call con un’amica che lavora per l’azienda francese Vinci, accendo la tv quando è appena finito il primo set: un secco, previsto e comodo 6-2 per Serena. Sono ancora ebbro di gioia per la vittoria di Flavia Pennetta sulla rumena Simona Halep, testa di serie numero 2 e destinata, sulla carta, ad esser l’unica giocatrice che avrebbe dovuto mettere in dubbio il raggiungimento del Grande Slam della Williams. Anche in questo match l’italiana di turno partiva sfavorita. Ma la classe e la capacità di variare il gioco della nostra ha prevalso.
La solitudine dei campioni
Ma ritorniamo all’incontro Vinci-Williams. Sono già contento che vi sia un’italiana in finale per cui lo guardo conscio del fatto che a livello tecnico non vi sia proprio partita. Si erano incontrate in precedenza quattro volte: tutte vittorie in due set per la giocatrice statunitense. E Serena aveva vinto tutti e 38 (tra semifinali e finali dello Slam) gli incontri nei quali aveva vinto il primo set. Non c’era partita.
Ma la vedo nervosa. Ricollego l’intervista del giorno prima, nella quale con un po’ d’ironia risponde ad una domanda stupida, ma mostra segni di stanchezza fisica e psicologica. La pressione si fa sentire. Tutti si aspettano che vinca le prossime due partite. E se non lo fa, dipenderà solo da lei.
I commentatori polacchi di Eurosport, si stupiscono quindi quando la Vinci mantiene i propri turni di battuta di seguito, uno dietro l’altro. E in quei momenti percepisco che anche per Serena incomincia a montare il nervosismo. Non sembra più una passeggiata e la sua avversaria risponde ad ogni stimolo. Anzi, fa anche dei bei punti a rete, attaccandola. E come già successo in altri slam, quest’anno, Serena quando commette degli errori non forzati contro avversarie di più basso valore tecnico, diventa visibilmente nervosa, lancia urli di sofferenza, borbotta. Addirittura, se non erro, ad inizio secondo set, noto che non va neanche a sedersi al cambio di campo, passa direttamente dal lato opposto rispetto a quello nel quale siede il giudice di sedia e si fa trovare pronta per ricevere il servizio. Ha fretta.
Per un attimo, mi ricorda Ritchie Tenenbaum, il personaggio de “The Royal Tenenbaums” (film culto) interpretato da Luke Wilson: un simil-Bjorn Borg, campionissimo di tennis che sul più bello, abbandona la partita e il tennis, senza mai spiegare il perché. Aggiungo io per la troppa tensione e infelicità.
Ma è sempre Serena e dall’altra parte c’è Roberta Vinci. In più il pubblico di casa, supporta la sua eroina. E l’Arthur Ashe Stadium è una bolgia.
E così succede l’inaspettato: Roberta Vinci fa il break e passa a condurre 3-2 e servizio. E in un crescendo di tensione, si aggiudica il set 6-4. Facendo il suo, mantenendo il servizio e attaccando quando l’avversaria glielo permette. Incredibile. Già questo basterebbe per conservare un bel ricordo della semifinale.
Così inizia il terzo set. Serena parte determinata. Si gasa coi primi colpi vincenti. E ottiene il break al secondo gioco passando in vantaggio 2-0. A questo punto da tifoso, sono cosciente dei limiti della mia connazionale, specie nei prolungati scambi da fondo campo, la differenza di potenza é vistosa, così come nel servizio. La Williams serve a 200 km/h contro i 160 della Vinci. Quindi ci può stare.
E invece si rialza subito e recupera il break di vantaggio e riportandosi sul 2-2. E Serena sprofonda sempre di più in un dramma interno che mi ricorda la solitudine dei campioni di tennis, raccontata magistralmente da Andre Agassi nel famosissimo e consigliatissimo Open.
In tutto questo, assistiamo ad uno spettacolo, fatto di nervi, di punti sudati e punti regalati. E la bellezza sta anche nello stile e nelle caratteristiche delle due giocatrici: il gioco della campionissima é muscolare, moderno, rapido ed essenzialmente basato su servizio e colpi da fondo campo. La nostra connazionale invece gioca un tennis d’altri tempi: più leggero, sinuoso, offensivo nel senso che il punto se lo va a prendere rete. Con classe. In questo momento si materializzano i nervi saldi della doppista e la capacità di variare gioco e strategia. Punto forte che é emerso anche nella prima semifinale, nella quale la Pennetta, anche lei ottima doppista, ha giocato d’esperienza e di fioretto. Alternando rovesci incrociati imprendibili da fondo campo, a palle corte e chiusura a rete con volée stupende e rare nel tennis femminile. Proprio come fa Roberta a conclusione di un punto strepitoso, sul 3-3 nel set decisivo, servizio e vantaggio Williams. Se lo avesse perso sarebbe andata sotto 3-4.
Proprio questo punto ha fatto il giro della rete per via della sua esultanza che fa molto Italia. E quando questa esultanza folkloristica si accompagna al talento, la nostra immagine all’estero ne trae solo benefici.
https://www.youtube.com/watch?v=HnRm2d-JFJ8
E così, vincendo il gioco e rubando il servizio all’avversaria, da un probabile 3-4 si porta sul 5-3. La Williams, riesce a mantenere il suo servizio e qui si arriva al momento della verità.
#USOpen2015 @roberta_vinci serving for the final. The moment of truth.
— 🕷Francesco Carollo 🇪🇺🇬🇧🇮🇹 3.5% (@Innovandiamo) September 11, 2015
Quello che può definire la qualità di una carriera. Ma Serena non ci sta più con la testa. Non vede l’ora di uscire dal campo. E così subito tre match-point. E abbiamo due italiane in finale per la prima volta in un torneo dello Slam. Entrambe pugliesi. Roberta Vinci vive a Palermo, nella mia città d’origine, allenato da quel Francesco Cinà che era una promessa a livello giovanile almeno quando frequentavamo lo stesso circolo che organizzava gli Internazionali di Sicilia. Lo stesso che nell’88 vide vincere Mats Wilander, subito dopo aver vinto l’US Open – il suo terzo slam di quell’anno quasi perfetto. Ora Wilander fa il commentatore puntale e coi giusti tempi televisivi proprio per Eurosport. Tutto torna.
La Classe dei Mediani
Racconta lei stessa la chiave per la vittoria che è considerata “la sconfitta più inaspettata nella storia del tennis:” ho provato a concentrarmi solo sul punto che dovevo giocare dimenticandomi del resto. Mi sono detta, metti la palla sul suo campo e corri. Non pensare che dall’altro lato c’é Serena!”
L’intervista a Roberta nel dopo-partita é un piccolo capolavoro di italianità: quella bella. Spontanea, sincera, frizzante. Apprezzata da tutti i media in lingua inglese. Si scusa con gli americani, oggi è il suo giorno. Ma anche il nostro.
https://www.youtube.com/watch?v=q11I-H8DW5Q
P.S. Se avete giocato la vittoria della Vinci, prima dell’incontro, ora state festeggiando visto che siete trecento volte più ricchi!
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Immagine di copertina via tenniscircus.com
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