Rugby

Quei volti da capitano che raccontano tutto

14 Ottobre 2015

I capitani hanno un ruolo particolare nel rugby: guidano l’allenamento alla vigilia di un incontro, sono i primi della fila quando le squadre fanno il loro ingresso in campo e durante il match sono il punto di riferimento degli arbitri che li richiama per spiegare le decisioni prese e incaricarli di trasmettere gli ammonimenti sull’indisciplina al resto del gruppo. Sono loro a indicare se, dopo un fallo, preferiscano calciare verso i pali alla ricerca dei tre punti o verso la rimessa laterale per poi riproporre l’attacco nel territorio avversario.

La Rugby World Cup, che si prepara ai quarti di finali con il prossimo fine settimana, non ha lasciato scampo al capitano dell’Inghilterra, Chris Robshaw: i padroni di casa non sono sopravvissuti al girone della morte, classificandosi terzi dietro ad Australia e Galles e proprio durante la partita con i dragoni – poi persa – Robshaw a pochi istanti dalla fine ha optato per una rimessa piuttosto che per un piazzato che avrebbe potuto garantire per lo meno un pareggio.

Una situazione analoga si era verificata in precedenza, durante i test match nel novembre 2012 contro i Wallabies quando, con gli inglesi a ridosso nel punteggio e una manciata di minuti a disposizione, indicò la via dei pali per tre punti non sufficienti a colmare la distanza.

Chi fa sbaglia, chi non fa non sbaglia: Robshaw è finito al centro delle critiche per la mancanza di leadership e strategia assieme al manager Stuart Lancaster, trovandosi sulle spalle il peso dell’umiliante eliminazione. I gradi che indossava sono alla ricerca di un nuovo condottiero.

Dalla sofferenza psicologica a quella fisica: domenica sera, a Cardiff, si è conclusa la carriera internazionale di Paul O’Connell, capitano irlandese rimasto a terra durante la sfida con la Francia. Per lui infortunio alla coscia e non c’è tempo per recuperare in corsa, anticipando così la fine della sua esperienza con l’Irlanda che avrebbe dovuto coincidere con l’ultimo impegno della nazionale nel torneo. Lo hanno portato fuori in barella, un saluto mesto e senza drammi eccessivi perché quando in palio c’è il primo posto della pool, buono per evitare di incrociare subito gli All Blacks, i sentimentalismi non trovano spazio, anzi avrebbero infastidito il guerriero ferito.

Il resto del gruppo andrà avanti senza la pertica in seconda linea, guida carismatica e brava nel tenere la barra salda dopo il saluto del fenomenale Brian O’Driscoll e che sapientemente ha incarnato virtù e vizi degli irlandesi quando si ritrovano un ovale in mano – sono tra i “sporchi”, furbi come pochi soprattutto quando si tratta di attirare nella trappola il nemico senza farsi notare dagli arbitri e indossando prontamente gli abiti della vittima di turno.

Dal terreno di gioco alla tribuna, dove domenica pomeriggio era seduto Sergio Parisse mentre l’Italia batteva la Romania per assicurarsi un terzo posto nel girone che ha generato automaticamente un biglietto per il prossimo Mondiale in Giappone. La sua esclusione ha provocato pruriti e polemiche, sancendo una rottura totale nel rapporto tra Jacques Brunel e i sostenitori azzurri, anche in quegli ambienti mediatici che quattro anni fa brindarono preventivamente alla notizia dell’arrivo del tecnico francese al posto del sudafricano Nick Mallett: le cose non sono andate come ci si attendeva, un po’ come accaduto con il premio Nobel per la pace a Barack Obama per intenderci.

Cosa riservi il futuro in nazionale per la talentuosa terza linea è ancora da capire: quella sua aria un po’ così che si percepiva dalle telecamere che lo hanno inquadrato sugli spalti si addice ottimamente alla confusione sotto il cielo della Federugby.

D’altronde i volti dei capitani valgono più di mille parole: il sudafricano Jean De Villiers ha dato forfait dopo essersi fratturato per la seconda volta la mascella durante la partita contro Samoa.

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